Superascoltare
Linguetta #90 / Per ascoltare davvero un'altra persona serve prepararci e poi immergerci, come quando entriamo nella zona di lettura profonda di un libro.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Qualche tempo fa, quando ho detto a uno dei miei nipoti di scendere dalla macchina parcheggiata per andare a prendere il gelato in gelateria, lui mi ha detto che voleva mangiarselo in macchina il gelato. Ho cercato di convincerlo, poi mi sono un pochino arrabbiato, infine ho cercato ancora di convincerlo. Al che lui mi ha detto “tu aspettami là, che io adesso scendo”. In effetti, dopo 30 secondi è sceso da solo ed è andato verso la gelateria.
Questo per dire che spesso forziamo bambini e bambine a fare quello che vogliamo che facciano, anzi a fare quello che pensiamo vogliano fare. Stare coi piccoli umani aiuta a fare questa cosa qui: vedere le cose da un’altra prospettiva. Perché se al posto di mio nipote ci fosse stato un adulto, nessunə avrebbe mai cercato di forzare la sua volontà, giusto?
Che cos’è allora che ci spinge a farlo con bambini e bambine? Credo l’incapacità di cedere parte del nostro potere, di rinunciare al controllo, di vederlə come persone dotate di volontà, bisogni, desideri e fastidi propri. Come chiunque altrə.
Alla fine, quello che ci manca è la pazienza nell’ascolto.
Cioè metterci ad ascoltare le altre persone, ma per davvero. Ascoltare non è solo tenere il canale uditivo aperto (che le orecchie stanno aperte già da sole), è soprattutto impegnare quel canale per capire che cosa ci sta dicendo chi ci troviamo davanti.
Potremmo dire che è un’interrogazione muta, come quella che facciamo con i libri.
Quando leggiamo, siamo nel flusso, ma ad ogni storia ci facciamo domande, continuamente; e di rimando la storia ce ne fa altre.
Ecco, con le persone è la stessa cosa: ascoltiamo, per davvero, ogni volta che ci disponiamo all’ascolto, cioè lo prepariamo l’ascolto, mettendo da parte giudizi, posizioni e imposizioni.
Lo dice bene Silvia Schiavo (coordinatrice dei progetti alla Scuola Holden) in un post su LinkedIn:
Ascoltare non è sinonimo di comprendere.
Per comprendere ho bisogno di ascoltare.
Se ascolto, non è detto io comprenda.
Si parla molto di ascolto, di questi tempi, ed è un bene perché senza ascolto non c’è comprensione. È altrettanto importante saper distinguere. Essere ascoltati non sempre significa essere capiti.
Ci vuole un ascolto attivo, che ancora una volta è proprio quello che mettiamo leggendo un libro: diversamente dallo stare davanti a uno schermo, la pagina ci chiede qualcosa, ci chiede di fare uno sforzo per leggerla (ascoltarla) e così capirla.
Succede quando entriamo in quella che le insegnanti di lettura Nancie e Anne Atwell definiscono in questo libro come zona di lettura, cioè quello stato di lettura profonda che ci fa dimenticare tutto il resto perché in quel momento noi siamo dentro alla storia. Ed è quello che conta.
Non a caso questa cosa riesce meglio a bambini e bambine — fanno notare Atwell & Atwell1. Li avete guardatə quando sono immersə nella lettura, o comunque impegnatə in qualcosa che li avvince? È difficile riportarlə in quella che chiamiamo realtà, perché devono attraversare una soglia invisibile. Perché stanno dentro il viluppo della narrazione.
Secondo i neurologi, per bambini e bambine quest’operazione di immersione è più facile da praticare, perché non hanno ancora tante esperienze e collegamenti da processare, e le zone cerebrali che attivano nella lettura sono perlopiù zone adiacenti. Dicono ancora Atwell & Atwell:
Quando diventiamo adulti, i nostri cervelli formano circuiti più estesi e sperimentano interazioni più a lungo raggio. Così si creano nuove reti e, per i lettori, nuove distrazioni [….]
