In relazione
Linguetta #135 / Le coincidenze sono spazi di possibilità da esplorare, e funzionano quando le persone si lasciano attivare dall'incontro. Come accade per un testo.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Ero appena sceso dalla metro a Torino Porto Susa, di ritorno da una intensa ed emozionante tre giorni al Salone per presentare questo libro qui: L’arcipelago delle isoleombra (pubblicato con Sabir e illustrato da Marianna Balducci). Portavo su una spalla una borsa di tela di Minibombo regalatami allo stand, quando una ragazza che un attimo prima era lì, in piedi accanto a me, nella stessa carrozza della metro, mi ha chiesto se la borsa l’avevo presa là, al Salone.
Iniziamo a parlare, ci presentiamo, scopriamo di dover prendere lo stesso treno (io per Brescia, lei per Bergamo), che entrambi leggiamo ad alta voce, che lei ha una figlia di 5 anni cresciuta tra gli albi illustrati e io cinque nipoti che… uguale, che per tutt’e due la biblioteca è stata ed è il luogo che ci ha cambiatə.
Che insomma ci siamo incontratə per caso, per una coincidenza, nel tragitto verso la coincidenza di un treno. Che le coincidenze capitano.
Anzi, che siamo sommatorie di coincidenze.
La parola incīdĕre in latino vuole dire proprio capitare, avvenire, e legata alla particella co- racconta di qualcosa che capita insieme, simultaneamente. Qualcosa che lega due entità, due persone, due cose secondo un fortuito accadimento spaziotemporale.
Difficile risolvere in poche parole il pensiero filosofico attorno alla casualità di quello che ci succede; però possiamo azzardare che la differenza tra una vera coincidenza e una coincidenza-e-basta forse sta nel riuscire in qualche modo a intravedere qualcosa che ci riguarda nell’opacità di quell’incontro casuale.
È una questione di traiettorie e intersezioni.
Ed è una cosa che, ancora una volta, riesce a insegnarci la lingua che pratichiamo tutti i giorni, in qualsiasi forma:
Che noi siamo relazione.
Creature narranti
Crediamo a quello che raccontiamo, ma dipende sempre da come raccontiamo, anche quando stiamo “semplicemente” comunicando una bolletta della luce, il testo di una normativa, una circolare scolastica, una policy, l’iscrizione a un abbonamento, la descrizione di un evento, un cartello informativo.
La comunicazione sta sempre nella relazione, è sempre una narrativa.
Lo dice benissimo la content designer Valeria Evangelistella in questo pezzone su Medium, quando scrive:
Progettare contenuti vuol dire costruire ambienti informativi in cui prosperano relazioni.
[…] La progettazione di contenuti consiste nell’esaltare gli archi (le relazioni) più che i nodi (gli oggetti o entità). Progettare significa occuparsi di ponti tra entità.
Un testo è fatto di parole, e le parole sono prima di tutto immagini, strumenti grafici che servono a dare senso alle relazioni.
Si tratta di dare una struttura visibile ai testi, un’organizzazione visuale, di cui parlai anche nella Linguetta n. 115.
La scrittura è immagine e il testo è “la somma degli elementi che lo compongono e anche di tutti i collegamenti che esistono tra questi elementi” – dice sempre Valeria Evangelistella.
Sono sistemi, i testi.
Sono interfacce che suggeriscono connessioni fra tutte le cose che contengono. E che soprattutto attivano chi li progetta e chi li usa.
Anche
in questo post LinkedIn parla di progettazione di policy e circolari come testi che servono a fare incontrare le persone, a dargli valore.Lasciarsi attraversare
Per esistere le parole hanno bisogno di trovare un corpo che le dica, e di uno che le ascolti; per farlo serve disporsi a farsi attraversare dalle parole, aprirsi agli scenari narrativi, mettendo da parte scetticismi e pregiudizi.
Non è mica compito facile, ma senza questo sgombero di egoismi non possiamo funzionare. E non ci sarebbe spazio per gli incidenti narrativi, per le coincidenze, per le possibilità.
