Con rispetto
Linguetta #117 / Progettare rispettando chi legge/ascolta/guarda significa riconoscere il valore di un momento, nel quale si diventa consapevoli di un contenuto o una storia.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Siamo al cinema, finisce il film, titoli di coda. Si accendono le luci in sala. Eppure il film non è finito, sta proseguendo sullo schermo mentre molte persone si alzano, parlottano, escono.
Sarà che sono cresciuto avvolto nei film, guardati in famiglia da bambino e da ragazzino con genitori e fratello (poi anche sorella); sarà che questa passione assorbita per osmosi è diventata una personale fascinazione per quell’illusione di movimento in 24 fotogrammi al secondo1, comunque quel momento lì, quando compaiono e iniziano a scorrere i nomi di chi ha costruito il film, per me quello lì è il momento in cui assorbo il film.
Come succede prima di chiudere un libro, alla fine di una presentazione, al termine di uno spettacolo, di un disco, di un disegno, di un’opera d’arte osservata.
Come in un testo che funziona, arrivatə alla fine proviamo un senso di grazia.
Immersə nel buio della sala stiamo facendo più nostra la storia, le stiamo dando una direzione interiore rispetto alle nostre emozioni, in un certo senso la stiamo “digerendo”.
Assomiglia un po’ alle sottolineature in un libro, alle note prese a margine: vogliamo che quelle parole diventino una nostra proprietà, anzi parti di noi stessə.
Tenerle spente, quelle luci dentro alla sala del cinema, è un atto di rispetto: per chi ha progettato la storia e per chi l’ha vista e ascoltata.
Specchio riflesso
Rispettare è un’azione vicendevole, che tiene dentro una riconoscenza: quando rispettiamo qualcosa o qualcunə, ne stiamo riconoscendo il valore.
L’etimologia rende evidente questo rapporto, perché rispetto deriva dal verbo respicere, cioè guardare indietro (-re, indietro; spicio, guardo).
Il rispetto è come uno specchietto retrovisore: vedere quello che c’è dietro anche se guardiamo avanti.
Ed è nelle piccole azioni ben curate che lo possiamo osservare, perché il rispetto è quel momento in cui possiamo riflettere, pensare, assorbire, capire.
Si tratta di un margine che attiva la ricerca.
Non lo possiamo chiedere, il rispetto, perché lo appiattiremmo sull’arroganza. Il rispetto è una cosa piccola, è la consapevolezza che arriva quando facciamo nostro un codice: linguistico o visuale che sia.
Rispettare significa cambiare l’arco di prospettiva del nostro sguardo, e ha a che fare con la delicatezza, con la gentilezza.
Ecco perché una micro-azione di Disney+ l’ho trovata più rispettosa in confronto alla stessa fatta da Netflix, cioè quello che accade quando arriviamo alla fine di un episodio di una serie tv:
su Disney+ c’è un pulsante lungo quasi un terzo della larghezza dello schermo che dice Il prossimo episodio inizia tra 10 secondi, e il countdown parte a scalare; inoltre, accanto compare una miniatura dell’episodio in corso su cui cliccare per continuare a guardare i titoli di coda fino alla fine.
su Netflix compare un piccolo pulsante Prossimo episodio, ed è una barra di avanzamento che dura 5 secondi (senza però indicazione numerica); non c’è una miniatura ma solo un’altra sottile barra per continuare a vedere i titoli di coda dell’episodio in corso.
Sono due esempi che molte persone sperimentano, ma anche qui si tratta di come usiamo la lingua per parlare alla gente.
Il rispetto, come le parole, è una cosa che si fa.
Tutto in un gesto
Quelli di Disney+ e Netflix sono meccanismi di nudge al contrario: l’esempio classico di nudge è quello del bancomat, quando tra due opzioni siamo invitatə alla scelta ecologica, evidenziando il pulsante che non stampa lo scontrino di carta dell’operazione appena fatta.
Si tratta di una spinta gentile, un’azione che cerca di indirizzare il nostro comportamento. Nel caso delle due piattaforme di streaming parlo di nudge al contrario, perché quello che invitano a fare è il consumo dell’episodio successivo; eppure, anche in questa deriva del nudge abbiamo visto che ci sono modi diversi di farlo.
Il rispetto è un atto di gentilezza, cioè di ascolto.
Si pratica con la scrittura, usando parole che influiscono sul modo in cui si sentono le persone. Allora scrivere con rispetto può voler dire tante cose:
Avere in testa il proprio pubblico, quindi non mettergli di fronte interfacce rozze, etichette confusionarie, architetture disorientanti.
Dare il contesto giusto: ad esempio sapere spiegare il perché ci servono certe informazioni personali (email, indirizzo, codice fiscale), oppure non chiederle se non ci servono veramente.
Rendere le cose facili da risolvere, anche quando gli inconvenienti non dipendono direttamente da noi, ma siamo prontə a trovare una soluzione per procedere.
Liberare la strada (penso ad alcuni siti con login o iscrizioni obbligatorie).
Scrivere con chiarezza e completezza, eliminando tracce di ambiguità, specie quando ci si trova nella sezione di un sito web in cui si sta completando un acquisto.
