Cose che spaventano
Linguetta #10 / Le parole semplici sono spesso sentite come povere, fuori contesto, "da bambini"; in realtà sono le parole che usiamo tutti i giorni per farci capire.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Avete mai pensato a quante volte usiamo le parole “cosa” o “cose”?
Ho delle cose da fare
Cose che capitano
Devo dirti una cosa
Sono cose che non puoi capire
Cose da pazzi
Ho una cosa per te
Metti a posto le tue cose
Cose dell’altro mondo
Non sono cose che ti riguardano
Fai una cosa alla volta
Le cose si mettono male
Sono cose di lavoro
Dimmi una cosa…
L’elenco potrebbe andare avanti ancora e ancora, ma il senso della cosa (!) è che le cose stanno dappertutto, che la parola ‘cosa’ si presta agli usi più diversi nei contesti più diversi. Questa parola polisemica, fatta di tanti significati, è una parola brillante perché:
È comprensibile da tutte le persone.
È semplice.
Troppo spesso però ci imbattiamo in parole che non sono affatto semplici, che ci costringono a fare uno sforzo per essere capite, parole di cui sentiamo l’attrito. Un po’ come andare con un paio di sci sulla ghiaia invece che sulla neve: gratta tutto.
Le parole semplici ci fanno paura
A volte, quando provo a spiegare a qualcuno perché usare una parola più semplice invece di una specialistica o tecnica, le obiezioni arrivano dritte come frecce:
Ma così denoto povertà lessicale!
Ma questa parola non è consona all’ambiente!
Ma in questo modo parlano i bambini!
Povere, stravaganti, da bambini.
Eppure le parole più belle, quelle che si fanno capire immediatamente sono proprio fatte così, sono parole semplici.
Il senso di vergogna che proviamo nell’usare parole semplici ci arriva da lontano, dalla verbosità di una lingua ricercata e letteraria, che trasformò la lingua pubblica in qualcosa di distante, di burocratico. E che spesso contagia anche il nostro modo di scrivere e parlare. Come un virus. E proprio come un virus si diffonde per contagio, facendoci sentire in una posizione di subalternità linguistica a cui adeguarci.
Come se le parole semplici rendessero infantile il discorso o addirittura offendessero l’intelligenza di chi ci circonda.
L’unico modo di sconfiggere questo virus burocratico è usare gli anticorpi che abbiamo in dotazione da quando nasciamo: le parole. Parole semplici, come cose.
Questo vale per le parole così come per le espressioni (che sono puzzle di parole), anche per quelle di ambito professionale, i paroloni che “quell’ambiente specifico richiede”, che fanno sembrare più intelligenti ma ottengono un solo effetto: sacrificano leggibilità e credibilità di chi legge/ascolta.
Sono le persone che contano, sono le persone che devono capire il testo.
Un testo chiaro e semplice si farà capire dai professionisti, dalle persone di cultura media, da chi ha un più basso livello scolastico, dalle persone che arrivano da Paesi stranieri. Sarà un testo-collante, in grado di raggiungere felicemente tuttə.
Un linguaggio semplice rimuove barriere
Quando scriviamo o parliamo in un ambiente pubblico, dobbiamo comportarci come i mezzi sgombraneve: togliere gli ostacoli linguistici, rendere le strade della comunicazione praticabili e percorribili.
La lingua italiana è fatta di 260.000 lessemi, però sono 47.000 i vocaboli che costituiscono il lessico comune di chi ha un’istruzione medio-alta. Sono invece circa 7.000 le parole del vocabolario di base, cioè l’insieme minimo di parole che garantisce la possibilità di comunicare (l’ha creato il linguista Tullio De Mauro ed è d’obbligo segnalarvi il suo libro Guida all’uso delle parole).
Usare parole semplici non è sintomo di povertà lessicale, è segnale di un pensiero chiaro.
Un po’ di parole ed espressioni le avevo elencate nella Linguetta #6 sul burocratese, ma ritornare sulle cose è utile a ricordarle. Perciò, ecco un altro breve elenco di parole/espressioni che la burocrazia ha trasferito nei nostri cervelli:
interloquire → parlare
nonché → anche, inoltre
ottemperare alla richiesta → rispondere, adeguarsi alla richiesta
apponga la firma → firmi
il fabbricato → la costruzione, la casa
incrementare il valore dell’immobile → dare più valore all’edificio
incentivare → stimolare, favorire
riscontrare → osservare, notare
agevolazioni → aiuti, vantaggi
molteplici problematiche → molti problemi
effettuare la cancellazione → eliminare
dare comunicazione → comunicare
portare a compimento → finire, concludere
conferire con il sindaco → parlare al sindaco
causa ostativa → impedimento
istanza da presentare → domanda da fare
differire una scadenza → rinviare una scadenza
produrre il documento → presentare il documento
le corrisponderemo 1.000 euro → le verseremo 1.000 euro
ci ha rappresentato la situazione → ci ha illustrato la situazione
esibire la tessera → mostrare la tessera
Leggere non è naturale. Vedere è naturale.
Il solo usare parole semplici non risolve magicamente tutti i problemi, perché poi le parole vanno inserite in testi bene organizzati e con una struttura chiara, che il lettore possa facilmente elaborare: soggetto, verbo, complemento. E servono frasi brevi (non oltre le 20-25 parole). Però iniziare dalle parole semplici è un passo necessario per rendere quello che scriviamo il più comprensibile possibile.
