La lingua maestra
Linguetta #46 / Oggi la puntata è dedicata al grande linguista Luca Serianni, che lo scorso 21 luglio è morto a 74 anni. Ed è un modo per parlare della lingua italiana.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Questa sarà una puntata un po’ diversa dalle altre, parlerò di lingua ma lo farò ricordando chi dell’insegnamento e dello studio della lingua italiana aveva fatto il suo mestiere: Luca Serianni.
La sua morte lo scorso 21 luglio mi ha toccato molto. Era un grandissimo linguista, e nella mia mappa mentale sta vicino a Tullio De Mauro (che citai nella puntata sulle cose che spaventano, accennando al vocabolario di base da lui creato).
Quando Tullio De Mauro morì (il 5 gennaio 2017) fu Luca Serianni a ricordarlo in questo bel pezzo sul Sole 24Ore, che si chiudeva così:
Ma, per chi abbia avuto con lui una lunga consuetudine come nel caso di chi scrive, è difficile separare la sua statura scientifica e intellettuale dallo spessore umano.
Con la sua sorridente ironia e autoironia, in cui sembravano precipitare, in senso chimico, l’origine partenopea (era nato a Torre Annunziata nel 1932) e il lungo soggiorno romano; col rispetto e l’attenzione per l’interlocutore, chiunque fosse.
Ed è impossibile non ricordare il suo sguardo, mobile e vivacissimo, quando parlava o ascoltava; e abituarsi per davvero al fatto che non ci sia più.
Ecco, rileggendo queste parole è come se risuonasse un’eco dentro le parole dette e scritte in questi giorni da chi ha conosciuto direttamente Luca Serianni:
Parlava un italiano puntuale e privo di enfasi.
Faceva sembrare semplici gli argomenti difficili.
Lo interessavano tutte le parole, non aveva un’impostazione normativa.
Possedeva una grande capacità di umorismo.
Io, Luca Serianni lo conobbi indirettamente all’università, quando studiai Linguistica generale. Ricordo benissimo le ore trascorse su quella che chiamavamo “la Grammatica Serianni”. Esibisco foto.
Ma online si trovano tanti contributi per chi magari non lo conosceva, e bastano davvero pochi istanti per rendersi conto che ogni suo intervento era limpido. Come in questa puntata di Maestri rivedibile su RaiPlay, in cui dialoga via Skype con Edoardo Camurri — e in cui trovate anche una bella riflessione sul pronome da accentare in sé stesso / sé stessa (vi lascio il link a un vecchio articolo di Luisa Carrada che cita proprio Serianni per parlare di sé stesso).
La lingua si apprende per contagio
“Il parlato è come bere un sorso d’acqua, come respirare”, diceva Luca Serianni.
Siammo immersə nella lingua.
Siamo esseri parlanti e scriventi, usiamo la lingua per dare forma al nostro pensiero; e la caratteristica principale della lingua è quella di essere contagiosa.
E lo diventa, contagiosa, anche una comunicazione fatta bene: trasforma per osmosi chi il messaggio lo riceve, che poi inizierà ad assorbire l’informazione ricevuta, potrà farla sua, generare un pensiero e magari ritrasmetterla a un’altra persona.
Questa contagiosità vale ancora di più per chi lavora nel pubblico, come ribadì proprio Luca Serianni nel discorso di congedo tenuto all’università “La Sapienza” di Roma nel 2017, e che in questi giorni è giustamente rimbalzato tra i media:
Sapete cosa rappresentate per me? Voi, ragazzi, rappresentate lo Stato. E confido che una dichiarazione così impegnativa possa lasciare traccia di sé, specie in quanti nella vita lavorativa si troveranno a esercitare una carica pubblica.
Il riferimento è all’articolo 54 della Costituzione, che come capita a tutti gli articoli della nostra Costituzione è linguisticamente ineccepibile nella sua sintesi:
Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
Fare sintesi è una di quelle cose che riusciva benissimo a Luca Serianni. E proprio di sintesi parlava in un passaggio del suo libro L’ora d’italiano, quando diceva che secondo lui il tema non era lo strumento migliore per abituare ragazzi e ragazze alla scrittura; piuttosto lo era il riassunto, che impone di capire un testo, di metterlo alla prova, di vedere che cosa funziona e che cosa no. A questa cosa accenna un bel pezzo in ricordo di Serianni scritto da Francesco Erbani per L’Essenziale.
Il processo del riassunto ci aiuta a rielaborare un testo, a usare altre parole, a sceglierle con cura perché il senso del racconto rimanga, anche se espresso in maniera concisa. Si tratta di un lavoro che ci costringe a sostare dentro un testo, a rivederlo, scomporlo e ricomporlo in altra forma.
Significa usare le parole che servono.
E ‘servire’ è un verbo che si porta dentro tanti significati, tra cui due che nella dimensione pubblica si saldano indissolubilmente:
servire una persona, cioè prestarle un servizio, darle attenzione, ascoltarla
essere utile, funzionale, risolvere problemi
Qui dentro ci sono tutte le cose di una comunicazione che riesce: mettersi a disposizione, riuscire ad ascoltare, elaborare le richieste, progettare una risposta, restituirla in forma chiara e sintetica.
Significa usare le parole necessarie, che funzionano.