Il rispetto è consapevolezza, è un gesto che si sceglie di fare proprio.
Chi progetta può scegliere di agevolarlo, come dice sinteticamente l’autore e imprenditore americano Seth Godin nel breve post Sorry/Thanks sul suo blog. Lo traduco qui sotto:
Se vi trovate spesso a dire “scusa” e non far procedere la conversazione, potreste provare a sostituirlo con “grazie”.
Allora una frase come “Mi spiace che questo piatto sia uscito dalla cucina dopo gli altri” diventa “Grazie per la paziente attesa”.
E la frase “Mi spiace sia saltata la connessione” diventa “Grazie per aver richiamato”.
È un cambiamento sottile: dall’allontanamento alla connessione.
Il rispetto connette, come un sorriso.
P.S.
Rieccoci come sempre alla domenica sera con Linguetta, che cerca sempre di rispettare la vostra attenzione, non prendendovene troppa. Grazie per esserci.
🖊️ Inversi
I versi di oggi sono di un limerick, cioè una forma di poesia umoristica o nonsense tipica della lingua inglese. Lo ha scritto quello che è stato un grande autore (e forse inventore) di limerick, Edward Lear. Sta nella raccolta Il libro dei nonsense, di seguito vi riporto cinque versi originali nella traduzione di Carlo Izzo:
There was an Old Person of Spain,
Who hated trouble and pain;
So he sat on a chair,
With his feet in the air,
That umbrageous Old Person of Spain.
C’era un vecchio di Sant’Elpidio
Che odiava ogni pena o fastidio;
Per scansare la sorte contraria
Sedeva quindi con le gambe all’aria,
Quell’ombroso vecchio di Sant’Elpidio.
📚 Nidi bui
Tra i diversi libri che mi hanno già tenuto compagnia dall’inizio dell’anno la maggior parte sono di letteratura per ragazze e ragazzi, e ce n’è uno che mi aveva consigliato poco tempo fa
e che ha risvegliato in me tanti collegamenti: è Il nido di Kenneth Oppel (illustrazioni di Jon Klassen, traduzione di Giordano Aterini). Mi è piaciuto perché idealmente sta nell’arcipelago di storie della mia testa dove stanno anche Skellig e Sette minuti dopo la mezzanotte. C’è Steve, che ha un fratellino che non sta bene, e c’è un’atmosfera rarefatta, di sogni e di incubi, e di qualcosa contro cui lottare per scoprire quanto sia perfetta la propria imperfezione.🎥 Volando tra mondi
Ho inaugurato l’anno con un pomeriggio in sala, vedendo Il ragazzo e l’airone. Quando le luci si sono spente è stato proprio bello immergersi nelle atmosfere di Hayao Miyazaki, anche perché gli altri suoi film li avevo visti solo dentro il piccolo schermo. Che cosa vi devo dire: se potete, andate a vedere questo miscuglio fiabesco in cui il regista porta le sue creature (umane e non) nello spazio d’intersezione fra magia e fantascienza. Un’opera complessa, e sicuramente la più adulta di tutte quelle che ha fatto.
Ah, non so se Miyazaki abbia dato un’indicazione precisa ai proiezionisti di tutto il mondo, ma con Il ragazzo e l’airone le luci in sala sono rimaste spente fino alla fine dei titoli di coda!
🎧 Lingue migranti
Ho finito di ascoltare le cinque puntate del podcast L’invasione, scritto e raccontato dal giornalista Luca Misculin e da Riccardo Ginevra, docente di linguistica generale e storica all’università Cattolica di Milano.
È un’immersione che consiglio a chiunque: perché si parla delle origini del protoindoeuropeo da cui derivano le lingue che parlano 3,5 miliardi di persone qui sulla Terra; perché sentendo Misculin e Ginevra si impara a imparare; perché ci ricorda che la parola che caratterizza gli umani è migrazione; perché le cose non sono mai definitive, ma sempre in divenire.
Si ascolta sull’app del Post (scaricabile per Android e Apple) oppure sulle altre piattaforme. Qui sotto, vi linko su Spotify la prima puntata, che s’intitola Avis akvāsas ka (cioè La pecora e i cavalli).
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Cerchiamo sempre la via del rispetto, in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Ci ho fatto due tesi di laurea, sul cinema: alla triennale in Scienze della Comunicazione fu Sergio Leone e il suo “C’era una volta in America”; alla specialistica in Giornalismo fu La metamorfosi nei film di fantascienza. Tra aspetti mitologici e angosce contemporanee — grazie ai due professori cinefili Mario Guidorizzi e, soprattutto, Giancarlo Beltrame.
Che gran fatica farsi venire il torcicollo per leggere i titoli di coda e non far montare la rabbia contro chi non riesce a cogliere la magia del cinema.
Io nei cinema metterei dei sistemi di dissuasione a fine film proprio per non far alzare in piedi le persone. Non solo perché voglio leggere dove sono state girate certe scene o qual è il titolo di quella canzone che mi risuona nella testa, ma anche perché pure quella dei titoli di coda (e di apertura) è un'arte che può riservare grandi perle. Stile, layout, ma anche vere e propri spezzoni di film o del dietro le quinte che regalano qualcosa in più.