Spazi leggibili
Linguetta #124 / Il troppopieno di molti testi appesi qua e là si trasforma in un carico cognitivo insopportabile, rendendo tutto più opaco e ostacolando la lettura.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Poco tempo fa ho accompagnato mio cognato in un pronto soccorso odontoiatrico, perché non ne poteva più dal dolore a un dente. Sta in un vecchio edificio, distaccato rispetto al corpo centrale degli Spedali civili di Brescia.
La sala d’attesa era piccola e vuota (anche perché era mattina presto), così mi sono guardato intorno come faccio sempre quando arrivo in un ambiente nuovo, ed ecco che mi sono trovato circondato da fogli appesi e incollati sulle tre pareti della saletta.
Si trattava di comunicazioni di vario tipo:
procedura di accesso al pronto soccorso
avvisi / divieti generici sull’uso del cellulare
raccomandazioni sui comportamenti in tempo di covid-19
Posto qui sotto galleria di fotografie scattate da me medesimo.
Ho provato una sensazione di stordimento, per le troppe informazioni esibite e con le aggravanti dell’approssimazione linguistica e di informazioni vecchie, come quelle sul periodo pandemico.
So che il lavoro fatto (e che fanno) gli ospedali è uno dei pilastri della società ― per me uno dei due fondamenti, insieme alla scuola; comunque, l’esempio che ho avuto sott’occhio è questo, perciò eccomi qua a parlarne.
Facendo pulizia comunicativa, riusciamo a rendere più confortevole chi sosta con lo sguardo ― e in una condizione ideale, che spero diventi presto normalità, con testi sempre accompagnati dal corrispettivo messaggio in braille.
Serve usare una lingua intellegibile e leggibile.
Quel suffisso -ibile esprime il senso della possibilità, di una lingua che apre e si apre.
Messaggi leggibili sono messaggi che servono, perché indirizzano chiaramente l’azione che esprimono.
Strutture visibili
L’efficacia di un testo breve ma completo sta soprattutto nella sua architettura, nella struttura che ci intravediamo sotto. Un po’ come lo scheletro che sorregge il nostro corpo.
Ecco, immaginiamo uno qualsiasi di quei testi che vediamo malinconicamente appesi in sale d’attesa, banche, uffici postali, scuole, mezzi pubblici come fossero l’interno di un corpo osservato ai raggi X.
Senza scheletro, non ci sarebbe nemmeno il corpo.
Bisogna che ce ne prendiamo cura, pesando i tanti profili di ogni parola:
quali parole scegliamo e perché proprio quelle
dove le mettiamo (posizione, spazi tra le linee, tipo di disposizione, allineamento)
come le scriviamo (grassetto, corsivo, con quale font)
Senza creare versioni alternative di ogni messaggio che ho postato sopra, dico poche cose sulla cura editoriale di quei testi, che sembrano cose minute e invece contano tanto.
Perché come sempre la limpidezza sta nei dettagli.
Ecco un breve elenco di correttivi:
via il tutto maiuscolo, che ostacola la lettura
niente sottolineature (magari pure abbinate al grassetto): sono parole su carta, non link digitali
aggirare i maschili sovraestesi con altre soluzioni
le maiuscole al posto giusto, cioè quando sono necessarie (es. Pronto soccorso)
no alle forme passive (es. è consentita) che allontanano e “sanno” di formalità
font dal profilo nitido, leggibili con facilità
colori e contrasti di colore che creino una sensazione di comfort (e non di allarme)
tono serio ma accogliente, evitando forme verbali impositive (es. è severamente vietato) ed espressioni fredde (es. all’utenza)
Ogni giorno, nei più svariati contesti, siamo sovraespostə al diluvio informativo.
Dobbiamo cercare di ridurre l’entropia e ricordarci che siamo quello che diciamo.
Le parole ci definiscono e descrivono i connotati del mondo circostante, sta a noi usarle bene. Non serve saturare un foglio, un discorso, uno spazio digitale: basta rendere saliente ogni messaggio che componiamo.
