Appropriarsi
Linguetta #122 / Occupare spazi di potere per indirizzare le persone è l'opposto di quello che fa la lingua, che prende posizione per far convivere le differenze.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
C’è una parola che ha un’etimologia oscura, come il significato che esprime. È una parola che arriva dal greco ma che usiamo anche in italiano:
hýbris, cioè violenza, oltraggio, prevaricazione.
È una parola che ha a che fare con il presumere della Linguetta #120, e che per i greci significava mettersi al pari degli dèi.
La hýbris è di chi zittisce, di chi impone, di chi rivendica un possesso di idee e di verità non negoziabili. È un’azione collegata al concetto di proprietà, all’appropriarsi per escludere le differenze.
E le azioni sono l’esercizio di un atto linguistico, perché le parole fanno.
Appropriarsi delle cose significa separare: capita quando un partito si appropria di scrittori come J.R.R. Tolkien; quando si appropria di opere letterarie come La storia infinita e di personaggi come Atreiu; quando si appropria di cariche, come la direzione del Teatro di Roma, la dirigenza di una rete televisiva pubblica, la presidenza della fondazione La Biennale di Venezia o ancora la presidenza del Cepell (Centro per il libro e la lettura).
Parole e azioni che prevaricano sono legate saldamente all’espressione di un pensiero che si pensa come un blocco unico, fatto di una sola materia e non contaminabile.
Lo dice bene il giornalista Marino Sinibaldi (ex presidente proprio del Cepell) nella puntata La destra e l’egemonia culturale del podcast Timbuctu dello scorso 22 gennaio:
Lottizzare significa dividere un bene, assegnandolo a pochi ma diversi tra loro.
Occupare significa omologare tutto, non dividere nulla.
Desiderare potere
Ci sono particelle della lingua così piccole, eppure capaci di creare enormi differenze di significato: sono le preposizioni semplici.
C’è ad esempio una bella differenza tra il potere di (fare qualcosa) e il potere su (qualcosa o qualcunə), come spiega bene
in un suo post LinkedIn.Il primo esprime una possibilità, il secondo invece un’autorità.
Detenere il potere su cose e persone è segno di uno scompenso di posizioni che intende conservarsi. Ed esprime un possesso.
I dettagli delle parole che usiamo (a volte piccoli come preposizioni) dicono già tanto di che cosa vogliamo essere, come racconta in un pezzo per Lucy sulla cultura lo scrittore Nicola Lagioia:
Al ministero è stato cambiato il nome, e forse non è un dettaglio. È successo sotto il centro-sinistra. Prima, si chiamava “Ministero per i beni e le attività culturali”. Ora si chiama “Ministero della cultura”.
Nel primo caso si lasciava intendere che il governo dovesse supportare e tutelare le attività culturali che nel paese vengono svolte liberamente. Adesso sembra quasi che il governo quelle attività debba indirizzarle.
Invece di sostenere, dà un mandato, come se la cultura fosse un possedimento.
Avere, disporre, controllare: le parole definiscono sempre i contorni di intenzioni e azioni, specie quelle politiche.
E ogni parola, gesto, cosa che facciamo è politica, per il solo fatto che occupiamo uno spazio di relazione nel mondo.
L’intreccio biunivoco fra dire e agire ci determina come esseri umani. Allo stesso tempo le parole sono come le relazioni: possono essere buone, tossiche, coinvolgenti, denigratorie, accoglienti, autoritarie.
Siamo noi che decidiamo che parole vogliamo abitare.
In posizione
Le parole sono politiche, descrivono una nostra posizione nel mondo. Anche quando scegliamo di non pronunciarle.
Nei giorni scorsi, alcuni artisti ne hanno scelte di importanti sul palco del festival di Sanremo, sia nelle canzoni che hanno portato sia nei commenti che hanno pronunciato (prima, durante e dopo il festival).
Come ha fatto Ghali con Ratchopper nella serata delle cover, cantando parole splendide in arabo nel pezzo Banya (Vederci chiaro) e poi completando il medley con estratti della sua Cara Italia e di Italiano vero di Toto Cutugno.