Un neurologo suggerisce che, poiché il cervello adulto è così incline al fare associazioni e paragoni durante la lettura, la sua esperienza di lettura, rispetto a quella del bambino, sia “paragonabile a intingere un dito in un liquido anziché immergervi tutto il corpo”.
Insomma, i piccoli umani sono esploratori degli abissi.
Corpi in immersione
Una comunicazione però non è fatta solo di parole, ci sono anche la prossemica (cioè la posizione che i corpi assumono nello spazio), i gesti, lo sguardo, la mimica facciale, anche l’odore dei nostri corpi.
Tutto concorre a entrare in vibrazione con l’altra persona, e per fare funzionare tutti questi elementi serve legarli insieme con l’ascolto.
Ed è una cosa difficile da fare, la più difficile di tutte. Spesso non ci riesce, perché ascoltare vuole dire rinunciare a una parte di noi, in un certo senso dobbiamo rimetterci in discussione ogni volta che interagiamo con altri umani.
È difficile, ma quando ci riusciamo è proprio bello: non me ne vengono altri di aggettivi, perché riuscire ad ascoltare è la parte bella di ogni lettura (che davanti abbiamo una storia in carne e ossa oppure di carta).
Ed è bella perché in quel momento capisci le cose.
Ascoltare sempre, ascoltare tuttə
Nell’ultima puntata della newsletter Doposcuola di Internazionale la giornalista Anna Franchin parla di unschooling (cioè quella pratica di fare scuola al di fuori del normale ambiente scolastico), e lo fa riportando una versione ridotta di un articolo uscito a marzo sul sito Aeon. Ne posto un pezzetto in cui parla di un bambino di 7 anni:
Peter, che vive con la madre nel Regno Unito, ha un deficit uditivo dalla nascita; gli sono stati diagnosticati disturbi dello spettro autistico e da deficit di attenzione e iperattività (adhd). Ma, nonostante questo, la scuola non ha previsto un piano educativo individualizzato.
Nessuno si rendeva conto di quanto fosse impegnativo per lui stare in classe. Nessuno lo ascoltava. “Gli insegnanti mi convocavano tutti i giorni, era terribile. Mi spiegavano che Peter disturbava e aggrediva i compagni, senza motivo. Ma un motivo c’era”.
Ecco, anche in questo caso particolare è una cosa che manca: la disposizione ad ascoltare. Lo stralcio dell’articolo però ne dice un’altra di cosa: che ognunə di noi merita un ascolto diverso, perché ognunə di noi è unicə.
Uguali diritti a chiunque vuol dire ascoltare le unicità.
E questa cosa la fa alla grande la lettura, quando ognunə trova il libro che lo contiene e lo tiene dentro.
In una conferenza su lettura e letteratura tenuta nel 1984 a Buenos Aires, Italo Calvino disse:
Potrebbe anche sorridermi l’idea di ritirarci tutti in conventi dotati d’ogni comfort per fare dell’editoria di qualità, abbandonando le metropoli alle invasioni barbariche dei videotape; ma mi dispiacerebbe per il resto del mondo che rimarrebbe privato di libri, del loro silenzio pieno di bisbigli, della loro calma rassicurante o della loro sottile inquietudine.
La lettura apre spazi di interrogazione e meditazione e di esame critico, insomma di libertà; la lettura è un rapporto con noi stessi e non solo col libro, col nostro mondo interiore attraverso il mondo che il libro ci apre.
In particolare succede con le storie di narrativa, come disse Chiara Valerio in una trasmissione radiofonica:
I saggi servono a spiegare le cose, i romanzi servono a capirle.
Come in un libro che ci racconta una storia, così accade con le persone: è sempre una lettura che pratichiamo. Ed è una lettura che riesce perché in quel momento superascoltiamo.
P.S.
Nuovo saltello in avanti di un giorno? Già. Ormai il venerdì è il nuovo giovedì, tutto slitta e allora il sabato del villaggio (o della città) sarà una festa doppia perché la domenica sarà il nuovo sabato e … sì insomma, ci siamo capitə. O no? 😜.
🖊️ Inversi
Ad ascoltare bene, c’è il mare dentro le conchiglie. Oggi quel suono prende la forma di una poesia di Goliarda Sapienza, dalla raccolta Ancestrale, che ci è arrivata come un carico salvato da un naufragio lungo cinquant’anni.
