Il senso della comunità
Linguetta #63 / Ecosistemi sociali che favoriscono gli scambi positivi ci aiutano ad allargare lo sguardo sui pezzetti di mondo che non conosciamo, come fa la lingua.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Riparto dal post della settimana scorsa, quando qui dentro si parlava di Substack come ecosistema sociale e modello di condivisione sostenibile, non drogato da meccanismi algoritmici.
Seguo chi desidero seguire e lə faccio entrare nello spazio privato della mia email, cedendo parte della mia attenzione per qualcosa che mi interessa, che qualcunə ha scritto / detto / raccontato e che mi aumenta di un tot.
Ecco, è la stessa cosa che riesce a fare una lingua che sa entrare in sintonia con le persone.
Una lingua che apre il proprio perimetro e decide prima di tutto di ascoltare è una lingua ampia, che accoglie la multiformità umana, senza distinzioni; cioè una lingua che arricchisce, perché mi fa capire un pezzettino in più di mondo.
Vale ad esempio per tutti i modi di esprimersi che non siano la presunta normalità di chi ha sempre potuto vedere, sentire e parlare senz’alcuna difficoltà.
Mi ci ha fatto pensare in modo particolare questo post su Instagram di the.undeaf:
Aiuta a capire che il mondo può essere fatto a misura della varietà di persone che lo compongono, senza tenere conto del principio di maggioranza, che rende tossico il pensiero.
Lingue comuni
Parlare tante lingue quante sono le persone vuol dire riuscire a trovare punti di contatto. E per farlo serve condividere in modo propositivo, principio che viene incoraggiato dall’architettura di Substack con le sue funzionalità di raccomandazione, cross-posting (che proverò prossimamente anche dentro Linguetta), menzioni, chat, e da poco con la possibilità di iniziare uno scambio di lettere fra autorə di diverse newsletter.
Si tratta di un principio che guarda al lato buono delle cose, che non chiede attenzione per vendere un prodotto ma cerca di aggiungere visioni che non avevamo pensato di poter esplorare.
Si tratta sempre di fare comunità.
Il concetto lo spiega bene il giornalista Ferdinando Cotugno, che lo scorso 21 ottobre ha pubblicato su Vanity Fair un bel pezzo sulle comunità energetiche. Ve ne riporto uno stralcio:
La rivoluzione energetica sarà fatta dalle relazioni, dalle comunità. L’energia elettrica in Italia sarà molto meno l’acquisto di un bene e molto più un atto di partecipazione a una comunità. Meno compravendita e più scambio.
[...]
Il principio è semplice e scalabile su base nazionale: un piccolo impianto da rinnovabili viene istallato da un gruppo di cittadini (un’associazione, una fondazione, un comune), l’energia viene prodotta in loco e gestita insieme. È come condividere la cura di un giardino, ma invece della fotosintesi c’è il fotovoltaico.
[...]
Serve soprattutto un cambiamento culturale, assecondare la forza del cambiamento, senza ostacolarlo per l’umana paura delle novità. La transizione è una questione di pace, di sviluppo, di futuro. Non è più solo mitigazione del rischio climatico, è anche la più grande opportunità che il futuro possa offrirci.
Ferdinando Cotugno riesce a trovare le parole giuste: “assecondare la forza del cambiamento”. La stessa che porta con sé la lingua, mai ferma e sempre in divenire.
Quando penso al senso della comunità mi viene in mente quello che in undici anni è riuscito a costruire Il Post, che non finirò mai di consigliare a chiunque: sentirsi parte di un progetto, sentirsi partecipi, vicinə a chi scrive, senza rischio di percepire una distanza.
Giornalisti e giornaliste del Post riescono a dimostrarlo ogni giorno confondendo le proprie sagome nella forza del collettivo, cosa che riassume bene lo screenshot dall’intro di una newsletter del Post dello scorso 3 ottobre:
☞ Qui trovate la spiegazione sintetica del perché Il Post non firma gli articoli, e qui quella più lunga.
