11 Commenti

Le parole come coltellini svizzeri, perfetto. Sono creature indipendenti (e noi pensiamo di poterne fare ciò che vogliamo) e dotate di un proprio giudizio e singolari bizzarrie. Ed è vero: appena pronunciate iniziano a vivere. Bellissima.

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Grazie Martino. È proprio come dici tu: le parole sono creature viventi. E nel pensare a questa cosa me n'è venuta in mente un'altra: che dovremmo viverle mantenendo l'atteggiamento animista che si ha da bambini.

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Ehm... io li chiamo “libri illustrati” ma manca quella possibilità 😜

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Ecco, a questa opzione non avevo pensato 😅.

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L'aspetto della polisemia delle parole e del rapporto parola-immagine è una cosa che si usa molto come strumento di lavoro nel graphic recording e facilitazione visuale, perché è una di quelle cose in cui "l'inequivocabilità" dell'immagine è un attrezzo per chiarire i sottintesi: io dico sedia e tu dici sedia, sembra che abbiamo detto la stessa cosa, pensiamo di esserci capiti, invece entrambi abbiamo messo nella parola il nostro background, mondo valoriale, esperienze. Il fatto di vederla rappresentata in un modo che magari non è quello che nessuno dei due intendeva, o che comunque rende manifesta una diversità di concetti, è incredibilmente utile come punto di partenza per una comunicazione che funziona. (benvenuto al mio rant "perché la facilitazione visuale non è un orpello per rendere carino e aesthetic un workshop ma uno strumento tanto quanto un post-it o un cacciavite")

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Grazie per questo commento che aggiunge un pezzetto alla riflessione, soprattutto quando dici che vedere rappresentata una cosa "rende manifesta una diversità di concetti, ed è incredibilmente utile come punto di partenza per una comunicazione che funziona" 🤩.

E poi hai toccato un altro punto che mi sta tanto a cuore e su cui vorrei ragionare prossimamente dentro Linguetta: facilitare.

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Da quando studio il sanscrito ho scoperto quanto polisemia e enantiosemia rappresentino una ricchezza da esplorare. Mi sento proprio una esploratrice ogni volta che apro il dizionario e mi accingo a scegliere le sfumature che calzano meglio con quello che mi serve dire. Più che con qualunque altra lingua antica o moderna mai studiata, la vivo come un'avventura.

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Che bel pensiero, Sara! Credo che entrando dentro una lingua nuova si provi quel senso di spaesamento che ci fa vedere ogni cosa con più acutezza, quindi come dici tu con tutte le sfumature possibili.

Dev'essere qualcosa di difficile e stupendo imparare il sanscrito, provo davvero tanta ammirazione.

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Sì, è davvero fonte di continua meraviglia. Richiede sforzo ma anche un grado di concentrazione che non esagero se definisco meditativo. Quando sono dentro al sanscrito, sono totalmente assorbita dalla sua architettura complessa e perfetta. Pure i miei pensieri mi sembrano più ordinati perché in un certo senso obbliga (forse meglio richiama) al nitore (grammaticale, sintattico, semantico. E la polisemia non è in contraddizione con questo, ma anzi lo favorisce, perché offre più sfumature per trovare quella, appunto, perfetta).

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Io li chiamo libri illustrati. Vale? 😅

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Me lo segno, a questa opzione non avevo pensato 😆.

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