Una lingua per tuttə
Linguetta #28 / Lo schwa è il segnale di una lingua in fermento, che non risponde a norme asfissianti ma tenta di superare il genere e rimettere al centro le persone.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Nell’episodio 8 della terza stagione della serie tv The Expanse c’è questo dialogo tra Amos Burton e il capitano James Holden:
Amos: Se hai bisogno di toglierti un peso … non sono di grande aiuto, ma almeno non giudico.
Holden: È una gran qualità, lo sai?
Una battuta che fa da sintesi al personaggio più problematico e complesso della serie, Amos Burton. Una sola battuta che si trova a metà esatta dell’intera serie, nel mezzo della 31ª puntata delle 62 totali. Un punto di equilibrio.
Amos non giudica.
Ecco perché oggi sono partito da quest’esempio per parlare di lingua. Amos ci aiuta a capire che molti nostri atteggiamenti, impostazioni, comportamenti sono dettati dal nostro giudizio. O meglio: dalla volontà di giudicare, etichettare, costringere le altre persone dentro abiti preconfezionati.
Amos non giudica, rispetta le differenze.
La lingua non giudica, asseconda le differenze, si muove, cambia, scorre, sperimenta. Ed è esattamente quello che sta succedendo con il dibattito sullo schwa.
Ma cos’è lo schwa?
ə
Una e ruotata di 180°, simbolo dell’IPA (International Phonetic Alphabet o Alfabeto Fonetico Internazionale).
In questa Linguetta però vorrei fare parlare un eloquente pezzo della sociolinguista Vera Gheno, che ho citato diverse volte come suggerimento di lettura fin dai primi numeri della newsletter.
Il pezzo s’intitola Schwa: storia, motivi e obiettivi di una proposta ed è uscito ieri, 21 marzo 2022, sul sito di Treccani.
Si tratta di un articolo lungo, ma credo condensi in modo efficace tutto quello che c’è da dire (sinora) sull’argomento; e diventa un compendio ricco di spunti e link per chiunque voglia informarsi in modo completo sull’argomento schwa.
Dice Vera Gheno:
Lo schwa è diventato simbolo di un’accesa discussione […] per cercare di superare quello che alcune categorie di persone giudicano come un limite espressivo della lingua italiana, ossia il fatto che non sia possibile non esprimere il genere di una persona o di un gruppo di persone.
Ma il genere non può ridursi al maschio o femmina che ci viene dato alla nascita, il genere non è solo una questione binaria. In particolare, c’è un passaggio nell’articolo di Gheno che dice nella maniera più chiara possibile che cosa compone l’identità di ogni persona:
Il sesso biologico assegnato alla nascita
L’identità di genere, che risponde alla domanda ‘come mi sento’
L’espressione di genere, che risponde alla domanda ‘come mi presento’
L’orientamento sessuale, che risponde alla domanda ‘chi mi piace’
Uno specchietto riassuntivo che restituisce la varietà umana di voci, che in un maschile sovraesteso non possono starci dentro. Lo schwa è una soluzione che si sta sperimentando per rispondere — dice ancora Gheno — “alla necessità di rivolgersi a una moltitudine mista, di parlare a una persona che non si riconosce nel binarismo di genere”. Il tentativo di cercare “non un neutro o un terzo genere, ma una forma priva di genere”.
Certo, lo schwa ha anche dei limiti.
Non è rappresentato sulla tastiera dei computer (anche se dal 2021 sia Android sia Apple lo hanno inserito tra le alternative alla lettera e su smartphone e tablet).
Non è riconosciuto dai lettori vocali di testo che usano le persone cieche e ipovedenti.
Le persone anziane o con scarsa conoscenza dell’italiano potrebbero avere problemi a decodificarlo.
Questo perché, ribadisce Vera Gheno:
La leggibilità va preservata, soprattutto per documenti che devono essere fruibili da un pubblico ampio e indistinto.
Occorre valutare l’impatto delle scelte linguistiche che facciamo, valutare in che contesto ci troviamo ed evitare di tirare su barriere.
Nella pratica, anche davanti a testi da correggere, sistemare o scrivere (come adesso), quello che faccio è cercare, per quanto possibile, di non usare il maschile sovraesteso, andando alla ricerca di soluzioni alternative.