Ed ha anche a che fare con una frase che Luca Serianni usava ripetere spesso:
“La forma certo non è tutto. È solo il 95%”.
Dicendola, si allargava sempre in un sorriso, che è proprio di chi sa le cose e allo stesso tempo sa praticare l’umorismo.
L’umorismo è un fattore socializzante, e come dice la scrittrice Paola Zannoner in Libro, facci ridere! “è un esercizio d’intelligenza umana che serve a ridimensionare eventi e atteggiamenti, ad andare oltre la superficie e scoprire l’altra faccia della medaglia”.
Mark Twain spiegava l’umorismo con questa battuta: “Non è vero che smettere di fumare è difficile. Io smetto tutti i giorni!”.
Ecco, l’umorismo è una specie di movimento interiore, trasforma ciò che è banale in qualcosa di particolare. Che poi è un po’ quello che fanno naturalmente bambini e bambine: per loro qualsiasi cosa può trasformarsi in qualcos’altro, il concetto di metamorfosi del banale per loro è immediato.
Lo sguardo umoristico può aiutarci anche a superare rigidità teoriche e schematiche, a liberarci dagli stereotipi, a vivere con naturalezza la conversazione linguistica in cui siamo immersə.
Luca Serianni ha insegnato a tante persone come prendersi cura della lingua, cioè riconoscendole la capacità di promuovere consapevolezza, di orientarci nel mondo e di produrre cultura in modo diffuso.
Soprattutto, usandola nel rispetto delle norme ma accettando che le norme possono cambiare, proprio perché è la comunità dei parlanti che le determina nel corso del tempo.
Una lingua per capirsi. Che poi è il mantra di Linguetta:
Fàt éntènder!
[traduzione dal dialetto bresciano: Fatti capire]
📚 Seriannicherie
In questa puntata un po’ particolare vi consiglio tre titoli di Luca Serianni fra le sue oltre 400 pubblicazioni di libri, articoli, consulenze linguistiche.
Il primo è del 2019 e s’intitola L’italiano. Parlare, scrivere, digitare: entra nel vivo del discorso di che cosa voglia dire scrivere, partendo da esempi idiomatici che ci contraddistinguono come questo: “…non ci meraviglia sentire un oratore che, parlando di sé in terza persona, dica ‘il sottoscritto/la sottoscritta’, e non ‘chi vi parla’… Libro sintetico che risolve un sacco di dubbi sulla parola scritta.
Per chi vuole andare alle radici della nostra lingua, cioè al latino che definisce e descrive i significati di molte parole che continuiamo a usare, c’è Prima lezione di storia della lingua italiana. Anche se può sembrare un libro ostico già dal titolo, in realtà la leggerezza di Serianni riesce a renderlo scorrevole, soprattutto grazie ai numerosi esempi.
Infine, terzo consiglio è Il verso giusto. 100 poesie italiane. Come dice il titolo, si tratta di 100 poesie scelte e commentate da Luca Serianni: si va da Cecco Angiolieri a Valerio Magrelli. E ce n’è una pure del grandissimo Toti Scialoja, che in quanto a umorismo e capacità di divergere era un maestro; ma che sapeva anche essere drammatico come nelle due quartine di endecasillabi scelte da Serianni e tratte dalla raccolta I violini del diluvio.
La poesia s’intitola Una volta quanto mi avrebbe fatto.Una volta quanto mi avrebbe fatto
patire il tuo incupito mutamento
— ora ceno con la testa nel piatto
quanto basta per rimediare al silenzio.
È sempre una tempesta nel bicchiere
ma il vento ora ha girato — ecco il naufragio
nella minestra — le erratiche lacrime
raccolte adagio — sollevando il cucchiaio.
🎥 Lingue che si generano
C’è un film che riunisce due mie grandi passioni (la linguistica e la fantascienza), è tratto dalla bellissima raccolta di racconti Storie della tua vita di Ted Chiang, l’ha diretto Denis Villeneuve nel 2016. È Arrival. Potrei e vorrei scriverci un saggio su questo film, perché mi tocca così tanto, soprattutto per il lavoro di creazione di una lingua che viene svolto dai glottoteti, come spiega bene questo pezzo sulla rivista lascimmiapensa. Se anche voi siete fan di Arrival e delle sue implicazioni linguistiche, allora c’è pure questo approfondimento a cura dell’Aula di scienze Zanichelli.
E se parliamo di lingue generate dentro una storia cinematografica, la memoria va subito al 2009, quando James Cameron ci regalò Avatar e la lingua Na’vi parlata sul pianeta Pandora. Anche qui due spunti: uno sul blog della terminologa Licia Corbolante, l’altro sul portale fantascienza.com. L’attesa per sentire parlare di nuovo la lingua Na’vi è quasi finita: dopo 13 anni arriverà in sala il prossimo 14 dicembre Avatar - La via dell’acqua. E come il primo film, avrà tanto da insegnarci sulla necessità di salvaguardare il nostro pianeta e la vita che lo abita.
Anche per oggi è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Fatevi contagiare dalla passione verso la lingua, e verso le persone che la parlano e la scrivono. Che quello che conta di più è il 💖 che batte dentro le persone, lo stesso che compare qui sotto per farmi sapere se v’è piaciuta la puntata.
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