Afferrare
Linguetta #110 / Rendere le parole maneggevoli come oggetti è una necessità per chi vuole comunicare bene, sempre responsabile della chiarezza di ciò che dice.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Poco tempo fa sono arrivato accanto alla mia Renault Clio, l’ho aperta col comando a distanza, ho messo la mano sulla maniglia, ma al tatto ho sentito che qualcosa non andava. Infatti, non era la mia.
Gli attriti si percepiscono subito.
Come le parole, che devono suonare nel momento in cui le usiamo: perché la funzione è il senso di ogni progetto, soprattutto quando riguarda la lingua, cioè un meccanismo per produrre azioni.
La lingua è agganciata alla realtà, di più è la realtà. E una comunicazione pubblica che usa la lingua per farsi capire deve funzionare senza tentennamenti, deve fare percepire a chi la riceve l’immediata sensazione di comfort.
Le parole sono maniglie, leve, pulsanti.
Servono a trovare risposte ai nostri bisogni, le parole della comunicazione pubblica — che si tratti di una conversazione in chat, via mail, in un documento, allo sportello, ma anche a scuola, in ufficio, e pure quando dietro quella comunicazione c’è un obiettivo di vendita.
Alla letteratura chiediamo l’ambiguità, cioè di spingerci in ambienti fatti di domande e percorsi che ci spiazzano; alla lingua pubblica chiediamo la precisione, l’esattezza, la chiarezza. Chiediamo risposte.
A portata di mano
Nella serie tv Bodies, a un certo punto un personaggio parla di qualcosa di utile usando l’accezione inglese handy. Ecco, la lingua inglese qui riesce meglio di mille esempi a dire che quella parola ha a che fare con le mani.
La parola fa.
Sono cose, le parole: tastabili, afferrabili, usabili, che vanno declinate per essere in sintonia con il modello mentale di chi le riceve.
C’è un’espressione colloquiale che rende bene il concetto, ed è “hai afferrato?”; la usiamo quando chiediamo a un’altra persona se le parole che abbiamo appena pronunciato le sono state chiare, se le ha capite.
L’etimologia di ‘afferrare’ non ha radici in alta definizione, ma certo ha a che fare con il ferro, forse rimandando all’espressione latina ad ferrum e di qui per metonimia agli oggetti fatti di ferro, cioè agli utensili, gli arnesi, i ferri del mestiere.
Ma c’è un’altra cosa che ci dice l’espressione “hai afferrato?, cioè di chi è la responsabilità della parola.
Chi dice, è sempre responsabile.
La comunicazione (uno-a-uno oppure uno-a-molti) riesce quando chi parla/scrive si fa capire da chi ascolta/legge. Sta sempre a chi comunica essere responsabile delle proprie parole, e di ogni eventuale chiarimento.
Facilitare
Il compito di chi usa le parole per lavoro (ma vale anche nelle situazioni quotidiane) è di rendere afferrabili i concetti come fossero maniglie da tirare, senza farsi domande sul modo in cui vanno tirate.
Come per l’affordance di un oggetto, spiegata bene dal designer Donald Norman nel libro La caffettiera del masochista: cioè la capacità di un oggetto di suggerire subito come va usato.
L’invito all’uso, che per le parole significa facilitare.
Ecco, chi comunica è una persona che raccoglie un certo numero di informazioni, progetta un contenuto e poi lo rende maneggiabile con facilità dalle persone a cui si rivolge.
Che siano strumenti di servizio come le parole oppure oggetti prodotti in maniera industriale, si tratta sempre di design, come racconta bene
nell’omonima puntata (Design) del suo :Questo, per tornare alle basi, dovrebbe essere un fondamento del design: che risolva dei bisogni delle persone e lo faccia immaginando un futuro che non esiste ancora e che in certi casi non ha nemmeno radici nel presente.
Le parole sono l’esempio più limpido di design, sono l’oggetto che abbiamo sempre a portata di mano. Da maneggiare, con cura, per essere facilmente afferrate.
