La lingua è una maniglia
Linguetta #8 / Scrivere un messaggio è come progettare un oggetto: dall'altra parte dev'esserci qualcuno in grado di capire subito come funziona, e così usarlo.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Oggi un post che non parte come al solito da un esempio d’uso linguistico, ma vedrete che sarà più “materico” delle Linguette precedenti, avrà la concretezza della maniglia che sta nel titolo.
Già, le parole sono come una maniglia: aprono porte.
Però ci sono parole e parole:
alle parole della letteratura chiediamo l’ambiguità, chiediamo di spingerci in mondi inafferrabili e pieni di punti di domanda;
alle parole della comunicazione pubblica chiediamo limpidezza, appigli, direzioni, risposte.
La comunicazione pubblica non è letteratura.
Dalla comunicazione pubblica vogliamo il percorso più breve e semplice per fare qualcosa. Dev’essere buona e funzionale. Ecco, la parola magica: funzione.
La comunicazione deve funzionare, esserci utile. Che è quello che chiediamo a un qualsiasi oggetto intorno a noi, sia uno schiaccianoci, un interruttore, una motosega oppure una maniglia.
Vogliamo capire subito come fare a usarlo e poi … usarlo.
Parole come oggetti
Le parole devono essere usabili, cioè senza attriti, facili da capire, facili da ricordare, piacevoli da usare, come se l’azione che compiamo fosse un automatismo già al primo tocco.
Parlare di usabilità per le parole può sembrare strano, perché pensiamo sempre che le parole siano immateriali, non quantificabili, non tastabili, caratteristiche che di solito attribuiamo a un prodotto, sia esso un oggetto o un’interfaccia (ad esempio il sistema operativo del nostro smartphone).
Invece le parole sono proprio come oggetti, e sceglierle in modo appropriato consente di comporre messaggi che funzionano, in sintonia con il modello mentale di chi lo riceve.
Adesso lo spiego con alcuni esempi.
Nel 1996 sono stato a Londra e due cose mi sono rimaste scolpite nella memoria come se tutto fosse accaduto ieri (e invece è un quarto di secolo che non ci rimetto piede 😭). Comunque, di quella visita ricordo che:
Gli attraversamenti pedonali erano accompagnati da due scritte: LOOK LEFT / LOOK RIGHT (guarda a sinistra / guarda a destra).
Sulla banchina della metropolitana c’era scritto MIND THE GAP (attenzione al buco, al vuoto), riferito allo spazio tra il bordo della banchina e il vagone della metro.
Sono due casi di buon design, perché lavorano entrambi nella direzione dell’usabilità cortese. Sostando ancora un attimo nella lingua inglese, parlo del grande designer statunitense Donald Norman, quando dice che:
un oggetto dev’essere carico di affordance. L'affordance è l’invito all’uso; la capacità di un oggetto di suggerire immediatamente come va usato.
Per capire meglio facciamo due esempi di cattiva affordance che molti avranno sperimentato in prima persona:
Le maniglie che separano le carrozze dei vecchi regionali di Trenitalia, non si sa mai se spingerle o tirarle e ci costringono a uno sforzo mentale supplementare per capire che cosa dobbiamo fare.
Le decine e decine di soluzioni per aprire i rubinetti di un bagno pubblico, per cui ogni volta entriamo nel panico e pensiamo di fare la figura dei pirla quando non capiamo come azionarli.
La lingua è design
Perché design significa progettazione, e anche la lingua che dobbiamo usare per una comunicazione pubblica va progettata come un qualsiasi altro oggetto.
Ogni messaggio deve parlare la lingua della gente.
Se usate in modo appropriato, le parole guidano, rassicurano, soddisfano le persone.
Il titolo di un famoso libro dell’esperto di usabilità web Steve Krug è Don’t make me think (Non fatemi pensare). Lui usa questa frase per spiegare come devono funzionare gli ambienti web, come renderli accoglienti per le persone che li visitano, immediatamente comprensibili, perché vivano un’esperienza piacevole e così possano tornare e tornare e tornare. Lo stesso vale per l’ambiente pubblico in cui ogni giorno ci si confronta con persone che hanno bisogno di qualcosa.
Quel don’t make me think deve risuonare come l’aiuto che la gente richiede: non fatemi pensare, fatemi trovare il percorso giusto da imboccare senza deragliamenti.
Trovare le risposte senza doversi chiedere come si fa, e ritrovarsi così a proprio agio. Proprio come quando ci troviamo davanti a una porta e non dobbiamo pensare in che modo funziona la maniglia. Lo sappiamo già, perché quella maniglia ce lo dice chiaramente.
È lo stesso per le parole pensate e progettate con cura, quelle che parlano la lingua della gente e indicano azioni da fare.
Lo dice bene l’architetta dell’informazione Yvonne Bindi nel suo libro Language Design:
Le parole si usano all’interno di precisi contesti per compiere delle azioni, possono essere più o meno facili da comprendere e da usare e quindi più o meno adeguate alla loro funzione. […] Se le parole sono sbagliate, o collocate in una posizione sbagliata, o aggregate in messaggi difficili, diventano cattive consigliere e ci conducono dritte all’errore. Per tutto questo credo che si possa a buon diritto parlare di usabilità delle parole.
È sempre questione di sintonia tra chi scrive e chi legge, tra chi progetta un’informazione e chi dall’altra parte la riceve. La Pubblica Amministrazione deve farlo per mandato, come dicevo nella Linguetta #6, preoccupandosi di adattare la comunicazione alle esigenze delle persone.
Tutta questione di design, insomma.
Parole come maniglie, ben progettate 😉.
📚 Piccola pila di letture
Facciamo il punto dei libri citati ed evocati oggi.
Steve Krug, Don’t make me think per capire meglio come progettare (e come non progettare) siti web, cosa utile a chiunque debba digitare un indirizzo nella barra di ricerca (cioè tuttə coloro che hanno accesso a Internet).
Yvonne Bindi, Language Design perché disegnare un messaggio è come disegnare un oggetto: entrambi devono funzionare. Ed è una Bibbia per la grande quantità di esempi che ci trovate dentro nei più svariati contesti.
Donald Norman, La caffettiera del masochista perché come recita la copertina è “un libro imprescindibile per la buona progettazione”; perché ogni cosa, prima di diventare una frase o un prodotto, si forma in modelli nella testa di chi progetta.
🎥 Cinema & Design
E siccome l’avete capito che sono un cinefilo indomito, vi do anche qualche film che mi è venuto in mente pensando a lingua e design. Direi il thriller di Roman Polanski L’uomo nell’ombra, che nella traduzione fa perdere il legame con la parola: il titolo originale è The Ghost Writer, ed è tra le righe che bisogna leggere per risolvere il mistero.
Consiglio numero 2 (per cinefili hors categorie): Dogville di Lars Von Trier (2003), in cui l’estetica della progettazione diventa significato aggiunto alla narrazione.
E poi Alice nel paese delle meraviglie, sì proprio quello della Disney. Perché? Perché c’è una bellissima maniglia ostinata che non vuole aprirsi 🤣.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!
🎃 Lo scherzetto più bello
Manca solo un anno al prossimo Halloween, sarebbe strabello avere un sacco di altre Linguette a cui parlare!
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