Scrivere per rappresentarsi
Il linguaggio non è solo comunicazione ma anche forma di un pensiero logico, filosofico, scientifico. Soprattutto è capacità di immaginarsi e immaginare.
È il senso di quest’opera qui sopra fatta dalla street artist Camilla Falsini alla terrazza della Metro B Cavour di Roma. Ed è lei stessa a spiegarlo alla grande:
Il linguaggio è nato attraverso il suono, ma gli esseri umani a un certo punto della loro storia hanno compiuto un passo fondamentale: hanno iniziato a inventare, e a tracciare, dei segni. Hanno cioè dato vita a vere e proprie “astrazioni”, forme che non riproducevano la realtà ma che servivano a qualcos’altro. Hanno inventato la scrittura, non solo per comunicare tra loro e descrivere il reale, ma anche per decifrare l’universo, la natura.
La scrittura infatti non include solo lettere e grafemi, ma anche ad esempio simboli matematici, scientifici, musicali.
Osservare lettere immaginarie provoca uno spaesamento in chi osserva, lo stesso che proviamo ascoltando una lingua sconosciuta o davanti a lettere straniere.
Possiamo godere della bellezza della scrittura proprio quando, paradossalmente, non ne capiamo il significato. E questo è la base della curiosità per l’altro, sentimento senza il quale, secondo me, l’umanità si estinguerebbe domani.
Per me ragionare sul futuro dell’umanità è questo: non dimenticarsi del linguaggio, di ciò che ci connette davvero in quanto esseri umani.
C’è dentro tutto il ragionamento sul senso della comunità, che allarga sempre lo sguardo sui linguaggi che non conosce, sulle cose che non capisce e che perciò abbraccia, per riuscire a migliorare la propria comprensione del mondo.
📚 Sguardi e risguardi
Triplice consiglio di una stessa autrice, Suzy Lee. Si tratta di tre albi illustrati senza parole che costituiscono la trilogia del limite: L’onda, Mirror, Ombra. In tutti e tre gli albi molte cose si nascondono nella piega tra una pagina e l’altra, stanno sulla soglia e lasciano all’immaginazione di chi legge il compito di colmare lo spazio nel mezzo, di allargare gli sguardi ed entrare in un’altra dimensione, fino ad allora sconosciuta.
Un quarto consiglio che sta sempre dalle parti dell’allargamento del pensiero m’è capitato sotto mano non ricordo come: è Il libro dei grandi contrari di Oscar Brenifier e Jacques Després. Un libro da 25 cm x 25 cm edito dal Saggiatore con pagine lucide illustrate e testi belli grandi nei quali si gioca il gioco dei contrari (ad esempio uno e molteplice, ragione e passione, corpo e mente, complesso e semplice, estroverso e riservato), che si definiscono, poi si fronteggiano e infine si amalgamano l’uno nell’altro per produrre una nuova forma di conoscenza.
🎧 Cuffie aperte
Ho ascoltato una puntata del podcast Maschiacci ideato da Francesca Michielin, perché ogni volta che leggo/sento il nome di Vera Gheno so che ci sarà qualcosa da imparare. E ogni volta è così: nonostante abbia letto tutti i suoi libri e l’abbia sentita in ogni dove dell’Internet, anche stavolta ribadisce cose che aiutano a ricordarci sempre di decostruire il privilegio, ed è sempre una questione linguistica.
🗞️ Riciclare il futuro
Stando dentro il tema di Substack come nuove social-spazio, vi suggerisco il bel pezzo scritto da Alessandro Mininno dell’agenzia Gummy Industries sul collasso dell’impero Meta.
Mentre sull’essere comunità, in particolare comunità energetiche, c’è una bella pagina sul sito di Patagonia che le spiega, presentando anche un documentario realizzato per il progetto We the power.
Per oggi è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Facciamo comunità e allarghiamo gli sguardi. Per farlo basta usare il 💖, lo stesso che sta al solito posto, qui sotto. Pigiatelo per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
E per alimentare il senso di comunità, ditemi pure la vostra nei commenti, oppure in forma privata scrivendomi via mail.
Se invece vi va di taggarmi su Instagram, mi trovate come andrjet.