Fuori dalla bolla
Linguetta #95 / A volte la realtà non è quella che osserviamo nelle nostre bolle informative, allora possiamo prendere posizione e attivare le parole.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Qualche tempo fa sono stato a una cena con amici e conoscenti, molti dei quali vedo raramente. E una volta seduti al ristorante ho osservato e sentito (un po’ al nostro tavolo e poi in quelli circostanti) cose che confrontate col mio leggere-vedere-parlare quotidiano mi sono sembrate mostruosamente aliene: pregiudizi di genere, commenti sessisti, ragionamenti tradizionalisti, pensieri specisti — postilla: eravamo in un ristorante “specializzato in carne”, e io ero l’unico vegetariano presente.
Allora mi sono chiesto una cosa che mi chiedo da tanto tempo: come si fa a uscire dalla bolla? A bucare le bolle informative e di relazioni in cui stiamo normalmente? Come facciamo a far trovare una via d’uscita alle cose che impariamo, che studiamo, a quelle che ci paiono scontate, condivisibili, giuste.
Per me la risposta è sempre e solo una: parlarne.
Parlare delle cose, anche a rischio di risultare sgraditə, antipaticə, fastidiosə. Che poi è quello che il giornalista Ferdinando Cotugno riassume bene in un tweet:
Ogni conversazione fuori dalle bolle è una forma di attivismo.
Ecco, praticare questa forma di attivismo mi pare una delle cose più belle che possiamo fare noi umani, perché si fa con il linguaggio. Si fa con le parole che acquisiamo, modifichiamo e trasformiamo, con quelle parole che ci cambiano continuamente e che incidono sulla realtà circostante.
In posizione
Ci sono parole, concetti e situazioni che io una volta non conoscevo, banalmente perché nessunə me le aveva mai fatte notare, perché non avevo intrecciato i fili per capire meglio e strutturare la conoscenza, perché non ci avevo fatto caso.
Studiare la lingua, i processi linguistici, misurarmi con le parole ogni giorno — e da ventidue mesi anche qui dentro Linguetta — sono tutte cose che mi hanno aiutato e mi aiutano a cambiare: a vincere resistenze, tirare giù pregiudizi, rimettere in discussione abitudini, perfezionare attitudini, dispormi all’ascolto, imparare a dire non lo so.
E mi hanno aiutato anche a prendere posizione, perché le parole sono sempre politiche.
Lo dice bene la sociolinguista Vera Gheno, nume tutelare di questa newsletter:
Qualsiasi parola che decidiamo di usare o non usare è figlia di un’ideologia, di un posizionamento, esprime uno schieramento. Non esistono parole innocenti, esiste il modo in cui usiamo le parole.
Proprio di Vera Gheno e del suo podcast Amare parole mi sono trovato di recente a parlare con alcune persone; una in particolare mi ha detto: “inascoltabile, quelle cose lì non interessano alle persone normali” — magari sul concetto di normalità e norma ci torno una prossima volta.
E con ‘quelle cose lì’ intendeva il linguaggio. Soltanto che del linguaggio non possiamo fare a meno, nessunə ci può rinunciare perché è l’essenza di quello che siamo.
Ci serve per vivere, il linguaggio.
E il linguaggio umano è fatto di parole, utili a conoscere il mondo e starci dentro, assecondandone il continuo mutamento.
Le parole ci servono come l’aria per circoscrivere la realtà, inquadrarla come quando unə regista mette le mani a rettangolo per capire che cosa vuole vedere con il suo occhio, che cosa vuole raccontare e come vuole raccontarlo. Le combinazioni di parole inquadrano, ma soprattutto sono come le cose che ancora non sappiamo: infinite.
Le cose che non sappiamo
Il fatto che io sia vegetariano e mi sia ritrovato a una tavola (di soli uomini) per una cena in cui il “piatto forte” era la grigliata, mi ha fatto sentire davvero come un orso polare all’Equatore: spaesato e fuori luogo. In minoranza.
Quando ci capita di trovarci in queste situazioni, la strategia da adottare è l’adattamento: riuscire a trovare nelle condizioni esterne dei punti di appoggio che ci consentano di stare, quindi di essere.
E noi siamo un sacco di cose insieme, tra cui le cose che mangiamo e le parole che usiamo.
Lo dice benissimo Francesco Cicconetti nella prefazione al libro Parla bene pensa bene di Beatrice Cristalli:
La stessa cosa può essere detta in mille modi diversi, e ciascuno di quei modi identifica mille persone diverse: perché noi siamo quello che scegliamo di dire, siamo quello che diciamo. Se dico una cosa in un certo modo, è perché io sono in quel modo.
Senza il nostro nome e pronome non saremmo nessuno, saremmo cioè una figura astratta e indefinita e indefinibile. Le parole ci fanno esistere.
Capita a tutti di non sapere delle cose, semplicemente perché nessunə ce le ha mai dette. E allora la cosa più bella che possiamo fare è chiedere, chiedere ad esempio come una persona vuole essere chiamata, come vuole essere definita.
Sempre Francesco Cicconetti:
Informiamoci sempre, accettiamo di non sapere anche quando ci sembra di sapere già tutto.