P.S.
Stavolta il ritorno di una puntata più tecnica, perché vedere gli esempi ci rende consapevoli di come le cose si possono sempre cambiare.
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi dal libro Ma dove sono le parole? di Chandra Candiani, che ha raccolto tante poesie di bambine e bambini con cui ha lavorato per anni, all’interno di seminari poetici. Ecco la brevissima poesia di Renz, dieci anni.
Le parole
Le parole è stelle comete.
📚 Animalesca surrealtà
Visto che ho parlato di sala d’attesa m’è venuto in mente un racconto che sta nella raccolta Piccole storie dal centro di Shaun Tan (traduzione di Omar Martini), ciascuno dedicato a un animale, in forma più o meno lunga e con una o più illustrazioni. Il racconto a cui ho pensato è dedicato al coccodrillo, e si chiude così:
Nel freddo cervello di un coccodrillo la città è solo una sala d’aspetto: la più grande tra le sale d’aspetto, emersa da un’epoca con cui non hanno nessun contro aperto, nessun appartamento e a cui non prestano nessuna attenzione.
🎥 La banalità del male
Sono stato al cinema a vedere La zona d’interesse di Jonathan Glazer, che riesce a raccontare l’atrocità che c’è dietro il muro del campo di Auschwitz, usando due codici: la vista che non fa vedere niente, l’udito che fa vedere tutto. Riesce a dire l’indicibile con un espediente narrativo che mi ha ricordato quello che – pur con un altro registro – fece con il sonoro Robert Altman in M*A*S*H*. Quello di Glazer non è solo un esercizio formale, è un film che inquieta, disturba e mostra l’agghiacciante coesistenza di vita e annientamento.
Secondo consiglio è per True Detective: Night country, quarta stagione della serie antologica ideata da Nic Pizzolatto. Sei puntate nel buissimo dicembre 2023 di una cittadina in Alaska, con due poliziotte (Jodie Foster e Kali Ries), che dovranno collegare tanti puntini misteriosi; e il primo è un puntino che ha la forma di sei corpi, nudi, ritrovati nel ghiaccio, nel mezzo dello sconfinato nulla bianco. Un poliziesco ben strutturato, che quando arriva alla conclusione stringe pure qualcosa nel petto. Sta su Sky / Now.
🎧 Morirsi
C’è un podcast che sa raccontare un argomento tabù come la morte, grazie a tante, sincere testimonianze di persone diverse fra loro per esperienza, professione, età, ma con un denominatore comune: la morte vista o toccata da vicino. Il podcast si chiama Morire, lo tiene Jacopo Pozzi. Vi linko qui sotto l’ultimo uscito, il sesto, che s’intitola Mestiere.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
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Mentre ti leggevo la mente è volata alle sale d’attesa dei reparti d’ostetricia o ai pronto soccorso ginecologici, spazi che negli anni passati ho frequentato abbastanza per due gravidanze (fortunatamente felici). Anche in queste sale è semplice trovare tutti gli errori comunicativi di cui parli tu, con l’aggravante che spesso ci sono cartelli molto aggressivi dedicati, per esempio, all’allattamento. Ovviamente non tutte le persone che gravitano intorno a queste zone stanno allattando, o desiderano farlo, o hanno avuto bambinə, a volte sono persone in lutto o che necessitano di cure con la mente ad un reparto di terapia intensiva neonatale, o ancora persone che attendono per un IVG. Ecco, ci vorrebbe cuore. Hai detto bene tu.
Leggendo il commento di Serena subito dopo la newsletter ho pensato al reparto di oncologia che frequento da qualche mese. Noto con sollievo che invece lì la comunicazione è ridotta all'essenziale, senza volantini obsoleti, ed è chiara, pulita, non distaccata e gentile. Ogni tanto notare qualcosa che funziona e va nella giusta direzione è bello ma mi accorgo di averlo notato adesso per contrasto