Pannelli parlanti
Linguetta #50 / Tra i tanti cartelli che ci circondano ne esaminiamo alcuni di tipo divulgativo, che riescono a spiegare bene le cose, ispirando poi azioni virtuose.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Che fine faremmo senza cartelli? Siamo circondatə da cartelli, cartelloni, pannelli, messaggi affissi. Di ogni tipo: quelli che ci dicono dove andare, come comportarci, che cosa fare.
I cartelli stanno sulle strade, all’interno di uffici, musei, centri commerciali, biblioteche, ma anche nei boschi, sulle spiagge, lungo sentieri di montagna, all’esterno di impianti industriali, sui mezzi pubblici, nelle città e nei paesi, sopra i ponti e sottoterra.
Tutti portano dei messaggi, ci comunicano qualcosa che ci aiuta a completare un’azione. E tutti lo fanno con il dispositivo tecnologico più potente che abbiamo: il linguaggio.
Ci muoviamo grazie alle parole e ai simboli.
Il design di un cartello funziona quando quello che dice riesce ad arrivarci con facilità, quando lo leggiamo e cogliamo l’informazione che diventa pensiero: che sia un cartello da interpretare al volo oppure uno davanti al quale possiamo fermarci con calma; in entrambi i casi però è la qualità della progettazione che riesce a renderci chiare le cose.
Ma i cartelli parlano anche quando non ci sono, cioè quando ne vorremmo uno da leggere e rimaniamo inermi senza sapere come comportarci; oppure quando ci sono però le informazioni che portano sono poco comprensibili o poco gentili.
Pannelli divulgativi
Mi rendo conto che della grande famiglia dei cartelli ne fanno parte un sacco di tipi diversi (segnaletici, esplicativi, pubblicitari, informativi), ma l’attenzione per i cartelli me l’hanno suscitata nelle scorse settimane due post social, uno del giornalista e forestale Luigi Torreggiani, l’altro della biotecnologa e comunicatrice della scienza Beatrice Mautino.
👉 il post di Luigi Torreggiani su LinkedIn
👉 il post di Beatrice Mautino su Instagram
Con questi due post torniamo a parlare di divulgazione, come nella Linguetta della settimana scorsa su Piero Angela, perché divulgare forse è la forma di comunicazione migliore che possiamo praticare.
Se le pubbliche amministrazioni (e pure le aziende private) facessero comunicazione con in testa i princìpi della divulgazione, riuscirebbero a fare capire le cose alle persone, incoraggiando pratiche di cittadinanza attiva, invogliando a cogliere tutti i passaggi di un’opera, un lavoro, un progetto, soprattutto quelli invisibili e meno percepibili.
Dentro Linguetta ho spesso detto che ogni servizio/prodotto deve accompagnarsi alla sua comunicazione per tradursi in realtà, perché la gente lo conosca e possa esplorarlo con facilità. Ma ora mi spingo oltre:
Comunicare un servizio viene prima del servizio, deve stare già tutto nella testa di chi realizzerà quel servizio.
È proprio quello che insegna la divulgazione, cioè a pensare in anticipo come comunicare un certo progetto, rendendo poi accessibile l’informazione al maggior numero di persone.
Sull’accessibilità ci tornerò prossimamente, perché il tema è ampio, per ora diciamo che riuscire ad accedere a qualcosa vuol dire poterlo fare proprio, entrarci dentro con disinvoltura, insomma avere gli strumenti per capire.
Andare per boschi
I cartelli più di tutto ci aiutano a capire, specie quando non abbiamo l’occhio tecnico o allenato per leggere un ambiente. Come può capitare in un bosco, e come ci racconta Luigi Torreggiani, che nel post su LinkedIn fa notare alcuni interventi di selvicoltura fatti e da fare in un bosco francese. Eccone un estratto:
E poi, per la mia gioia, tanti cartelli divulgativi che spiegano che cos’è, perché si fa e come può essere sostenibile un intervento selvicolturale.
Addirittura cartelli di cantiere, che non si fermano alla mera burocrazia ma che illustrano con disegni quale intervento si sta facendo e con quali obiettivi colturali.
Altri cartelli addirittura raccontano l’approccio a cascata nell’uso del legno di un albero, mostrandone così anche i vari e diversificati prodotti ritraibili.
Una veloce traduzione dal francese, partendo dall’intro in alto e poi scendendo alla condizione odierna della foresta (a sinistra) e quella prevista entro vent’anni (destra).
INTRO
CON L’ONF, IL DOMANI SI RADICA OGGI (ONF sta per Office Nationale des forêts, cioè Ufficio forestale nazionale)Gestire una foresta significa intervenire durante tutta la vita degli alberi e garantirne il rinnovamento. Significa anche preservare l’ambiente e offrire un luogo naturale ai cittadini.