Le parole politiche sono attivatrici del discorso pubblico, e lo sono state anche nella puntata speciale di Domenica In dal palco dell’Ariston, in due occasioni:
Con Dargen D’Amico che ha parlato di Italia come paese dell’ospitalità e dell’accoglienza, ahimè interrotto da Mara Venier con la scusa che “questa è una festa e sono tematiche che non si possono affrontare in pochi minuti” ― ma se non lì, se non con la voce di chi pensa in maniera non omologante, allora quando?
E ancora con Ghali, che con enorme maturità e compostezza ha risposto all’ambasciatore israeliano sull’opportunità di dirsi contro la guerra e il genocidio, parlando da quel palco.
Che stiano dentro un pezzo cantato o in un breve discorso, le parole possono fare tanto.
Le parole possono cambiare le cose, perché possono interrogarle quelle cose, e possono muovere le persone.
E l’opporsi alle appropriazioni sta anche in alcuni versi delle canzoni portate a Sanremo da Dargen D’Amico e Ghali. Questi:
Siamo più dei salvagenti sulla barca
Sta arrivando sta arrivando l’onda alta
(Onda alta)Sto già meglio se mi fai vedere
Il mondo come lo vedi tu
(Casa mia)
Sono versi che parlano di movimento, di chi arriva, si sposta, vive. Della convivenza delle differenze di cui è fatta la lingua.
E lo racconta anche Pino Pecorelli della BabelNova Orchestra (che ha suonato con Dargen D’Amico nella serata delle cover) nell’intervista di
per l’ultima puntata di:C’è soltanto da migliorarla, la società, se si permette a chi arriva qui di poter essere ciò che è: ci sono tante persone che arrivano in Italia con competenze molto specifiche, ma che non possono sviluppare e mettere a disposizione perché la politica non lo consente.
La musica aiuta a vedere le sfumature, che stanno sempre nell’incontro, nella mescolanza. Si può fare sul palco di Sanremo, e su tutti quelli che occupiamo ogni giorno nel mondo, ascoltando e parlando con le persone.
P.S.
Nuovo “scavallamento” nella tarda notte di domenica, giusto per riallinearmi nostalgicamente all’atmosfera da festival delle scorse serate.
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi del poeta greco Antonis Fostieris dalla raccolta Nostalgia del presente (traduzione di Nicola Crocetti).
Il nero
Il nero sono le parole
Cadute una sull’altra
Le poesie stampate
Una sull’altra
E tutti i colori che lì trovarono
Il rifugio definitivo.
📚 Una storia di tutti i giorni
“Un giorno, l’uomo arrivò al villaggio”: è la frase che compare poche pagine dopo l’inizio dell’albo illustrato L’isola di Armin Greder (traduzione di Alessandro Baricco). Un libro che contiene solitudine, paura, diffidenza verso chi è diversə. Lasciando a chi legge la decisione su come scrivere il finale oltre il finale.
🎥 Canti femminili
Ho colto al volo la possibilità di vedere un film distribuito solo per tre giorni: Smoke Sauna - I segreti della sorellanza di Anna Hints, con cui immergersi in una sauna a fumo del sud dell’Estonia, tra corpi e voci di donne che parlano di tutto quello che è essere donna e avere corpi di donna. Spero tanto che le oscure logiche della distribuzione lo riportino presto nelle sale.
📰 Presta l’orecchio
L’ho trovato dentro il canale Telegram Curiouser and Curiouser! a cura di Livia Satriano: è un pezzo del Post scritto dalla scrittrice Eleonora Marangoni e s’intitola L’arte di origliare per strada. Promette quello che dice il titolo, e mi ci sono ritrovato tanto.
📧 Dire grazie
Se Linguetta cresce è anche grazie al passaparola digitale, alle ricondivisioni, alle raccomandazioni, alle citazioni in altre newsletter. Allora in quest’angolino faccio come artiste e artisti nella serata finale di Sanremo e dico grazie, a chi l’ha citata dentro altre newsletter:
Grazie a
per averla inserita in .Grazie a
per averla nominata in .
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Non omologhiamo ma accogliamo le differenze, in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
Per lasciare un commento c’è lo spazio lì accanto, ma vi aspetto pure via mail, oppure dentro le Notes con un restack della puntata (cioè pigiando la rotellina con le due frecce accanto al simbolo dei commenti).
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Grazie Andrea, che onore essere citata in questa bellissima Linguetta!
Bellissimo, grazie!