Minestre allungate
Linguetta #13 / Spesso ci troviamo di fronte messaggi prolissi e ridondanti, composti soltanto per riempire uno spazio. Brevità e sintesi invece possono dire molto di più.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Rimaniamo sempre nei dintorni del plain language di cui ho parlato nella Linguetta #12, perché scrivere in modo chiaro e semplice è il sintomo di un pensiero che si compone in maniera limpida nella testa (di chi scrive e di chi legge).
E c’è un altro ingrediente fondamentale per questa limpidezza:
la brevità.
Usare poche parole, fare lo sforzo di trovare le parole giuste che riescono a sintetizzare un’informazione senza che nulla si perda.
Richiede uno sforzo, ma è uno sforzo necessario alla comprensione immediata, solleva il destinatario dalla fatica di decifrare un messaggio come se dovesse attraversare una giungla a colpi di machete.
Per capire meglio questa cosa vediamo un esempio che m’è capitato sotto mano: una comunicazione all’interno di un servizio di messaggistica di una PA.
Vi posto di seguito il messaggio originale e un’alternativa che ho immaginato.
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Il messaggio originale dimentica che viene letto sullo schermo di uno smartphone, quindi non si cura del formato. Ma la struttura riflette sempre lo scheletro che c’è sotto, cioè il pensiero, in questo caso un po’ sciatto. Una trascuratezza che “sbrodola” le informazioni in un serpentone di frasi lunghe e un po’ involute che allungano la minestra e basta.
I dettagli fanno la differenza
Leggendo l’originale sembra che la notizia sia che sono stati presentati i lavori di realizzazione della nuova recinzione, mentre la vera notizia è che verrà messa una recinzione attorno al parco.
Anche chiudendo un occhio su questo aspetto, dal punto di vista della lingua sono due le cose che andavano evitate:
la nominalizzazione, cioè quel fenomeno per cui trasformiamo in sostantivo i verbi, rendendo affannosa la lettura. Spesso è sufficiente usare il verbo e basta, perché il verbo è già chiaro, è un attivatore linguistico e fa vedere l’azione che descrive. In questo caso realizzazione è addirittura superfluo. Anche volendo mantenere l’introduzione originale si poteva scrivere: Presentati i lavori per la nuova recinzione…
l’uso superfluo degli aggettivi, in questo caso di nuova. Una “nuova recinzione” presuppone che ce ne sia già un’altra, una vecchia da sostituire. Ma proseguendo nella lettura si capisce (con un po’ di attrito) che non c’è alcuna recinzione. Allora anche quel nuova è un di più, e confonde le acque.
Un’ultima cosa su queste righe.
Il tema è sensibile: trasformare uno spazio aperto in uno spazio chiuso da una barriera – e qui ci sarebbe da aprire un lungo discorso sull’opportunità di chiudere gli spazi pubblici in nome di una presunta “sicurezza”, ma se volete vi rimando alla Linguetta #4 in cui parlavo proprio di un cartello affisso fuori da un parco urbano.
Tornando a noi, il messaggio originale usa il termine recintato, che rimanda a “qualsiasi struttura che delimita uno spazio scoperto”, facendoci subito venire in mente – perché il nostro cervello funziona per analogie – i recinti delle pecore, le recinzioni militari, il concetto di limite, di chiusura, di esclusione.
A portata di mano c’è però un significato simile ma di impatto più lieve: cintato. Cingere è sinonimo di avvolgere, circondare, ci fa pensare all’espressione cingere con un abbraccio, e dell’abbraccio ha la morbidezza che include. Potrebbe sembrare un dettaglio minuscolo, forse trascurabile se scriviamo di getto, ma alla fine ogni parola ha un peso e un orizzonte di sensi diversi.
Ogni dettaglio fa la differenza.
Allungare il brodo
La seconda frase complica di più le cose, fiondandoci dentro una di quelle espressioni labirintiche che arrivano dritte dritte dal burocratese. Prendete un bel respiro, si va:
L’intervento intende rispondere all’esigenza di gestire l’apertura e chiusura del parco in determinati momenti della giornata, in modo da garantire un maggior controllo ed una maggiore sicurezza a tutta l’area.
Bell’apnea, vero? Con quell’intervento che intende rispondere all’esigenza di gestire.
Due cose:
un intervento mica risponde, casomai lo fanno le persone.
l’uso del doppio verbo intende rispondere. Intendere e volere sono verbi che possono esprimere anche insicurezza, mentre qui è l’assertività che si vuole sottolineare, e si ottiene usando poche parole. Perché la frase scorra già meglio ci basterebbe dire l’intervento risponde.
Conta chi legge
All’esigenza di garantire è un’altra di quelle forme burocratiche, facilmente sostituibile dal semplice per garantire. Due parole e 12 lettere invece di tre parole e 24 lettere.
Dire meno e in modo più efficace è un risparmio di tempo e sforzo cognitivo per chi legge. Contare conta.