Tu mi volgi le spalle
io non ti chiamo
raccolgo
le tue impronte sul lenzuolo.
📚 Linee d’ascolto
Cormac McCarthy è morto. Ci rimangono le sue storie, tante. Se lo conoscete, immergetevi senza pensarci nell’ultimo libro uscito lo scorso 2 maggio in Italia: Il passeggero (traduzione di Maurizia Balmelli). Quando ci entri, hai proprio la sensazione che la letteratura è quella roba lì. E oltre a essere l’ultimo romanzo uscito quand’era in vita, è pure il suo penultimo: perché a settembre uscirà la parte che lo completa, Stella Maris.
Se non conoscete Cormac McCarthy, io consiglio (oltre a tutti gli altri suoi romanzi) un libretto che ha la forma della sceneggiatura (tanto che nel 2011 è diventato un film con Samuel L. Jackson e Tommy Lee Jones): s’intitola Sunset Limited, l’ha tradotto Martina Testa e dentro c’è uno che si mette ad ascoltare la storia di un altro che voleva mettere fine alla sua storia.
Una rassegna di articoli recenti che mi sono piaciuti su Cormac McCarthy.
Per chi ha già letto Il passeggero (dentro ci sono spoiler):
Nicola Lagioia su Lucy con ”Il passeggero” di Cormac McCarthy è destinato a restare, a differenza di noi.
Ferdinando Cotugno su Esquire con Se n’è andato Cormac McCarthy, e ci ha lasciato un testamento strano.
Matteo Meschiari su Doppiozero con L’eccesso e la gloria: Il passeggero di McCarthy.
Altri due pezzi invece di carattere più generale su McCarthy:
Uno sempre di Matteo Meschiari su Doppiozero, McCarthy nell’abisso.
L’altro della traduttrice Maurizia Balmelli, risalente alla traduzione di Suttree: Il ritmo è un faro.
🎥 Yep or nope?
Era un po’ che non andavo al cinema, in città apriva la rassegna estiva all’aperto, mi sembrava l’occasione giusta per Nope di Jordan Peeler. Che cos’è? Difficile mettergli addosso un’etichetta, perché si mischiano fantascienza, western, venature horror. È soprattutto una riflessione metacinematografica, cioè un racconto del racconto (del cinema, dell’America, del sogno americano). Va ascoltato parecchio per entrarci dentro però poi restituisce altrettanto.
📧 Substack fortissimamente Substack
Segnalazione da una newsletter a cui sono iscritto da poco, perché la sua autrice è una fresca Substacker: lei è
e scrive sull’uso delle parole nel mondo che ci circonda. M’è piaciuta molto l’ultima puntata: La letteratura è una faccenda da esploratori, in cui ci sono tante cose che dicono come la lettura dia forma a ciò che siamo.Secondo consiglio per la newsletter che è una finestra sull’altra penisola, cioè
della giornalista Roberta Cavaglià, che nell’ultima puntata Raccontare Berlusconi, il Vaticano e altre stranezze della tv spagnola fa vedere concretamente come anche l’ascolto a distanza può servire a mettere a fuoco ancora meglio le cose.Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Ricordiamoci di rinunciare alle nostre rigidità e predisporci all’ascolto profondo, in fondo basta il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
Per lasciare un commento c’è lo spazio lì accanto, ma vi aspetto pure via mail, oppure dentro le Notes con un restack della puntata (cioè pigiando la rotellina con le due frecce accanto al simbolo dei commenti).
Se volete taggarmi su Instagram, cercatemi come andrjet.
Fair D.A., Cohen, A.L., Powers, J., Dosenbach, N., Chruch, J., Miezen, F., Schlagger, B., Peterson., S., Functional brain networks develop from a local to a distributed organization in “PLoS Computational Biology”, 2009, 5, 5.
Grazie mille per aver consigliato Ibérica, contentissima che ti piaccia! :)
Grazie...sempre speciale ciò che scrivi. Appena leggo LINGUETTA, prendo la mia agendina perchè avrò da segnarmi quasi tutto e così è stato anche stavolta. Buona settimana