Credo che questa cosa aiuti anche a mettere più attenzione nella scelta delle parole giuste, di quelle necessarie. E alla fine, con la pratica, diventa una cosa naturale.
Si tratta sempre di riuscire a essere rappresentati.
Come dice lo scrittore Fabrizio Acanfora:
La lingua che parliamo ha un peso enorme nelle nostre vite: attraverso le parole ci scambiamo informazioni, comunichiamo stati d’animo e sensazioni, ci dichiariamo amore eterno o facciamo scoppiare guerre. Le parole hanno un ruolo che va oltre la trasmissione di concetti, sentimenti e informazioni, ma hanno a che fare anche con l’identità di ciascuna persona.
In generale, il diritto di autorappresentarsi viene dato per scontato da coloro le cui caratteristiche psicofisiche, sensoriali, culturali, religiose, etniche di orientamento sessuale o di genere rientrano in quella che è la frequenza media con cui si presentano nella popolazione ovvero, per dirla in modo più semplice, da quelle persone considerate “normali”.
Lo schwa serve ad aprirsi alla sperimentazione, è il segno di un cambiamento possibile, linguistico e sociale.
Ancora Vera Gheno:
Non credo che lo schwa sia la soluzione definitiva al problema, quanto piuttosto il segnale di un’esigenza per la quale, al momento, non è stata pensata una risposta più sostenibile di questa.
È una delle espressioni del linguaggio ampio di cui Fabrizio Acanfora parla nel suo prezioso libro In altre parole. Dizionario minimo di diversità: un linguaggio costituito dalla convivenza delle differenze.
Io non sono un linguista, ma la questione dello schwa e in senso più ampio della lingua riguarda tuttə come comunità di parlanti. Affidarmi a chi ne sa di più di me, come Vera Gheno, è capitale: spero che questo approfondimento vi invogli a leggere il pezzo di Gheno, a riflettere sulla cosa, a farci un pensiero.
Lo schwa non è il punto definitivo, anche perché fisiologicamente la lingua non ammette alcunché di definitivo, come la condizione umana: è in perenne metamorfosi.
Vi saluto con un bel video sullo schwa fatto dall’illustratore Sio, sì proprio quello di Scottecs Magazine 😁.
🔗 Linkologia
Nel pezzo di Vera Gheno ci sono un sacco di link. Io ne aggiungo un altro paio:
Un po’ di cose sullo schwa, ma soprattutto non sullo schwa di Luca Sofri, direttore del Post.
Ho usato lo schwa per colpa di un horror sul blog della scrittrice Loredana Lipperini.
Una puntata del podcast Problemi Deli dell’audio designer Jonathan Zenti
e una sua appendice
📺 Un videino
Visto che questa Linguetta è cominciata con il mio nume tutelare linguistico Vera Gheno, vi lascio con una bella conversazione su schwa e dintorni tenuta proprio con Sio in una puntata di Basement Café.
🎥 Serie che fanno sul serio
Tutto è iniziato con la frase di Amos Burton, uno dei personaggi di The Expanse. Be’, allora come faccio a non consigliarvi questa serie di fantascienza che rivoluzionerà il vostro modo di guardare (o non guardare o non voler guardare) la fantascienza.
Siamo nel futuro, ci si muove fra Terra, Marte e la fascia di asteroidi dove vivono i Cinturiani e che servono alla sopravvivenza di entrambi i pianeti interni per via delle risorse minerarie. Vi suona familiare, vero? La fantascienza non è un mondo incantato dove succedono cose strane, è un modo (forse il più potente) per vedere la realtà.
Ah, sta su Amazon Prime Video.
Direi che per oggi vi ho bombardato abbastanza di cose da leggere, vedere, ascoltare.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Se non siete già iscrittə alla newsletter, per mettere il 💖 bisogna lasciare l’email; se decidete di farlo, il pulsante da pigiare è sempre al solito posto, giù in fondo, accanto a quelli per commentare e fare passaparola.
Se mi cercate online, mi trovate un po’ dappertutto: su Instagram, Twitter, Medium, Facebook e LinkedIn. E per chi usa Telegram, mi scovate digitando andrjet.