Senza
Linguetta #171 / Il concetto di qualcosa che manca ci definisce allo stesso modo di quello che c'è, dicendo tanto anche del modo di comporre un testo con poche parole.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Qualche tempo fa ho sentito un mio nipote che diceva a suo papà:
“Ma perché prendete sempre i biscotti senza olio di palma? La prossima volta me li prendete con l’olio di palma”1.
Pensandoci, l’espressione può avere un significato positivo nella testa di un adulto che sceglie quel prodotto per motivi etici e salutari, ma per un bambino è soltanto qualcosa in meno, una privazione.
Sottrarre qualcosa significa diminuire?
La risposta credo sia quella che contraddistingue il metodo scientifico (e la vita umana in generale): dipende.
Ci sono tanti modi di levare cose; dipende sempre dalla nostra intenzione, se quel senza assume un profilo positivo o negativo.
C’è una frase dello scrittore Mark Twain che racconta bene della difficoltà a togliere quando si scrive:
I didn't have time to write a short letter, so I wrote a long one instead.
Non avevo tempo di scriverti una lettera breve, così te ne ho scritta una lunga.
Togliere parole richiede sempre un sforzo in più, serve tempo per essere sintetici ed efficaci: è un senza che aggiunge limpidezza, soprattutto se si tratta di un messaggio pubblico.
Esseri mancanti
Di Twin Peaks avevo visto soltanto tre puntate, e ho deciso di vedere tutta la serie, da quando è morto David Lynch.
Non ho mai letto Guerra e pace, ma nemmeno Orgoglio e pregiudizio, Cent’anni di solitudine e Il nome della rosa.
Ho visto un solo film di Federico Fellini: Amarcord.
Ci sono cose che facciamo che ci definiscono, e tante altre che non abbiamo fatto e che ci definiscono ugualmente.
Siamo un insieme di addizioni e mancanze.
I libri che non ho letto, i film e le serie tv che non ho guardato, le corse che non ho registrato e caricato su Strava, i ricordi che non ho postato sui social, i messaggi che ho deciso di non inviare in una chat, i pensieri che tengo per me.
Le parole che non diciamo significano come quelle che mandiamo in giro, dicendole o scrivendole.
Ed è come se tutte queste cose finissero dentro un grande archivio del non detto, che è un po’ come l’antibiblioteca di cui parlava Umberto Eco, che
raccontò benissimo nella puntata L’importanza di avere libri e non leggerli della sua newsletter .Vederci nelle azioni mancate, non ancora descritte, è il segno di un arco narrativo del quale non sappiamo cosa completeremo e cosa no.
E proprio nell’incertezza di questa possibilità sta il bello che continua a muoverci alla scoperta.
Tante storie
C’è un’espressione che si usa spesso a Brescia ed è “fare senza”, che mi pare una bella sintesi di qualcosa che non facciamo, e che è una specie di ossimoro: un fare che diventa concreto nel suo non fare.
Il suo corrispettivo sarebbe l’espressione italiana “fare a meno”: a Brescia si dice ad esempio “allora faccio senza andare” invece che il più corretto “allora faccio a meno di andare”.
C’è un troncamento nell’espressione gergale, una mancanza che viene messa in evidenza dal vuoto che rimane dopo quel senza usato in funzione di avverbio.
Il senza, però, lo usiamo principalmente come preposizione, e ci accompagna in tanti modi di dire: sono senza un soldo, sono rimasto senza lavoro, sei senza speranza, mi lasci senza fiato, è senza macchia, senza l’aiuto di nessuno, cosa farei senza di te, senza batter ciglio, senza tanti discorsi, senza dubbio, senza zucchero.
La lista sarebbe lunghissima, come quella degli ingredienti sull’etichetta dei cibi ultra processati, che sono un po’ come i testi progettati badando solo ad ammassare parole per inquinare la testa di chi legge – il burocratese su tutti.
Le scelte di economia linguistica sono come cibi biologici.
“Fanno senza” pesticidi lessicali ma sono piene di nutrienti, come diceva
nella puntata Maliziosità vegana della sua newsletter:Un esperimento condotto su una catena di caffetterie del Regno Unito ha mostrato che piatti vegetali non etichettati come “senza carne” o “vegetariani” ma piuttosto in modi che valorizzano le loro caratteristiche di gusto o l’origine genuina dei loro ingredienti vengono comprati con più frequenza.
In esperimenti simili, piatti presentati insieme a poche informazioni chiave, purché semplici e positive, sui benefici in termini di emissioni di gas serra arrivavano in certi casi a raddoppiare il tasso di acquisto da parte dei clienti.
Le storie scritte bene, fanno bene.
P.S.
Dell’Arcipelago delle isoleombra che io e
🖊️ Inversi
Oggi la pagina di un libro che gioca sulla sottrazione: è l’albo illustrato Parole di Guridi, che disegnando profili di teste “fa senza” tante parole, per dire tutte quelle che abbiamo detto, quelle che avremmo voluto dire, quelle che non vogliamo dirci, quelle che ho detto ad altri ma non a te, quelle che non ho mai detto.
📚 Vite moltiplicate
C’è un libro che non ho letto e mi piacerebbe mi consigliassero, e di sicuro lì fuori c’è qualcunǝ che l’ha letto: è Orlando di Virginia Woolf.
🎥 La forza dell’attrazione
Il consiglio è per un film che credo mi piacerà tanto, ma che ancora non ho visto: è In the mood for love di Wong Kar-wai.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Teniamo a mente dei senza che ci compongono, in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata (come i pulsanti di commento e restack).
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Sono Andrea M. Alesci, scrivo per piccoli umani e tengo laboratori: l’ultimo mio libro è L’arcipelago delle isoleombra, illustrato da Marianna Balducci (Sabìr, 2024).
Seguo progetti di educazione alla lettura, leggo ad alta voce, faccio formazione su albi illustrati e comunicazione.
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Per avere le idee un po’ più chiare sull’olio di palma nei prodotti industriali, vi segnalo: Un post senza olio di palma di Andrea Bersani per Scientificast e L’olio di palma fa male? scritto da Emanuele Menietti sul Post.
Il lavoro di sottrazione, di togliere, di fare senza è alla base della fotografia.
Ogni frame è appunto una cornice che inquadra qualcosa per escluderne molto di più.
E' un po' come per il detto e non detto, a volte le foto sono interessanti non solo per quello che fanno vedere, ma anche per quello che non fanno vedere perché è rimasto fuori dall'inquadratura.
Per questo fotografare "sul serio" non è così facile.
ps. Evviva le Isole! :)
Caro Andrea, le tue parole mi hanno fatto venire in mente un libro che ho letto anni fa e che mi ha colpito "Niente", di Alberto Salza, che può essere un sinonimo di "senza" al cubo.
Niente - Come si vive quando manca tutto. Antropologia della povertà estrema.