OGGI
→ L’ONF effettua operazioni di diradamento per fornire più spazio, luce e acqua agli alberi più promettenti.→ Gli alberi morti, essenziali per la vita di molte specie, vengono intenzionalmente lasciati nella foresta.
→ Ogni 6-8 anni, quando sono maturi, gli alberi vengono tagliati per i più diversi usi (falegnameria, mobili, legno per l’energia...).
FRA 20 ANNI
→ Gli alberi più belli sono cresciuti in dimensioni, alcuni verranno a loro volta tagliati.→ Il diradamento e la raccolta degli alberi maturi lasciano spazio alla nuova generazione.
Se andate su LinkedIn e date un’occhiata al post originale di Torreggiani, potete vedere altri due cartelli che mostrano quali prodotti si possono ottenere dal bosco e addirittura un cartello di cantiere integrato con illustrazioni e brevi spiegazioni che rendono chiari gli obiettivi dell’intervento selvicolturale.
Gli esempi riescono a raggiungere il pubblico, perché nella testa di chi ha progettato le opere di selvicoltura era già chiara l’intenzione di divulgare, cioè di fare capire le cose.
Capire gli ecosistemi
Il carosello che ha pubblicato su Instagram Beatrice Mautino ci porta invece negli Stati Uniti d’America e ci consente di scoprire alcuni cartelli divulgativi relativi ad ambienti fragili.
La fragilità di un ecosistema è difficile da vedere, perché fatta di segni e segnali che si distribuiscono nel tempo. Soltanto che noi, magari, in quell’area ci arriviamo una sola volta, da turistə, e non riusciamo a cogliere l’impatto di tante ripetute visite umane.
Ecco che l’ambiente lo salva ancora una volta la divulgazione.
Come umani siamo una specie invasiva, nel senso che invadiamo ecosistemi l’uno dopo l’altro, interferendo con la vita di altre specie animali per i più vari scopi: abitativi, produttivi, turistici, ricreativi.
I cartelli postati da Mautino si riferiscono ad alcune aree protette tra gli stati di Idaho, Oregon e Washington, camminando alla scoperta di crateri vulcanici, grotte, canyon e spiagge.
Si tratta di ambienti accomunati dalla fragilità, che è un concetto acuito dall’impatto umano e difficile da fare nostro. A meno di comunicarlo bene, come in questi casi 👇👇
Una rapida traduzione dall’inglese:
Senza interferenze umane, la roccia del Devil’s Orchard si sgretolerebbe lentamente. Ma i passaggi dei visitatori hanno accelerato questo processo, e ne hanno in parte rovinato la bellezza.
In questo punto, camminandoci sopra, i visitatori hanno spaccato la superficie della colata lavica; con il loro peso hanno frantumato lo strato di cenere e creato un’apertura verso una piccola “grotta”.
Su mandato del congresso, è compito di chi gestisce il parco preservare queste eccezionali caratteristiche vulcaniche del terreno, e allo stesso tempo renderle fruibili a chi le visita.
I concetti di “protezione” e “fruizione” sembrano opposti: quale dei due scegliamo? Se l’entusiasmo di oggi mette a rischio risorse future, come ci comportiamo?
Anche farsi domande come queste porta chi visita il parco a sentirsi parte di quell’ambiente, o meglio a sentirsi ospite.
La questione oscilla tra la possibilità per la gente di accedere e la necessità di salvaguardare l’ambiente, ed è il primo passo che mette chi legge nella condizione di capire quanto fragile sia quello che gli sta intorno.
Nel pannello successivo vengono mostrati anche gli errori fatti in passato nella gestione, perché anche fare vedere quando si sbaglia è un’opera di divulgazione che fa sentire la vicinanza tra persone non specializzate e scienziatə. Dimostra che la scienza è fallibile, anzi passa sempre attraverso un percorso di errori per affinare le proprie valutazioni.
Una lingua che invita alla riflessione stimola la condivisione del pensiero e aiuta a generare rispetto per l’ambiente.
Il messaggio che passa è che quando attraversiamo questi ambienti siamo ospiti e possiamo limitarci a osservare, che quel paesaggio possiamo portarcelo a casa interrogandolo a distanza, carpendone le sfumature senza per forza starci dentro. Anzi, che grazie ai messaggi che lo descrivono possiamo assimilarlo meglio.
Qui siamo nei pressi di una spiaggia che per sei mesi è luogo di nidificazione di uccelli costieri, perciò il cartello spiega in maniera sintetica che anche solo camminare sulla spiaggia asciutta può incrinare l’equilibrio dell’ecosistema. E lo fa con simboli chiari e inequivocabili, seguiti da un caldo invito a rimanere solo dove la spiaggia è bagnata.
