Il regno del formato
Linguetta #7 / In un mondo di comunicazioni rapidissime, oltre a contenuto e contesto, conta anche il formato, cioè come viene letto il messaggio. Cioè spesso su uno schermo di 5 pollici
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Oggi esploriamo con tre esempi quei messaggi con cui siamo abituati a interagire ogni giorno: già, sto parlando di quelli che compaiono sullo schermo dei nostri smartphone. I testi degli esempi che vedremo sono tutti messaggi scritti da Pubbliche Amministrazioni nelle app di messaggistica (Telegram o WhatsApp che sia).
Oltre al contenuto, il contesto
Farsi capire è l’obiettivo di ogni nostra comunicazione, perché quando il messaggio arriva forte e chiaro si rafforza la relazione tra chi scrive e chi legge.
Il nostro contenuto sono le parole, e sono il cuore del nostro messaggio.
Le parole però, non basta scriverle nel modo corretto: dobbiamo sempre tenere conto del contesto in cui si inseriscono quelle parole. Cito dalla Treccani:
Il contesto può essere definito in generale come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo.
È il contesto d’uso linguistico, che assomma tante cose: ruolo dei riceventi, loro conoscenze, situazione affettiva, formalità/informalità della situazione. E forse più di tutto si riferisce alla situazione fisica, spaziale e temporale, in cui avviene la comunicazione.
Dobbiamo sapere che quando scriviamo un messaggio, quello stesso messaggio verrà letto dalle persone in svariati contesti, non nella tranquilla postazione alla scrivania da cui lo stiamo progettando, pensando e componendo.
Potranno riceverlo mentre sono in coda in posta, fermi al semaforo in auto, nel mezzo di una conferenza, seduti alla stazione, aggrappati alla maniglia della metro, mentre fanno la spesa al supermercato. Comunque quasi sempre in movimento, all’interno di bolle rumorose. Il nostro messaggio dovrà essere scritto con cura (buon contenuto) e dovrà farsi leggere o anche solo sbirciare con piacevolezza (buon contesto).
Ma tutto questo non basta
Siamo sempre di più in movimento, ci spostiamo con il nostro smartphone nelle tasche pronti a scegliere tra le notifiche quelle che veramente ci interessano. Ecco perché in questo sovraffollamento cognitivo a contare - oltre a contenuto e contesto - è anche e soprattutto il formato.
Il formato, cioè il modo in cui quel messaggio verrà letto.
È al formato che dobbiamo pensare quando progettiamo un contenuto, che sia un’immagine, un testo, un suono, un video. E il formato della nostra epoca è in gran parte tascabile, con uno schermo su cui lasciare le nostre impronte digitali.
Qui prendiamo in considerazione messaggi testuali, che dunque dovranno essere pensati per quel formato ma soprattutto con una precisa formattazione, con una struttura facile e immediata da cogliere.
Vediamo i tre esempi che ho scelto (prima compare il messaggio originale, poi la versione meglio formattata).
Esempio #1 - Evento pubblico
Esempio #2 - Aggiornamento Coronavirus
Esempio #3 - Contributo comunale
Gli esempi mostrano come le stesse informazioni si possano dare andando incontro alle esigenze di chi legge, che lo farà in situazioni rumorose e sfuggenti; perciò tocca a noi usare tanti brevi paragrafi, inserire eventuali emoji, schematizzare, evidenziare. Dare insomma al lettore degli appigli per rimanere aggrappato all’informazione.
Il tempo che spendiamo in fase di stesura sarà tempo ben speso se quel messaggio riuscirà a farsi notare dal nostro lettore, e così farsi capire.
Con un buon contenuto, pensato per quel contesto, all’interno di quel formato.
Due letture: una tecnica, una sbarazzina
Per chi lavora all’interno di una PA (ma per chiunque abbia a che fare con la comunicazione social) consiglio il libro Social media per la pubblica amministrazione scritto nel 2018 da Alessio Baù, che in passato ha lavorato alla comunicazione del Comune di Milano e poi per Airbnb.
E visto che abbiamo parlato di messaggi sugli smartphone, vi suggerisco anche una lettura più divertente e leggera: Come dire. Galateo della comunicazione di Stefano Bartezzaghi, che anche se è un libro del 2011, quando c’è Bartezzaghi nei dintorni il gioco delle parole riesce a sorprendere nei modi più impensabili.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!