Nuove intelligenze
Linguetta #87 / L'attenzione alla lingua consente di allenarsi a distinguere i processi ricombinatori delle macchine da quelli più complessi propri della creatività umana.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
In uno degli ultimi gruppi di lettura con ragazzi e ragazze di seconda media stavamo esplorando Il giovane Darwin — un graphic novel che racconta quei cinque anni che Charles Darwin trascorse in giro per il mondo tra il 1831 e il 1835 —, e a un certo punto la discussione è virata sugli animali e sull’intelligenza.
Sulle tante diverse intelligenze animali, quindi su quella umana, che mi hanno detto riguarda “la capacità di pensare, di fare ragionamenti complessi, di parlare una lingua e comunicare”.
Ecco, lingua e comunicazione sono profondamente legate.
E sono espressione di quell’intelligenza che loro hanno sintetizzato bene, e di cui la Treccani dice:
Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente.
Ciascun umano ha la propria, di intelligenza. Però la cosa più bella è che nessunə potrebbe esercitarla senza avere un’altra persona con cui condividerla; e per farlo può usare la lingua, in tutte le sue forme (scritta, parlata, segnata, disegnata).
Una lingua condivisa è il presupposto per intrecciare i pensieri, quindi le rispettive intelligenze. Metterle in comunicazione significa farle circolare e ricombinarle in modi nuovi, generando nuovi pensieri.
C’è sempre la lingua di mezzo, protagonista anche dell’applicazione di sistemi di apprendimento artificiali (tipo ChatGPT).
Fuochi artificiali
Non ho fatto esperimenti con ChatGPT però leggo e osservo con attenzione quelli che fanno altre persone nel campo della scrittura, e la cosa è interessante perché dietro c’è sempre un prompt, cioè un comando testuale.
Probabilmente nei prossimi anni riusciremo a trovare modi utili per usare l’intelligenza artificiale, snellendo (in prima battuta) alcuni compiti ripetitivi — ed è per questo che mi piace stare alla finestra a guardare gli esperimenti in corso.
Quello che forse confonde un po’ è usare il sostantivo intelligenza riferito a una macchina, che di fatto agisce assorbendo, rimescolando e rielaborando una serie di dati e informazioni (di carattere umano) con l’obiettivo di arrivare a una soluzione che ricalchi i processi tipici di un cervello umano.
E con il progressivo aumento della potenza di calcolo (quindi della velocità di elaborazione) e della massa di dati di partenza, l’apprendimento restituirà risposte sempre più accurate.
Si tratta dell’apprendimento profondo (deep learning), con cui vengono addestrate le macchine per imparare in modo flessibile, cercando di mimare i processi di apprendimento umano.
La parola intelligenza però è qualcosa di vivente.
Ed è qui, credo, stia la differenza, nonostante nel nostro immaginario l’intelligenza artificiale sia dotata di una lucetta rossa e di nome faccia HAL 9000.
Che la macchina assorba dati già etichettati per trovare gli schemi che li legano, che parta da una serie di dati grezzi e proceda per errori e aggiustamenti oppure che cerchi dentro quei dati di riconoscere in modo autonomo schemi e relazioni, in ognuno di questi tre casi la macchina compie quello che
chiama dissimulazione, nella puntata Specchio della sua newsletter :Dissimula, ecco, e “dissimulazione” è la prima parola che sottolineo: la dissimulazione è cosa diversa dalla simulazione. Quest’ultima significa fingersi ciò che non si è, la prima significa nascondere chi si è veramente.
L’AI, si dice, è una simulazione del pensiero umano. Quanto meno quella che oggi usiamo conversandoci come se fosse umana è tecnicamente una simulazione. Se tale fosse non la temeremmo ma la temiamo invece proprio perché è in realtà (o pensiamo sia) una dissimulazione: e cioè pensiamo che si finga una simulazione essendo in realtà altro.
