Decostruire
Linguetta #92 / La maschilità tossica che emerge in tanti comportamenti e azioni è riflesso di un pensiero patriarcale da smontare. Per farlo abbiamo il potere delle parole.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Sfrecciare ad alta velocità alla guida di un’auto.
In una chat, etichettare donne come prodotti da supermercato.
Sono due cose che si legano a recenti fatti di cronaca: il ragazzo al volante della Lamborghini che a Roma ha provocato l’incidente in cui è morto un bambino di 5 anni; i messaggi squallidi che venivano scambiati nella chat di un’agenzia di comunicazione milanese e le molestie che un pubblicitario per anni ha fatto nei confronti di un gran numero di donne.
E c’entrano in entrambi i casi la lingua e il maschilismo.
C’entrano le parole perché le parole sono quelle cose che scegliamo per pronunciare il mondo. Le parole funzionano come attivatori del pensiero, sono come la chiamata all’azione in un videogioco, quando il personaggio è lì in attesa che gli diciamo dove andare e che cosa fare.
Ecco, le parole muovono e indirizzano.
Sia le parole che usiamo parlando con un’altra persona sia quelle che digitiamo online quando cerchiamo qualcosa.
Dice
in una ricerca fatta da Quindo sulle parole cercate su Google:Sono anche le parole che usiamo nelle nostre ricerche e conversazioni sul web a migliorare il sistema di approfondimento delle piattaforme su cui comunichiamo ogni giorno.
Possiamo riappropriarci della lingua, usarla nella sua interezza affinché descriva con trasparenza la realtà, ampli immaginari, colmi lacune e bias culturali: è un potere enorme e non dovremmo avere paura di usarlo.
Le parole contano, soprattutto conta che ne siamo consapevoli in ogni contesto: da solə davanti a uno schermo, quando ci ritroviamo a parlare in un ambiente pubblico, quando progettiamo un contenuto aziendale o amministrativo.
Conta che erodiamo il maschilismo linguistico, che sta nelle connotazioni che possiamo o non possiamo dare alle parole — la scelta è sempre nostra.
Mi riferisco ad esempio ai livelli di significato e immaginario legati a maschili e femminili professionali di nomi come questi:
massaggiatore / massaggiatrice
arbitro / arbitro donna (ah, la forma corretta è arbitra)
infermiere / infermiera
casalingo / casalinga
prete / suora
Sono solo cinque + cinque parole, ma mentre leggiamo (anche inconsciamente) aprono immagini informate dal maschilismo che poi informa in maniera prevaricante la società.
E il maschilismo non è l’opposto del femminismo.
Il maschilismo è l’atteggiamento che in contesti privati e sociali si trasforma in pratiche di superiorità degli uomini sulle donne.
Il femminismo è riconoscere le spinte del movimento femminista, che in epoche e in forme diverse ha cercato e cerca di rendere concreti gli ideali di parità di genere.
Uguale non è pari
L’uguaglianza deve essere quella dei diritti, la parità invece si raggiunge consentendo a tutte le persone che sono state (e stanno) in condizione di inferiorità di prendersi spazio.
La parità di genere sta lì: nel riconoscere l’immenso privilegio che hanno i maschi, quindi nel fare un passo indietro, mettersi da parte.
Lo dice in modo efficace nella puntata dello scorso 17 giugno di fuori dal PED Valentina Tonutti:
La parità di genere deve partire dalla macchinetta del caffè. Deve partire dalle mail. Deve partire dagli stipendi. Deve partite dalla libertà di andare a un colloquio, o in ufficio, vestita come credi, senza farti problemi su come vestirti perché non sia mai che chi mi fa il colloquio pensi che voglia comprarlo mostrando il mio corpo.
Perché a volte, comunque vada, che tu abbia una t-shirt girocollo, una camicia, un vestito, c’è chi sceglie di non evitare di farti sentire a disagio. Chi sceglie di abusare della propria posizione per umiliare e offendere.