Se il confronto numerico lo espandiamo alle prime due frasi dell’originale abbiamo 14 + 34 parole per un totale di 48 parole con cui esprimere un concetto semplice:
Il parco verrà cintato per garantire più sicurezza e controllo, perciò avrà un preciso orario di apertura.
Fanno 17 parole (dai, arriviamo a 21 con l’intestazione schematica Parco Fagiolini, quartiere Pentolone). Insomma, meno della metà dell’originale.
Il brodo diventa sbobba
La terza e la quarta frase diventano una roba immangiabile, che nemmeno lo sfilatino avariato di Homer Simpson regge il confronto.
Un’immersione da 42 parole fatta di:
pomposità: avrà caratteristiche → sarà
ridondanze: tecniche ed estetiche simili → simili
antichità: a quelle attualmente caratterizzanti → a quelle
astrusità: altre limitazioni → altre recinzioni
Vediamo però il capolavoro di burocratese che ahimè s’incontra tante troppe volte, nei più svariati contesti:
è stata valutata positivamente la possibilità di prevedere una soluzione del tutto simile a quella che attualmente delimita “Campo Monetine”.
Che cosa non va?
la forma impersonale è stata valutata positivamente la possibilità. Se questa possibilità è stata valutata positivamente vuol dire che è stata fatta una scelta, quindi che cosa ci impedisce di scrivere abbiamo scelto?
la ridondanza di espressioni come la possibilità di prevedere una soluzione. Basterebbe dire una possibile soluzione.
l’avverbio d’intensità da tenere a bada, cioè quel del tutto che precede l’aggettivo simile: aggiunge un’inutile enfasi, basta simile per fare passare il concetto.
pronome dimostrativo e congiunzione che: parlo di quella che attualmente delimita, espressione sostituibile con quella attorno a (il soggetto sottinteso è “la soluzione”).
avverbio di tempo usato impropriamente: attualmente si riferisce di solito a qualcosa avvenuto di recente, è sinonimo di “riguardo a questi ultimi tempi”; in questo caso sarebbe meglio un più corto ed efficace adesso.
La brevità è cortesia
Il finale del messaggio rimanda ai dettagli del progetto da consultare sul sito web del Comune, per il quale è sempre meglio … accorciare la forma.
Perciò, sforbiciamo pure quel www iniziale perché ‒ senza addentrarci in spiegazioni tecniche di tipo informatico ‒ un dominio contiene sia la versione con www sia quella senza www. Allora, nel nostro esempio scriviamo tranquillamente comune.paperopoli.it.
Nel messaggio originale in coda compare un generico nome: è quello dell’assessore Ruben McQuack (anche se, visto che non è specificato si tratti dell’assessore, uno che fosse abbonato al servizio ma non facesse parte di quel comune potrebbe non conoscerlo, l’assessore). Inoltre, il nome appeso lì in coda confonde un po’ i ruoli: chi ha scritto il messaggio? Di solito è competenza di qualcuno dell’area Comunicazione della PA, anche se qui sembrerebbe scritto proprio dal politico.
Una soluzione migliore è non mettere alcuna firma, in modo da mantenere l’imparzialità di un testo scritto dall’area Comunicazione, e piuttosto dare la possibilità a chi legge di contattare l’assessore responsabile.
Così, il messaggio non sarebbe solo una ricezione passiva, ma diventerebbe l’occasione per comunicare puntualmente con la pubblica amministrazione.
Insomma, essere brevi non è facile, lo diceva anche lo scrittore Mark Twain:
I didn't have time to write a short letter, so I wrote a long one instead.
Non avevo tempo di scriverti una lettera breve, così te ne ho scritta una lunga.
Fare sintesi richiede tempo, sforzo, impegno però alla fine il messaggio arriva limpido a chi lo leggerà, che ci sarà riconoscente per il tempo e la fatica che gli abbiamo risparmiato. Evitando di farlo affogare in un minestrone allungato con inutili ingredienti.
📚 Leggere per riuscire a scrivere
Il consiglio di lettura di questa settimana è di un’autrice che ho già citato in passato e che per me è un costante riferimento linguistico: la business writer Luisa Carrada. Vi suggerisco il suo Guida di stile. Scrivere e riscrivere con consapevolezza. Perché scrivere e riscrivere, leggere, rileggere, correggere e riscrivere ancora è un lavoro invisibile e prezioso per chiunque scriva e voglia farsi capire.
🎥 Cucine sbalorditive
Anche di un pezzo scritto si dice che lo possiamo “cucinare”, avendo cura di mettere pochi semplici ingredienti, come abbiamo visto. Ma è il lavoro che c’è dietro che conta. Allora il suggerimento cinematografico è questo: Big Night, film del 1996 diretto e interpretato da Stanley Tucci. Siamo dentro un ristorante italo-americano, che si barcamena tra alcune difficoltà, ma i due fratelli che lo dirigono cucinano mettendoci passione e dedizione incredibili, non volendo mai cedere allo stereotipo del ‘piatto facile’ all’americana.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!
E se vi scappa il dito sul cuoricino qua sotto, pigiate pure per farmi sapere che vi è piaciuta la puntata di Linguetta 💖.