Allora dobbiamo essere concreti, fare vedere le cose a chi ci legge, come se le parole che usiamo fossero oggetti. Come se fossero cose.
È il principio della lingua come design di cui ho parlato nella Linguetta #8, che ritorna sempre, perché le cose che facciamo, le facciamo per le persone.
Allora usiamo un lessico comune, familiare ai più.
Attingiamo il più possibile dal vocabolario di base.
Mettiamo al bando arcaismi, latinismi, anglismi (a cui dedicherò una puntata speciale di Linguetta), parole pesanti, astratte, forbite, vaghe.
Escludiamo le nominalizzazioni (quelle che finiscono in -zione, per intenderci), che lo scienziato cognitivo Steven Pinker chiama parole zombie.
Dimentichiamoci dei verbi deboli (procedere alla valutazione, effettuare il pagamento, provvedere alla liquidazione) preferendo sempre verbi forti (valutare, pagare, liquidare), come insegna Luisa Carrada.
Usiamo con parsimonia acronimi e abbreviazioni.
Limitiamo l’uso di termini tecnici e specialistici.
Quando citiamo una sigla, indichiamone il significato per esteso, la prima volta.
Insomma, cerchiamo di scrivere con semplicità.
Ce lo dice in sintesi il redattore editoriale Massimo Birattari nel saggio È più facile scrivere bene che scrivere male:
Non abusate di sostantivi astratti, e sostituiteli con i verbi che esprimono l’azione condensata nel nome. Immaginate di spiegare qualcosa a un bambino: così imparerete a sforzarvi per capire. Rileggete ad alta voce quello che avete scritto, e provate ad ascoltarvi dall’esterno.
All’essenza delle cose
Scrivere in modo semplice vuol dire anche sbarazzarsi di espressioni trite, ridondanti, pesanti, superflue:
singolo individuo → individuo
basi fondamentali → basi
tre diverse sezioni → tre sezioni
della durata di dieci minuti → di dieci minuti
protagonista principale → protagonista
requisiti necessari → requisiti
collaborare assieme → collaborare
moda passeggera → moda
di una certa importanza → importante
di natura psicologica → psicologico
di vasta esperienza → esperto
al momento attuale → ora
in molte occasioni → spesso
al giorno d’oggi → oggi
in data odierna → oggi
in qualità di → come
Quando dobbiamo usare una parola astratta, chiediamoci sempre se è davvero utile o se serve solo a darci un tono. Alla fine le parole stanno dappertutto, come le cose. Quelle che condividiamo tutti noi parlanti italiani sono le circa 7.000 del vocabolario di base, coprono il 98% dei discorsi che facciamo e sono divise così:
Fondamentali (FO) → sono circa 2.000 parole ad altissima frequenza, usate nell’86% dei discorsi e dei testi. Sono parole che usiamo, sentiamo, leggiamo e di cui non abbiamo bisogno di chiedere il significato. Ad esempio: mattina, schermo, prima, vetro.
Alto Uso (AU) → sono circa 3.000 parole di uso frequente, che coprono il 6% delle occorrenze e sono note a chi abbia un livello di istruzione pari a sette/otto anni di scuola. Ne fanno parte gli aggettivi più comuni, i verbi di relazione, i vocaboli che indicano i concetti principali. Ad esempio: ribelle, lassù, incominciare, avvenimento.
Alta Disponibilità o Familiarità (AD) → sono circa 2.000 parole usate solo in alcuni contesti ma comprensibili da tutti i parlanti, anche se poco comuni nei testi scritti. Sono parole che risultano essenziali nelle situazioni quotidiane specifiche e sono legate all’esperienza. Ad esempio: sapone, forchetta, sbucciare, tunnel.
A spiegare bene questa cosa è Licia Corbolante, che si occupa di gestione e ricerca terminologica sul suo dettagliato blog.
In ogni caso, l’elenco completo delle 7.000 parole lo trovate in questo PDF (FO in grassetto, AU normali, AD in corsivo)
Linguetta lunghetta oggi, ma almeno può rimanervi da consultare se avete dei dubbi o volete riguardarvela ogni volta che vi sta per uscire dalla bocca una parola semplice come COSA. Beh, se vi capita, ditela tranquillamente.
Le persone vogliono testi facili da leggere, che consentono di arrivare dritti alla questione. D’altra parte, nessuno si lamenterà mai per un testo troppo facile da capire 😅.
📚 Cose da leggere
I libri che vi consiglio oggi sono per forza di cose (!) i due scritti dalla redazione del quotidiano digitale Il Post ed editi da Iperborea. Due libri che … lo sapete come s’intitolano?
COSE. Spiegate bene
Già, perché voi, online, dove andate per farvi spiegare bene una cosa se non sul Post? La voce che la redazione del Post è riuscita a creare dal 2011 a oggi è unica in Italia, perché i suoi giornalisti e giornaliste riescono a descrivere e raccontare le cose sempre in maniera chiara, sintetica, esaustiva. Semplice, no?
Allora cerchiamo di “cosare” un po’ di più tutti quantə 😅. Che ovviamente non vuol dire essere approssimativə, ma usare quella semplicità propria delle cose fatte bene e dette bene.
Che poi, a “cosare” le cose, ci erano già arrivati degli strani ometti blu alti due mele o poco più, e abitavano in un minuscolo villaggio di funghi. Soltanto che loro dicevano: “Puffiamo questa cosa?”.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!