P.S.
Ci si sta abituando ad arrivare alla domenica sera da queste parti, comunque si arriva sempre. E per chi vuole allargare il giro di Linguetta, il bottone del passaparola magico (quello che vale anche dei premi) è al solito qua sotto.
🖊️ Inversi
I versi di oggi sono tratti dalla filastrocca La Gran Sparachapati di Madame Bhattacharya, che sta nella raccolta Prugna di Tony Mitton (traduzione di Alessandra Valtieri). Il libro purtroppo è fuori catalogo però le biblioteche sono un’ancora di salvezza. Ecco alcuni versi che riassumono la magia di questa macchina prodigiosa:
La Gran Sparachapati di Madame Bhattacharya
ha leve e pulsanti azionati in sincronia.
Frigge mille e più chapati, lisci, al curry e peperoni,
poi li lancia in aria a pioggia, a migliaia di milioni.
📚 Parole tra le nuvole
Questa settimana il doppio consiglio letterario ha la forma del romanzo grafico:
il graphic novel Ducks di Kate Beaton (traduzione di Michele Foschini), cioè quello che promette il sottotitolo: due anni nelle sabbie bituminose, nello stato canadese dell’Alberta, per ripagare i debiti universitari. È un racconto autobiografico spesso, sia nel numero delle pagine sia per i tanti strati tematici che ci stanno dentro, ed è uno di quei reportage che ti fanno conoscere le persone, i posti dove stanno, quelli dove vorrebbero essere, le violenze del maschilismo, la morsa del capitalismo divorante, le fragilità dei legami familiari a distanza, le prospettive nascoste della scuola, il benessere mentale, l’ambiente che viene ucciso.
secondo consiglio è il fumetto per ragazzə Avatar - The last airbender, di cui ho letto il primo di cinque volumi: La promessa, scritto da Gene Luen Yang e illustrato dallo studio Girihiru (traduzione di Annalisa Zignani). Si tratta di un adattamento dell’omonima serie animata, di cui mantiene la profondità narrativa e la capacità di raccontare un mondo che cambia in continuazione, cercando di resistere alle corruzioni del potere che vorrebbe vedere sempre le cose in modo uniforme.
🎥 Corpo del reato
Ho visto la miniserie Bodies, scovata come consiglio nella newsletter
di . Otto puntate che girano attorno al misterioso omicidio di un uomo e alle quattro persone che indagano, ciascuna in un anno diverso: 1890, 1941, 2023, 2053. Eh già, varchi temporali come in Dark. Forse il finale non tiene la costruzione di tutta la storia, ma a me piace vivere le storie (per dire, sono uno di quellə a cui non importano proprio le diatribe sul finale di Lost, che insomma s’è divertito da matti a stare per sei anni su quell’isola). Comunque, per Bodies la cosa che credo funzioni meglio è la caratterizzazione dei quattro detective. Per chi vuole, sta su Netflix.✉️ Tripletta disegnata
È solo alla seconda puntata, ma già mi piace un sacco com’è strutturata la newsletter
di , cioè con una scrittura che ibrida elenchi puntati e disegni per raccontare ogni volta il viaggio fatto da un ospite diverso.Secondo consiglio è per
dell’illustratrice , che arriva quando meno te l’aspetti ed è sempre ricca di opere che allargano la visione.Infine
dell’illustratore , che nell’ultima puntata ha espanso il concetto di haiku, portandolo tra gli spazi bianchi delle vignette.Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Usiamo le parole come maniglie per fare entrare le persone agevolmente nelle conversazioni, basta metterci il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Grazie mille Andrea! E in che compagnia!!
Le parole sono come...
oggetti, utensili, ma anche flussi, vie che si aprono nel rumore di fondo dell' informazione errante nel disordine. Il rumore di fondo da cui emergono parole genitrici, che insieme danno alla luce nuove consapevolezze o semplicemente il piacere di ascoltare.
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