L’intelligenza artificiale può non capire tante cose (il senso di una frase, l’ambiguità, la differenza tra testi fattuali e narrativa fantastica), soprattutto può replicare e amplificare i pregiudizi di chi l’ha programmata. Lo dice bene l’esperta di comunicazione Annamaria Testa:
L’intelligenza artificiale è molto veloce, molto potente e molto specializzata. Non ha, almeno per ora, la flessibilità propria dell’intelligenza umana, che integra esperienza sensoriale, competenze pragmatiche ed emotive e pensiero astratto.
Il sapere riorganizzato in forma artificiale è una superficie che riflette i bias (pregiudizi) cognitivi di chi lo alimenta, cioè delle persone che lo costruiscono; ma come osserva acutamente
in un commento a un bel post di Annamaria Anelli su LinkedIn:Le AI sono un concentrato di bias proprio perché nessuno ha selezionato niente, sono una spremuta dell’umanità così com’è e com’era. Uno specchio, come dici anche tu.
Non penso che una selezione a monte sia la soluzione, penso che tutti noi queer e nelle code della distribuzione dovremmo allearci per nutrire le AI di contenuti diversi, vari e variabili.
☞ E un altro contributo molto acuto di Mafe De Baggis lo trovate qui su Digital Update.
Allenarsi al cambiamento
Se c’è una cosa che la lingua ci aiuta a fare, è assecondare il cambiamento che ci contraddistingue in ogni istante della vita.
La lingua è un movimento continuo.
Ed è in movimento continuo, per questo è il nostro strumento privilegiato per riuscire a leggere il mondo circostante, anche quando ci troviamo a interagire con testi — ma possono pure essere immagini e video — (ri)creati da una macchina.
Abitare una lingua e conoscerne tutte le possibilità è uno smisurato potere: quello che abbiamo tuttə di riconoscere differenze, distinguere espressioni, capire quando e dove la creatività umana mette in ombra quella macchinica.
È proprio un allenamento, e come in tutti gli allenamenti più ci si allena, meglio si riesce.
La sfida linguistica di chi scrive e di chi legge è riuscire a rimanere dentro la complessità umana, a non limitare il proprio linguaggio verbale alla dimensione del plausibile pur di andare incontro alla macchina.
Soprattutto servirà continuare a esercitare tre azioni tutte umane: osservare, sentire, capire.
Una cosa ci aiuta a distinguerci dalle macchine, come diceva lo scrittore e antropologo Roger Caillois:
Il destino degli esseri umani è quello di mettere un po’ di gioco nell’immenso ingranaggio che è l’Universo.
Il gioco è una cosa tutta umana (ma direi dei viventi) ed è l’espressione di un pensiero che è corpo.
La lingua non esisterebbe senza immersione nella realtà, e alle macchine non riesce, perché la realtà è fatta di imprevedibilità.
Come non gli riesce di ridere a una battuta divertente. Solo Numero 5 ce la fa ad avere una risposta emozionale spontanea. Ma Corto circuito è un’invenzione tutta umana.
In ogni caso, continuare a parlarne aiuta a capire meglio quali sono i confini delle applicazioni artificiali, come si espandono, dove arrivano, e soprattutto come riusciremo a governarli e leggerli noi che li disegniamo, quei confini.
P.S.
Il salto di giornata sta diventano un’abitudine, oggi allora facciamo un balzo (e squittiamo) a mo’ di scoiattolo.
🖊️ Inversi
Oggi una minuscola poesia di Patrizia Cavalli, che però riesce a tenere dentro tutto l’enorme sospeso che c’è attorno; è tratta dalla raccolta Poesie (1974-1992).
Ma era proprio mia
quella voce che usciva
senza fantasia?
📚 Evoluzioni
Visto che l’ho citato in apertura, consiglio il graphic novel Il giovane Darwin di Fabien Grolleau e Jéremie Royer (traduzione di Stefano Andrea Cresti). Vale sempre la stessa regola: la letteratura per ragazzə aiuta anche gli adulti a entrare con più facilità dentro le storie, e storie come questa aprono possibilità di ricerca e approfondimento inaspettate.
