Impantanati nel burocratese
Linguetta #6 / Quando ci troviamo di fronte a un testo fatto di parole astruse, le sensazioni sono le stesse di quando ci impantaniamo: fastidio e frustrazione.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Oggi ci fiondiamo sul burocratese, che Italo Calvino definì l’antilingua in un famoso pezzo scritto nel 1965 sul Giorno (googlatela e vi salta fuori subito).
Il burocratese è la cosiddetta lingua del burocrate, cioè colui che è impiegato in un ufficio (dal francese bureau). E questa parentela d’Oltralpe non è casuale:
“L’Italia, a partire dal periodo napoleonico ha adottato il modello giuridico e amministrativo francese, e di conseguenza, un’amministrazione forte e autoritaria”1.
Breve digressione storico-linguistica
Questa cosa che abbiamo adottato il modello amministrativo francese si riflette anche nel termine con cui definiamo gli impiegati pubblici: funzionari.
Già, l’abbiamo preso dal francese fonctionnaire, uno che assolve alla sua fonction publique; un vocabolo nato alla fine del XVII secolo per definire lo statuto speciale di chi agiva per conto di un pubblico potere (imperiale). Cioè parliamo di qualcuno che “esercita funzioni che comportano un potere di rappresentanza di un ente” (vedi la voce della Treccani), una specie di ingranaggio all’interno di un meccanismo.
Gli inglesi invece usano i termini civil servant e civil service, che derivano dal latino civilis, a sua volta derivato di civis, cioè cittadino. La versione anglosassone ci parla di servizio civile, mette l’accento sul servire, che non vuol dire ‘essere servo’ bensì servire, essere utile, esserci per qualcuno. È la relazione con qualcuno la cosa più importante, qualcuno a cui servire.
Eppure, divergendo dalla nostra tradizione giuridica di stampo francese, nella Costituzione italiana c’è scritta una cosa che vale più di tutto, e si allinea al modello anglosassone. Un’espressione che fa contare le persone, espressa nell’articolo 98:
I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.
Insomma, i padri costituenti dimostrano ancora una volta che già nel 1946 seppero trovare poche parole esatte: usando il termine ‘nazione’ hanno voluto sottolineare il diretto rapporto tra amministrazione e cittadini.
Poche ma buone
Se usiamo il burocratese, le persone non ci ascoltano, non capiscono, non sono coinvolte. Si tratta di una lingua che nega la comprensione di sé stessa, quando invece la Costituzione ci dice che le amministrazioni devono raggiungere tutti, essere comprensibili a tutti i cittadini, al di là di contesto, formazione, realtà socioculturale.
Sono poche ma buone le parole da usare.
Basta che ogni parola sia utile.
Dobbiamo combattere il burocratese che trasforma le persone in utenti, usa concetti invece di parole concrete, piazza acronimi e abbreviazioni incomprensibili, scrive istruzioni lunghe zeppe di incisi e parentesi, usa sostantivi invece di verbi.
Ma qual è ‘sto burocratese?
Ah, c’è solo l’imbarazzo della scelta - di sicuro ci tornerò su in future Linguette, sull’uso del burocratese, perché continuare a parlarne ci rende più consapevoli.