Riesce a dirlo bene Ugo Morelli nel pezzo Oggi, con chi parli uscito su Doppiozero lo scorso 30 aprile:
Appare evidente come non vi sia possibilità di relazione se non come approssimazione, in quanto non c’è logos senza dia: (intersoggettività) dia-logo; e non c’è immagine senza azione (azione): immagin-azione. Ridursi e ridurre al silenzio è il contrario di far lavorare in noi la parola grazie alla risonanza dell’altro.
Si tratta della “zona incontro”, in cui l’opportunità effettiva è quella di divenire altro nell’essere ciò che si è, nel trasformare sé stessi grazie alla composizione e ricomposizione del dialogo e dell’inenarrabile.
Una metamorfosi per cui trasferiamo qualcosa di noi in chi incontriamo, e viceversa.
E a proposito di incontri, nel siciliano orientale c’è una bella espressione che rende quest’idea di legame e attesa, cioè quando chi sta andando via ti dice Sto tornando; che sembra un controsenso ma contiene già il momento in cui ci si rivedrà, come se lì, insieme a te che aspetti, rimanesse un alone di chi se n’è andatə.
Così, nel momento delle dediche al Salone di Torino, parlandone con Marianna Balducci, ho scoperto che a Rimini, in dialetto romagnolo, esiste invece l’espressione vin olta, cioè vieni oltre, e si dice a qualcunə quando vogliamo che ci raggiunga.
Mi piace vieni oltre, perché è un invito a parlarsi ma anche la promessa di un altrove possibile, nello spazio e nel tempo. Una coincidenza.
P.S.
Rieccoci qua con l’ormai abituale Linguetta notturna, che arriva dopo una tre giorni di tanti incontri al Salone di Torino, compresi quelli con autrici e autori di belle newsletter conosciute dentro Substack, e con cui ci si è vistə finalmente faccia a faccia.
Perciò questa puntata finisce con un saluto a
, , , – più e con cui non ci siamo trovatə per poco. Chissà che in futuro non riusciamo a organizzare un bel raduno allargato di Substackers!🖊️ Inversi
Oggi pochi versi tratti dalla raccolta di poesie Coppie minime di Giulia Martini.
Io rime, tu rimedi.
Tu vai verso quello che credi,
io verso quello che rimane.
📚 Brevi incontri
Da un po’ di tempo mi piace scoprire forme di narrazione più brevi, a volte brevissime. Durano infatti al massimo una pagina i racconti di Manuel Moyano che stanno dentro la raccolta Teatro di cenere (traduzione di Antonio Candeloro). Li scoprii qualche anno fa al festival Una marina di libri di Palermo, e ogni tanto vado a rileggermeli. Come dice la copertina, queste microstorie tengono dentro “un fantastico che sfugge a qualunque tipo di categorizzazione”.
🎥 Visioni alternative
Non so come avevo fatto a sospenderla per diverso tempo, comunque in queste settimane ho ricominciato a vedere la serie tv L’uomo nell’alto castello1, in cui si immagina una realtà alternativa nella quale il regime nazista ha vinto la seconda guerra mondiale. E gli USA sono sotto il loro controllo per gran parte del territorio, a eccezione della costa occidentale governata dai giapponesi e di una sottile zona neutrale nel mezzo. Ma la resistenza cerca di sovvertire la realtà, grazie a dei filmati incredibili che mostrano altre realtà, in cui le cose sono andate diversamente. Sono arrivato alla fine della terza stagione (di quattro), ed è un crescendo. Sta su Prime Video.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Proviamo ad aprirci alle imprevedibili coincidenze, che in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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La serie tv L’uomo nell’alto castello è ispirata al romanzo di Philip K. Dick The man in the high castle, che in italiano s’intitola La svastica sul sole (traduzione di Maurizio Nati).
Che bel numero. Poetico. 🌸
Sarai a Palermo quest'anno? ☺️