🎥 Organico e macchinico
L’intelligenza ha tante forme, e spesso è l’intelligenza collettiva a cambiare lo stato delle cose. Una forma che condividono anche i funghi, o meglio le micorrize (cioè la loro parte vitale, che non vediamo, perché sta sotto terra), capaci di costituire un superorganismo esteso in continua comunicazione. Su Netflix c’è un bel documentario che ne spiega il funzionamento: s’intitola Funghi fantastici, è scritto da Mark Monroe e diretto da Louie Schwartzberg, e uno dei principali narratori è il micologo Paul Stamets — che ha curato anche un libro dal titolo omonimo (Funghi fantastici).
Parlando di intelligenze artificiali e di film di fantascienza da consigliare, mi servirebbe una newsletter a parte. Allora vado con questo: Ex Machina, scritto e diretto da Alex Garland. Per chi dice “meh, io la fantascienza, anche no”: ci entrano dentro così tante cose, dalla mitologia, alla storia, la fisica, le arti visive, e la tensione è così ben controllata, che vedere muoversi Oscar Isaac, Domnhall Gleeson e Alicia Vikander è un piacere per chiunque ami il cinema.
🗞️ Le verità nascoste
Il pezzo di Annamaria Testa che ho citato sopra è molto bello, ricco di esempi e fa parte di una trilogia (a cui manca ancora la terza parte) scritta per Internazionale. Se volete avere un po’ più di strumenti per capire l’argomento, salvatevelo e leggetevelo quando avete una mezz’oretta per starci su. S’intitola Quanto è intelligente l’intelligenza artificiale.
Su Doppiozero invece c’è Chatgpt. Non è detto che sia vero ma è vero che lo si è detto, un pezzo di Stefano Bartezzaghi che rielabora un intervento della tavola rotonda “ChatGPT: promesse e illusioni”, tenutasi lo scorso 17 aprile al Circolo dei lettori di Torino.
🎧 Riscritture
Consiglio la puntata del podcast Fare un fuoco tenuto da Nicola Lagioia per Lucy e nella quale interviene Francesca Lagioia (professoressa di Legal Informatics and AI and Law all’università di Bologna), invitata a parlare di intelligenza artificiale e letteratura.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Teniamo occhi e orecchie sempre bene aperte, ci servono per capire quali parole sono automatiche e quali ragionate. Al solito è il 💖 che ci dà una mano, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
Per lasciare un commento c’è lo spazio lì accanto, ma vi aspetto pure via mail, oppure dentro le Notes con un restack della puntata (cioè pigiando la rotellina con le due frecce accanto al simbolo dei commenti).
Se volete taggarmi su Instagram, cercatemi come andrjet.
Mentre ti leggevo pensavo “Ehi, devo dire ad Andrea che su questo la pensiamo esattamente allo stesso modo” e poi sono arrivato al punto in cui mi citi, quindi, chettelodicoafà? Grazie Andrea, le tue parole mi hanno fatto pensare a quanto poco di intelligente vi sia e quale vantaggio abbiamo (se deve poi trattarsi di competizione, ma non direi che è il caso) sulle macchine, e cioè: loro hanno potenza di calcolo ma non si rendono davvero conto di ciò che fanno, e quindi non ne hanno contezza né coscienza. Come si può essere creativi e coscienti di esserlo allo stesso tempo? Come si può essere consapevoli insomma del fatto che si produce pensiero se quello che si fa è in definitiva solo una ricombinazione priva di giudizio e raziocinio? Ci arriveranno eh, però per ora non mi pare ci siano vicini.
Intelligenza artificiale, comunicazione, micorrize e pure Annamaria Testa. Tutte cose che mi risuonano.
Mi toccherà invece cercare quel film che non ho ancora visto.