Per oggi vediamone alcune espressioni, seguite dopo la freccia da un’alternativa in linguaggio piano:
al fine di → per
a mezzo di → con
a partire da → da
altresì → anche, pure
apporre → mettere
attendere → aspettare
attenzionare → evidenziare qualcosa, sorvegliare qualcuno
avvalendosi di → con
causa ostativa → impedimento
con l’ausilio di → con
con l’eccezione di → tranne
con l’obiettivo di → per
congiuntamente a → con
criticità → problema
le corrisponderemo 100 euro → le verseremo 100 euro
dare comunicazione → comunicare
effettuare → fare
emolumenti → soldi guadagnati, stipendio
errato → sbagliato
esemplificazione → esempio
esibire la tessera → mostrare la tessera
essere ubicato → trovarsi
fare l’incontro → incontrare
finalizzato a → per
giungere → arrivare
impianto natatorio → piscina
in assenza di → senza
in calce → a fine testo, a piè di pagina
in data odierna → oggi
in molte occasioni → spesso
in orario antimeridiano → di mattina
in ottemperanza → per, nel rispetto di
in qualità di → come
in seguito a → dopo
istanza → domanda
mancato accoglimento → rifiuto
mediante → con
metodica → metodo
nell’ambito di → per
nell’eventualità che → se
nell’ottica di → per
notiziare → informare
nulla osta → parere favorevole
obliterare → timbrare
ostativo → d’impedimento, d’ostacolo
pertanto → quindi
porre in essere → avviare
previo appuntamento → su appuntamento
privo di → senza
problematiche → problemi
produrre un documento → presentare un documento
ci relazionerà → ci parlerà di
qualora → se
rammentare → ricordare
recarsi→ andare
reperire → trovare
riscontro → risposta
risorse umane → impiegati
sottoporre a esame → esaminare
tematica → tema
tipologia → tipo
titoli di viaggio → biglietti
unitamente a → con
utilizzare → usare, impiegare, servirsi di
vi sono → ci sono
visionato → visto, letto, guardato
volto a → per
Questo è un disordinato elenco di espressioni (però in ordine alfabetico 😅) che ci possiamo trovare davanti agli occhi o dentro gli orecchi tutti i giorni, sia all’interno sia fuori da un ufficio amministrativo.
Un piccolo compendio di preposizioni, sostantivi, verbi, locuzioni usate per “infiorettare” e “abbellire” lo stile della lingua. Questo abbellimento è un retaggio che ci portiamo dietro dall’Unità d’Italia, per via della letterarietà della nostra lingua scritta, che veniva insegnata così nelle scuole per affrancarsi dalla lingua parlata fatta di tanti dialetti diversi.
La lingua pubblica - delle amministrazioni ma anche di altri ambiti specialistici - deve confrontarsi con un pubblico variegato, e deve andare incontro a ogni persona.
Deve farsi capire.
Usare una lingua chiara e semplice non è sintomo di povertà lessicale, è la miglior forma di comunicazione possibile per essere utile a chiunque.
Il professor Alfredo Fioritto, docente di Diritto amministrativo alla facoltà di Giurisprudenza di Pisa, dice:
Semplificare vuol dire rispettare il principio democratico che assegna a ciascuno di noi una quota di sovranità. Se ciascuno di noi è sovrano, non possono esserci barriere tra il cittadino e le istituzioni perché non c’è diversità tra cittadino e Stato.
Utile e consapevole
Questi due aggettivi qua sopra fanno sintesi di tutte quello che ho scritto. Scrivere (o parlare) una lingua che si faccia capire significa usare una lingua fatta di scelte. Conoscere le opportunità della lingua rende ogni nostra scelta consapevole, soprattutto produce una lingua comune tra noi e chi ci legge/ascolta.
Ci capiamo, insomma.
E giriamo sempre attorno al motto di questa newsletter. Ve lo ricordate?
Fàt éntènder!
(dal dialetto bresciano ‘fatti capire’ 😉).
Ovviamente questo era solo un aperitivo del burocratese che possiamo incontrare (la cui deriva più terrificante è il legalese), perché poi ci sono tutti gli arcaismi, i tecnicismi, gli anglicismi, le attenuazioni, le perifrasi eufemistiche, gli acronimi, le abbreviazioni, ma magari li vediamo un’altra volta.
Leggi e guarda
Un primo consiglio di lettura (da cui ho preso anche alcune delle espressioni burocratesi elencate) è Paroline & Paroloni di Luisa Carrada, essenziale e ricco di tanti esempi sull’uso mai banale del vocabolario con cui costruiamo la nostra lingua.
Il secondo è il libro che vedete in nota, scritto da Alfredo Fioritto. Praticamente una bibbia per chiunque lavori nell’amministrazione pubblica; nonostante sia stato scritto più di dieci anni fa è ancora attuale, cosa che mi scatena un sentimento ambivalente tra euforia (per la cura dell’autore) e disperazione (perché la situazione evidentemente non è molto cambiata).
Però mi tiro subito su pensando a un film sulla (cattiva) burocrazia, o meglio un cartone animato (francese): Le 12 fatiche di Asterix; e ovviamente il pensiero va a quell’incredibile nona fatica che è ottenere il Lasciapassare A38 🤣🤣🤣.
Per oggi è tutto.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Alfredo Fioritto, Manuale di stile dei documenti amministrativi, Il Mulino, Bologna, 2009.