Linguetta #119 / Le parole polisemiche sono segnali di una lingua capace di portarci nello stesso momento dentro mondi diversi, e che funziona col pensiero analogico.
Le parole come coltellini svizzeri, perfetto. Sono creature indipendenti (e noi pensiamo di poterne fare ciò che vogliamo) e dotate di un proprio giudizio e singolari bizzarrie. Ed è vero: appena pronunciate iniziano a vivere. Bellissima.
L'aspetto della polisemia delle parole e del rapporto parola-immagine è una cosa che si usa molto come strumento di lavoro nel graphic recording e facilitazione visuale, perché è una di quelle cose in cui "l'inequivocabilità" dell'immagine è un attrezzo per chiarire i sottintesi: io dico sedia e tu dici sedia, sembra che abbiamo detto la stessa cosa, pensiamo di esserci capiti, invece entrambi abbiamo messo nella parola il nostro background, mondo valoriale, esperienze. Il fatto di vederla rappresentata in un modo che magari non è quello che nessuno dei due intendeva, o che comunque rende manifesta una diversità di concetti, è incredibilmente utile come punto di partenza per una comunicazione che funziona. (benvenuto al mio rant "perché la facilitazione visuale non è un orpello per rendere carino e aesthetic un workshop ma uno strumento tanto quanto un post-it o un cacciavite")
Da quando studio il sanscrito ho scoperto quanto polisemia e enantiosemia rappresentino una ricchezza da esplorare. Mi sento proprio una esploratrice ogni volta che apro il dizionario e mi accingo a scegliere le sfumature che calzano meglio con quello che mi serve dire. Più che con qualunque altra lingua antica o moderna mai studiata, la vivo come un'avventura.
Le parole come coltellini svizzeri, perfetto. Sono creature indipendenti (e noi pensiamo di poterne fare ciò che vogliamo) e dotate di un proprio giudizio e singolari bizzarrie. Ed è vero: appena pronunciate iniziano a vivere. Bellissima.
Ehm... io li chiamo “libri illustrati” ma manca quella possibilità 😜
L'aspetto della polisemia delle parole e del rapporto parola-immagine è una cosa che si usa molto come strumento di lavoro nel graphic recording e facilitazione visuale, perché è una di quelle cose in cui "l'inequivocabilità" dell'immagine è un attrezzo per chiarire i sottintesi: io dico sedia e tu dici sedia, sembra che abbiamo detto la stessa cosa, pensiamo di esserci capiti, invece entrambi abbiamo messo nella parola il nostro background, mondo valoriale, esperienze. Il fatto di vederla rappresentata in un modo che magari non è quello che nessuno dei due intendeva, o che comunque rende manifesta una diversità di concetti, è incredibilmente utile come punto di partenza per una comunicazione che funziona. (benvenuto al mio rant "perché la facilitazione visuale non è un orpello per rendere carino e aesthetic un workshop ma uno strumento tanto quanto un post-it o un cacciavite")
Da quando studio il sanscrito ho scoperto quanto polisemia e enantiosemia rappresentino una ricchezza da esplorare. Mi sento proprio una esploratrice ogni volta che apro il dizionario e mi accingo a scegliere le sfumature che calzano meglio con quello che mi serve dire. Più che con qualunque altra lingua antica o moderna mai studiata, la vivo come un'avventura.
Io li chiamo libri illustrati. Vale? 😅