La complessità della pizza
Linguetta #31 / I menù delle pizzerie sono quasi sempre un miscuglio disorganico di informazioni e ci scoraggiano con liste infinite di gusti. La soluzione sta nel rendere semplice la complessità.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Luglio, venerdì sera, pizzeria vista mare.
Cena con amici e amiche, quella che vi fa sentire il profumo delle vacanze, il sollievo di una sera spensierata, quasi senza fine, come quei pomeriggi di gioco da bambinə.
Vi sedete al tavolo, l’acquolina vi sta già divorando, arriva il cameriere con i menù.
Già, i menù della pizza.
E il paradosso della scelta.
Vi suona familiare, vero? Quel menù chilometrico che sembra proprio non lasciarvi scampo e dice una cosa soltanto:
troppa scelta = nessuna scelta
Quando le informazioni sono sovrabbondanti, il cervello va in uno stato di sovraccarico, e riuscire a scegliere diventa un’impresa titanica.
La complessità di quello che vi trovate davanti si trasforma in qualcosa di complicato, oscura tutto quanto e inizia a incrinare lo stato di grazia di pochi attimi prima.
Ok, forse sto esagerando un pochino.
Il concetto però è chiaro: nella stragrande maggioranza dei casi quel menù è un’accozzaglia di font, colori, sfondi, cifre che si mischiano, trasformando chi legge in un presbite acuto: tutto quanto si confonde!
Per rendere un po’ l’idea mi sono trasformato in un pizzabuster e sono andato a caccia di volantini di alcune pizzerie da asporto.
Lo so, lo so, i menù non sono come quelli di una normale pizzeria, ma partiamo da qui per fare una riflessione sul design della lingua. Seguitemi.
Gli esempi in foto lasciano abbastanza interdetti. Vediamo qua e là un po’ di cose che non funzionano:
Ordine delle pizze casuale, al sud direbbero a muzzo mentre a Brescia diciamo a botto.
Numerazione che scoraggia, oltre a fare rabbrividire con le cifre da 1 a 9 precedute dallo 0.
Font poco leggibili (per usare un eufemismo)
Sfondi che confondono
Caratteri minuscoli
Abbreviazioni degli ingredienti
Contrasti di colore che accecano
Soprattutto, una quantità abnorme di pizze!
I menù delle pizzerie classiche, dove si va per mettere le gambe sotto la tavola, non differiscono però di molto (forse hanno solamente copertine meno kitsch). Il senso comunque è sempre lo stesso: troppo pieno.
E ancora non abbiamo iniziato a mangiare.
Meno è meglio
Quell’ammasso di cose scritte si risolverebbe in gran parte proponendo meno pizze e puntando di più sulla qualità dei prodotti (e pure il pianeta sarebbe contento); però voglio fare come il pomodoro e rimanere “concentrato”. Solo sull’aspetto linguistico.
Va detto che non esiste e non esisterà mai un unico modo di comporre un menù, perché le esigenze delle pizzerie sono diverse: tipo di clientela, contesto, obiettivo.
Però quello che può fare la differenza nell’architettura dell’informazione di un menù è la semplicità di lettura, la capacità di guidare chi legge nel compiere una scelta ponderata e informata.
Ponderata → Significa dare il giusto peso alle parole, a tutto ciò che le circonda e le definisce: spazi vuoti, formattazione, oggetti grafici, font appropriati, coerenza stilistica.
Informata → Significa offrire tutte le informazioni possibili per scegliere in modo convinto e consapevole: tipi di impasto, ore di lievitazione, ingredienti, allergeni, regolamenti.
Riuscire a condensare tutte queste cose in un documento semplice vuol dire avere lavorato a monte, in fase di progettazione. Vuol dire nascondere dietro la semplicità una complessità che non si vede ma che fa funzionare tutto.
Diciamo che la complessità è come l’energia: non si può creare né distruggere, solo spostare da un’altra parte.
È la stessa cosa che accade ogni volta che interagiamo con un’icona sullo schermo del nostro computer, magari spostando un file in una cartella: l’icona è la facciata, il nome che rappresenta l’operazione che stiamo compiendo. Si tratta di un modello concettuale intuitivo per noi che muoviamo il mouse, lo capiamo al volo.
Ma quello che accade dentro al computer è fatto di complessità, di una serie di dati e istruzioni che rendono a noi il processo riconoscibile e ci consentono di navigare in modo facile. Come dice bene il designer Don Norman:
Con la tecnologia, le semplificazioni a livello di uso si traducono invariabilmente in una maggiore complessità del meccanismo sottostante.
Tornando alle nostre pizze, il senso di tutto sta nel rendere piacevole anche quel momento di scelta davanti ai menù.
Una soluzione unica e universale non esiste, ma ecco due esempi che ho trovato in rete (e che ho anche verificato dal vivo 😋). La prima è della pizzeria Rock 1978 di Bione, la seconda della Cascina dei sapori di Rezzato.
In entrambi i casi le informazioni sono organizzate in modo organico, con sezioni e singole pizze immediatamente riconoscibili. L’occhio non deve vagare in cerca di un appiglio che lo salvi dalla confusione, e può trovare tutto quello che gli serve sapere nello spazio di due o addirittura una sola pagina.
Soprattutto, il numero di pizze è contenuto.
Quindi: che si tratti del menù di una pizzeria, del regolamento su un autobus, di un avviso sulla bacheca comunale, di un’informativa in banca, quello che conta è riuscire a dare valore alla complessità del dietro le quinte, progettando una forma semplice pronta a farsi leggere con disinvoltura.
Lo dice benissimo il copywriter Doriano Zurlo, che dallo scorso anno tiene una preziosa rubrica linguistica sul portale Treccani. Vi riporto una manciata di righe dal suo ultimo intervento sull’aggettivo:
Camminare sulla via più lunga della creatività richiede tempo e fatica. Il risultato è stravagante. La via lunga accorcia, poiché toglie l’inessenziale. La via breve allunga il brodo.
Ecco, niente più brodi da allungare.
Soltanto pizze ben fatte.
La chiusura la lascio a Zerocalcare, che anche sulla pizza la spiega giusta.
📚 Libri che aiutano
Torniamo a qualche suggerimento tecnico, come facevo nelle prime puntate di Linguetta: Libera il futuro. Quindici lezioni dal digitale per migliorare il nostro mondo. L’ha scritto Mafe de Baggis ed è un libro che non aiuta solo a scrivere meglio, progettare meglio, organizzarsi meglio. Aiuta soprattutto a ripensarsi meglio, all’interno di un ecosistema incerto come quello in cui viviamo oggi. Serve a dare certezza alle proprie incertezze, rimettendosi in gioco e imparando a fare cose di cui si sa(peva) poco. Insomma, stimola la voglia di cambiare, come dicevano i cari vecchi Litfiba.
🎥 Ridere che bello!
L’ho evocato e allora come faccio a non consigliarlo, sai mai che ci sia qualcuno che non l’ha ancora visto. Il film (del 1974) è Frankenstein Junior, diretto da Mel Brooks e scritto insieme a Gene Wilder, secondo la leggenda nello spazio di tre giorni e tre notti. Uno spettacolo geniale, che forse il doppiaggio italiano rende ancora più geniale con trovate come quella della sequenza di Lupu ululì, castellu ululà.
E siccome ridere è una delle cose più belle che ci siano, aggiungo lo sketch dei Monty Python intitolato Ministry of silly walks (trad. Ministero delle camminate strambe). Irresistibile John Cleese.
Noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Se la puntata vi è piaciuta, non fate i pizzosi: muovere il mouse sul 💖 qui sotto e io sarò felice come una Pasqua.