Nella puntata il riferimento contemporaneo è alle vicende delle molestie violente e continuative che hanno coinvolto il pubblicitario Pasquale Diaferia e poi alla chat all’interno dell’agenzia di comunicazione We Are Social, di cui accennavo all’inizio — per chi non conosce le vicende, consiglio la lettura della puntata Niente di quanto stai per leggere ti piacerà della newsletter
a cura di .Dice Giulia Segalla (una delle donne che vennero molestate nel 2011 da Pasquale Diaferia) in un post su LinkedIn:
“Il fatto che manchi un’educazione emozionale è un problema culturale, sociale e generazionale, non solo di un singolo”.
Le parole che usiamo strutturano pensieri e comportamenti, conoscerle e capirne il funzionamento è un principio di educazione che parte da lontano, già quando siamo bambini e bambine. Già a scuola, e non solo.
La società muta, e aumenta la sensibilità nel riconoscere tutte le sfumature dell’umanità: però molti atteggiamenti velenosi permangono e si strutturano attorno all’omosocialità, cioè quel rapporto né romantico né sessuale tra due individui dello stesso sesso. E tra maschi diventa violenza verbale ad esempio nelle chat, non solo aziendali ma banalmente anche del calcetto. Dice Corinna De Cesare nella penultima puntata di The Period:
L’omosocialità alimenta la distinzione tra uomini e donne nelle istituzioni sociali e fissa lo standard di confronto tra uomini. Che si sentono veri uomini, solo se aderiscono a certi canoni: distacco emotivo, estrema competizione, oggettificazione sessuale delle donne […].
Da qui la mascolinità performativa, modellata su atti ripetuti nel tempo. Commenti sessisti, sessualizzazione delle colleghe, dinamiche tossiche a cui gli uomini aderiscono per sentirsi parte di un gruppo. Pena, l’esclusione, l’isolamento o “l’accusa” di omosessualità.
Le parole definiscono sempre: persone, cose, atteggiamenti, abitudini. Usarle senza pensare alle azioni che determinano significa perpetuare un potere del maschile e di quel sistema patriarcale che lo fonda.
E se il patriarcato è un sistema di rapporti sociali, il sessismo è l’insieme di tattiche che servono a mantenerlo, cioè gabbie.
Per uscirne serve usare una parola come femminista e fare come dice Chimamanda Ngozi Adichie nel suo libro Dovremmo essere tutti femministi:
Perché la parola ‘femminista’? Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?”. Perché non sarebbe onesto.
Il femminismo ovviamente è legato al tema dei diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare la specificità del problema del genere.
Vorrebbe dire tacere che le donne sono state escluse per secoli. Vorrebbe dire negare che il problema del genere riguarda le donne, la condizione dell’essere umano donna, e non dell’essere umano in generale.
Con i femminismi possiamo spegnere la maschilità tossica, di cui parla anche
nell’ultima puntata di :Servono uomini diversi, che non hanno paura di uscire dalle chat spiegando perché lo fanno, che rifiutano di partecipare ai manel1, che lavorano alla pari con le colleghe. Di uomini così ce ne sono già, più di uno […]
Serve che ci liberiamo tutti e tutte dal desiderio dell’uomo forte, che la leadership può e deve essere attenzione, generosità e cura.
La maschilità performativa sta nelle chat così come dietro il volante di una macchina, e mi viene anche qui in soccorso un’altra citazione (oggi è andata così, ne ho messe un sacco di citazioni). Sono le parole con cui Ferdinando Cotugno ha chiuso la scorsa puntata di Areale:
[Manuel] è morto perché a quei cinque hanno insegnato che correre in auto è una cosa divertente e non è una cosa atrocemente pericolosa. Abbiamo così interiorizzato il rischio dell’automobile da averlo romanticizzato, da averlo trasformato in un rito di iniziazione (e di mascolinità, aggiungo), ed è una cosa tossica di cui la nostra società deve iniziare a liberarsi.
Diventare attivisti della lentezza stradale può sembrare una cosa pedante, e noiosa, ma in un mondo in cui la lentezza è un valore Manuel a settembre andava a scuola.
