Sulle scale
Linguetta #164 / I gradini delle scale - ferme o mobili - sono segni di un desiderio di cambiamento, pause per superare il tempo, ma anche possibili barriere da risolvere.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Quando in quarta liceo andai in gita di classe a Praga, una cosa mi colpì molto della città: le ripidissime e lunghissime rampe di scale mobili che c’erano per raggiungere la metro.
Sembravano non finire mai e per noi erano anche un gioco, e ogni volta che devo prendere una metro in una città penso a questi aggeggi che abbiamo costruito per spostarci in su e in giù – che si tratti di immergerci sotto la superficie della terra o salire verso l’alto.
Le scale sono tensione narrativa.
Con le scale ci muoviamo per esprimere il desiderio di colmare un divario, di raggiungere qualcosa che sta su un altro piano, di percorrere quel tratto, sia in salita sia in discesa.
Gianni Rodari diceva che a bambine e bambini bisogna far fare un gradino, un piccolo salto:
Parlare, non come il bambino, ma come parla il mondo di oggi. Bisogna trasformare tutto questo in parole se si vuole fare un libro, non bamboleggiando, semmai un gradino più in su.
Perché al bambino piace salire in su, il linguaggio deve farlo crescere; ma dev’essere un linguaggio moderno con tutto quello di cui è fatto il mondo.
Punti d’osservazione
Quando ci muoviamo alla scoperta di città che non conosciamo, capita che camminiamo a lungo, ed è sui gradini che spesso ci sediamo a fare una pausa.
Il gradino è una specie di sospensione del tempo.
Come se lì, fermǝ a osservare quello che ci circonda, riuscissimo a pensare pensieri più forti, ad ascoltare la voce che si racconta dentro di noi e che non diciamo a parole, alle altre persone.
Proprio quello che fa una filastrocca della raccolta Winnie the Pooh. Quando eravamo davvero giovani di Alan Alexander Milne, restituendo questa nostra idea di conversazione interna. S’intitola In mezzo alle scale:
In mezzo alle scale / c’è un gradino / dove mi siedo. / Non c’è / un altro gradino / uguale, sul serio. / Non sono in cima, / non sono in fondo: / è questo / il gradino / dove sempre / mi pongo.
In mezzo alle scale / non è su / e non è giù. / Non è all’asilo / e non è in città. / E per la testa mi frulla / ogni sorta di pensiero bizzarro. / “Non è per niente / un posto qualunque! Al contrario: / è un posto speciale”.
Quel posto lì, sul gradino, è il nostro posto, è un momento sospeso nel tempo, un po’ come stare su un’isola a osservare le correnti che muovono i pesci sott’acqua e le barche sul pelo dell’acqua.
È il tempo che serve a capire le cose.

Vedere gli ostacoli
Le scale ci consentono di superare dislivelli, ma possono anche essere un impedimento per chi non può superarle con le proprie gambe, per chi si sposta su una carrozzina, per chi spinge un passeggino, per chi usa stampelle o bastone.
Allora le scale diventano una barriera.
Sono come parole di un lessico che si protegge per autoconservarsi, parole non pensate per essere usate da tutte le persone: diventano strutture disabilitanti.
A girare per le città e osservare con attenzione le cose, allora ci possiamo accorgere dei piccoli e grandi dislivelli usati come parametro della ‘normalità’, cioè di una norma modellata sulla maggioranza.
Forse dovremmo trovare una parola migliore di normale, forse dovremmo parlare di comune: di un aggettivo che mette insieme esigenze diverse, che tiene conto di tutte le persone e le riconosce nei loro diritti.
Una lingua comune, una politica comune, un mondo in comune.
Comune significa fare convivere ogni unicità, come succede con le lingue e i tanti modi di abitarle.
La lingua che si muove dentro di noi è come un fiume che fluttua, scroscia, salta, sale, scende, scorre. Ciascunǝ di noi è un fiume diverso, ma alla fine siamo tuttǝ acqua, diventiamo tuttǝ mare.

P.S.
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🖊️ Inversi
Oggi pochi versi dalla raccolta Tutte le poesie di Giorgio Caproni.
Raggiungimento
Andavo. Andavo.
Cercavo dove poter sostare.
Ero ormai sul discrimine.
Dove finisce l’erba
e comincia il mare.
📚 Volumi d’aria
Il consiglio è per un libro che ho scoperto per caso alla fiera Più libri più liberi, allo stand di TerraRossa Edizioni: s’intitola Sfondate la porta ed entrare nella stanza buia, l’ha scritto Enrico Macioci e racconta di un’estate del 1981, di un’amicizia d’infanzia che lascia un segno, della fantasia che si mischia a una primitiva realtà virtuale italiana, che si chiama Alfredo Rampi e sta sul fondo di un pozzo.
🎥 Amari paradossi
Ho visto Anora, e forse la cosa più bella è che non saprei dire che tipo di film è. So solo che si ride parecchio per via dei tipi umani che contiene, che c’è dentro un bel miscuglio di lingue (se lo trovate in originale, meglio), che come riesce a chiudere i film Sean Baker è una benedizione.
✉️ Lettere di Natale
Il consiglio è per una newsletter appena spostatasi su Substack: si chiama
, la scrive Federica Tummillo e dentro ci trovate ogni volta dei mondi che si allargano attorno a una parola precisa.E visto che ci avviciniamo al Natale, vi consiglio l’ultima puntata di
, che ragiona sul senso del Natale, e in cui compila una lista di doni – dentro c’è anche L’arcipelago delle isoleombra. Grazie.Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Usiamo le scale per vedere meglio e trovare soluzioni per chiunque, che in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Questa la racconto spesso ma è stupenda: una volta chiesero al famoso architetto giapponese Tadao Ando perché progettasse così tante scale nelle sue opere. Rispose “perché stiamo sempre seduti. Voglio far ricordare alle persone che il loro corpo ha un peso, voglio che pensino alla gravità”.
Ciao Andrea, mi sento molto onorata di far parte delle Lettere Natalizie di questa puntata. Grazie! Mi ha molto toccata questo accostamento tra le scale fisiche e quelle metaforiche del linguaggio. A questo proposito, io ho un debole per le scale a pioli, che ci invitano ad arrampicarci e a sfidare la gravità (senza esagerare!).