Vi riporto parte della riflessione di Mautino, che riesce a rendere in poche righe la potenza della buona divulgazione, che diventa immediatamente buona comunicazione:
Quello che colpisce della gestione statunitense dei parchi è la convivenza fra una accessibilità molto ampia rappresentata da strade, parcheggi, bagni e passerelle che da noi si vedono raramente e un rispetto comunque molto alto per l’ambiente che passa da una comunicazione pressoché costante e fatta come si deve, ma anche da un’abitudine alla natura “disordinata” che deve rimanere tale e che probabilmente si impara fin da piccoli vivendola.
Guardarsi in giro per imparare da chi fa meglio di noi, senza pregiudizi di sorta, aiuta sempre a progettare e costruire buone pratiche di comunicazione, oltre che buoni modelli di riflessione culturale.
La parola genera pensiero che genera azione.
Usare bene la parola aiuta a creare circoli virtuosi, e tutto parte sempre dalle parole che abbiamo intorno sin da quando siamo bambini e bambine. Specie se quelle parole riguardano la natura di cui facciamo parte, e che dobbiamo sempre pensare non come a un giardino all’italiana (artefatto) ma come a una selva “disordinata” di cose in continuo movimento.
Cartelli, pannelli e altre affissioni possono divulgare messaggi che continuano a risuonare anche a distanza di tanto tempo, perché pensati per agire in profondità.
Ieri stavo risalendo la penisola dalla Sicilia verso nord e ancora non avevo finito di sistemare questa puntata di Linguetta. Così, per chi già la riceve da tempo nella mail o per chi è nuovə abbonatə, perdonate il ritardo di quasi una giornata 😄.
📚 Piccoli custodi crescono
I libri di divulgazione per bambinə e ragazzə riescono a concentrare l’essenziale grazie alla bravura di chi scrive e illustra, come nel caso di Elisabetta Mitrovic, autrice del libro In riva al mare. Guida pratica per esploratori litorali. È edito da Topipittori nella bellissima collana PiNO. Piccoli naturalisti osservatori, che già nel titolo dice del rispetto generato dalle parole in cui veniamo immersi fin da piccolə.
Rimaniamo sempre in zona bambinə anche col prossimo consiglio: Sopra e sotto. Mari e oceani scritto da Harriet Evans e illustrato da Hannah Bailey per Editoriale Scienza. Un albo di formato orizzontale che aiuta a scoprire gli habitat marini, fissando in modo chiaro chi li abita.
📰 Spiagge da conservare
Visto che abbiamo parlato di ecosistemi fragili da proteggere, il primo modo che abbiamo per agire è conoscerli. Vi segnalo due articoli di Sarah Gainsforth, entrambi scritti per L’Essenziale, utili a capire che l’informazione serve proprio a ‘dare forma’ al pensiero, prima che lo trasformiamo in comportamento e azione. Eccoli:
Le spiagge sono di tutti inquadra il fenomeno dell’erosione costiera che provocano gli impianti balneari, e lo fa parlando di alcune situazioni in Puglia.
I costi sociale del Jova Beach Party analizza in modo dettagliato l’impatto che grandi eventi umani come i concerti hanno su ecosistemi delicati come quelli dunali.
Sono due pezzi lunghi, ma il tempo lungo è quello che serve per capire le cose. È il processo innescato dalla divulgazione: stimolo, curiosità, approfondimento, conoscenza. E poi via di nuovo dall’inizio.
🎧 Evviva gli alberi
Visto che abbiamo parlato di selvicoltura e cura delle foreste, vado con due consigli verdi da ascoltare.
La puntata 49 del podcast Clorofilla con l’intervista a Francesco Ferrini, professore di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree all’università di Firenze. Si parla di riforestazione urbana.
Secondo audioconsiglio è l’ultima puntata del podcast Ecotoni, a cura di Luigi Torreggiani e Francesco Cotugno. Qui l’intervista è a Luca Tonarelli, direttore del Centro di addestramento anti-incendi della Regione Toscana “La pineta di Tocchi”. Si parla di incendi boschivi, e tra le tante cose ho imparato che cosa sono le cesse parafuoco.
🎥 Film da (non) rivedere
Lo diresse nel 2000 Danny Boyle, c’era un Leonardo DiCaprio 26enne a glorificare ogni inquadratura e s’intitola The Beach. Fu “grazie” al film se la spiaggia di Ko Phi Phi Leh in Thailandia, scelta come ambientazione, diventò famosa e quindi meta di un turismo aggressivo che ne distrusse l’ecosistema. Un paio di anni fa è stato con fatica ripristinato un equilibrio naturale, trasformando il luogo in un’area con accessi regolamentati e regole stringenti (niente bagni in acqua, ad esempio) per preservare l’ecosistema marino. Il film non è memorabile, la storia che si porta dietro però sì.
Direi che è tutto anche per oggi, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
I pannelli che riescono a parlarci sono il miglior viatico per agire sempre con cuore, che è quello che fa sempre la differenza. Se volete farla anche voi, basta pigiare il 💖 che sta nel solito posto, giusto qui sotto, alla fine del post.
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