Il lavoro da fare è uno soltanto: decostruire.
E lo si può fare, come sempre, con le parole; usandole in modo appropriato per definire le cose, sta sempre tutto nelle nostre teste che pensano, nelle nostre mani che digitano, sulle nostre labbra che pronunciano.
Decostruire vuole dire smontare le cose, disassemblando le frasi che abbiamo usato per la nostra costruzione (maschilista).
Vuole dire soprattutto capire che è un processo senza fine, proprio come la lingua che cambia: è sempre in movimento. E questo muoversi è fisiologico, perché è il riflesso di una mente che si apre, che è flessibile e consapevole.
P.S.
Oggi puntata lunghetta e ricca di tante voci. Scusatemi se vi ho preso troppa attenzione, ma parlarne mi pare troppo importante. A parlare delle cose le cose possono cambiare, specie se le facciamo uscire dalle nostre bolle informative. Parliamone sempre, parliamone ovunque.
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi di una poesia di Vittorio Sermonti che sta dentro la raccolta Ho bevuto e visto il ragno. Cento pezzi facili.
Favola
“A dir la verità”,
disse il merlo alla merla,
“per dir la verità,
prima devi far finta di saperla”.
📚 Giù la maschera
C’è un libro che presi non appena uscì lo scorso marzo e che è il raccordo di una newsletter che diverse volte è comparsa dentro Linguetta: si tratta di Cose da maschi di Alessandro Giammei. Letto, sottolineato, straconsigliato perché è una di quelle letture che forse per descriverla faccio prima a citarne l’incipit:
Il maschile non è il contrario del femminile, non è il nemico del femminismo. Il maschile, prima di tutto, è una maschera. Protegge, camuffa e traveste. S’indossa, si applica, come ogni identità.
Cose da maschi è un inventario di oggetti che fanno quello che fanno le parole: non sono mai solo oggetti, incorporano pensieri. E tra le grinze di pantaloni, pettini, pance, orecchini, camicie si mescolano i pensieri di Alessandro Giammei, che riesce a farci entrare uno spettro di riferimenti culturali e fatti personali (assecondando qui il pensiero di bell hooks per cui “il personale è davvero politico”) che diventano la possibilità per i maschi di liberarsi della cultura patriarcale che li costringe a essere quello che non sono.
📚 Pericolosi spostamenti
Ho ascoltato tutte e cinque le puntate create finora di un nuovo podcast prodotto dal Post, cioè Vicini e lontani. Lo conducono l’inarrestabile Matteo Bordone e Adriano Martinoli, ricercatore in scienze biologiche all’Università dell’Insubria. Si parla di specie aliene che sono state spostate dagli esseri umani da un ecosistema a un altro dove non erano previste, e ovviamente la cosa ha conseguenze che non ci immagineremmo. Mi è piaciuta parecchio l’ultima puntata in cui invitano a parlare dell’Australia Alessandro Ossola, assistant professor alla University of California (dal minuto 24 in poi).
📌 Una cosa da vedere
Se siete a Brescia o se passate da Brescia da qui al 24 settembre, allora fate un salto al Mo.Ca per un giretto fra le stanze dov’è allestita la mostra Le ragazze non sanno disegnare con cui venti fumettiste raccontano il femminile attraverso alcune delle loro storie. E tra le tavole in mostra ci sono anche quelle di due fumettiste che stanno su Substack:
e .Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Troviamo le parole per strutturare pensieri e comportamenti femministi, in fondo serve usare di più il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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manel, termine entrato a far parte nel 2017 dell’Oxford Dictionary come abbreviazione inglese all-men panels, cioè un convegno o manifestazione (panel) a cui vengono invitati a parlare solo uomini.
"Decostruire" è anche la parola che abbiamo scelto per la costruzione dello Spazio Libellula. E non è un caso. ;) https://www.instagram.com/p/CtOTw6Xoe-X/
Un numero ricco e pieno di contributi preziosi, grazie per avermi inserita tra loro 🤗