Il libro di Beatrice Cristalli è davvero ben fatto, da tenere sempre a portata di mano, perché capire come ognunə si sente dentro e come decide di stare nel mondo è la più potente forma di apertura che possiamo esprimere nel riconoscere le altre persone per quello che vogliono essere. Ed è un prezioso aiuto a pensare le parole prima di pronunciarle, anche a non pronunciare affatto quelle che avevamo in testa ma di cui non siamo sicurə.
Per farlo ci basta sostare nella parole, prenderci il tempo di capire che quello che possiamo avere vissuto come “normalità”, in realtà era un privilegio. E che ci sono altre persone che questa “normalità” devono andare a prendersela ogni giorno, cioè devono faticare per possedere quell’identità che una presunta norma gli nega.
Chiedere, ascoltare, provare a capire, farsi domande sono tutte azioni collegate alla lingua, cioè al modo in cui decidiamo di mettere insieme le parole. Soprattutto per portarle fuori dalla nostra bolla.
🖊️ Inversi
Oggi un aforisma di Alda Merini tratto dalla raccolta Fiore di poesia. Sentite quante cose ci sono nello spazio di così poche parole:
Sono stanca
di sentirmi
inventare.
📚 Essere spettri
Il primo consiglio di lettura è per il libro Ovunque. Esplorazioni cromatiche del mondo queer di Barbara Orlandini e Gianluca Sturmann: una guida dal piglio frizzante, quello che hanno i libri ben fatti per ragazze e ragazzi, quindi che funzionano alla grande anche per gli adulti. Serve a chiarire tante cose che ci riguardano da vicino (sesso biologico, identità di genere, espressione di genere, orientamento sessuale), a mostrare tanti punti di vista possibili, e lo fa attraversando la storia, tratteggiando persone famose che hanno abbracciato la queerness, interrogando opere d’arte e letterarie. Un bel viaggio di scoperta.
Il secondo consiglio è per un libro che ho iniziato da poco, ma che mi entusiasma già dal capitolo introduttivo, quando parla di Umwelt (ambiente) in cui ogni animale sta, cioè le bolle sensoriali che circoscrivono la percezione del mondo di ogni animale, umano e non. S’intitola Un mondo immenso. Come i sensi degli animali rivelano i regni nascosti intorno a noi, autore il giornalista Ed Yong, che scrive:
Il concetto di Umwelt […] dice che non tutto è ciò che sembra e che tutto ciò di cui facciamo esperienza è solo una versione filtrata di tutto ciò di cui potremmo fare esperienza. Ci ricorda che c’è luce nell’oscurità, rumore nel silenzio, ricchezza nell’insignificanza.
🎧 Dare attenzione
Visto che l’ho citata, ecco Vera Gheno con il suo podcast Amare parole, in particolare vi linko la puntata Nessuno può dirmi come parlare incentrata sui privilegi linguistici e la capacità di riconoscere mancanze, errori e atteggiamenti paternalistici che usiamo nel nominare le altre persone.
🗞️ Frantumazioni
Ho letto sul Tascabile il pezzo La fine del mito del cervello maschile e femminile con cui Valeria Minaldi racconta delle ricerche fatte dalla filosofa della scienza Cordelia Fine e dalla neuroscienziata Gina Rippon attorno all’idea che esistano un cervello del tutto “maschile” e uno del tutto “femminile”, quando invece la realtà strutturale e funzionale del cervello è piuttosto un complesso mosaico di caratteristiche (semplicisticamente definite maschili e femminili) che variano da individuo a individuo.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Cerchiamo di uscire dalle nostre bolle, dando valore alle parole che usiamo e accogliendole quando non le conosciamo: in fondo basta il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Ci vuole grande forza per uscire dalla propria bolla perché confrontarsi, specie se si comunica da dietro uno schermo, è diventato molto faticoso. Fare un passo indietro, avere il beneficio del dubbio, cambiare opinione sulla base di approfondimenti.
Il gruppo diventa branco, la preda isolata un boccone invitante da mandare giù.
Per andare oltre la superficialità e l'ignoranza, bisogna studiare, leggere, confrontarsi anche con sé stessi.
Scrivere una newsletter o gia solo leggerne un bel po' aiuta parecchio.
Forse è per questo che da queste parti si respira aria più salubre rispetto ad altre piattaforme digitali in cui il dito scorre inesorabile.
Avevo questa nl tra i "To Read" da due settimane, ma non saltava fuori mai un momento adatto per leggerla. Me la sono tenuta lì, (pre)sentendo di doverle dedicare la giusta attenzione.
E ho fatto proprio bene!
Mi sono trovata anche io a parlare del podcast della Gheno, ricevendo una risposta simile a "quelle cose lì non interessano" — per inciso, una frase che sento purtroppo spesso, lavorando nel mondo della cultura e dei musei in particolare.
Il punto è che chi ci risponde in tal modo non sa cosa voglia dire comunicare, persone piene di non detti; come possono mai dar peso a riflessioni sul linguaggio?
Grazie per le tue preziose parole, Andrea.