Un articolo in meno
Linguetta #1 / Un po' alla volta il dominio patriarcale viene eroso, partendo sempre dal giusto uso della lingua. E pure un articolo determinativo messo o tolto può fare la differenza.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Le gare di Olimpiadi e Paralimpiadi di Tokyo sono finite da poco e io ci ho sperato fino in fondo, ogni volta che accendevo la televisione per seguirle. Ci ho sperato davvero che un/una telecronista, un commentatore, una commentatrice non pronunciassero quell’articolo. Ma ahimè, le speranze si son schiantate come un crash test contro un muro.
Sto parlando dell’articolo determinativo — o della sua relativa preposizione articolata — davanti al cognome di un’atleta. Davanti al cognome di una donna.
Può sembrare poco, un’inezia, un dettaglio. Ma sono i dettagli a fare tutta la differenza del mondo, è con i dettagli e le cose minuscole che si costruiscono scenari diversi.
La domanda è questa
Perché i commentatori raccontano lo sprint di Jacobs, le pedalate di Ganna, i tuffi di Daley, le falcate di De Grasse, gli affondi di Szilagyi, la resistenza di Kipchoge; mentre parlano di bracciate della Pellegrini, piroette della Ferrari, gol della Rapinoe, allunghi della Fraser-Pryce, stoccate della Deriglazova?
Non è la Ledecky che ha vinto due ori e due argenti, è Ledecky.
Non è la Biles che ha avuto il coraggio di denunciare una fragilità, è Biles.
Non è la Perilli che ha vinto le prime due medaglie per San Marino, è Perilli.
Non è la McKeon che è salita 7 volte sul podio del nuoto, è McKeon.
Non è la Duffy che nel triathlon ha portato l’oro a Bermuda, è Duffy.
Non è la Palmisano che ci ha fatto sognare nella marcia, è Palmisano.
L’elenco potrebbe andare avanti all’infinito, e ovviamente non solo in ambito sportivo.
Il difetto nell’uso dell’articolo davanti ai nomi femminili è comune, popolare, automatico, non ci si fa caso proprio perché siamo cresciuti in un mondo al maschile.
Qualcosa di simile alla storiella che raccontava David Foster Wallace sul pesciolino che chiede agli altri due pesci come sia l’acqua e che si sente rispondere: “Che diavolo è l’acqua?”. In questo caso l’acqua è il mondo patriarcale dentro cui siamo immersi, le strutture invisibili che ci hanno plasmato senza che ce ne rendessimo conto.
Spesso non può nemmeno essere una colpa non accorgersi dell’acqua, fino a un po’ di tempo fa l’ho usato pure io l’articolo davanti ai nomi di donne, finché qualche ‘pesce fuor d’acqua’ — alias letture varie — me l’hanno fatta vedere quell’acqua, e pure la sua torbida densità.
Più di tutti e tutte devo ringraziare la linguista Vera Gheno - la trovate su Instagram come @a_wandering_sociolinguist e su Twitter come @vera_gheno. Vi raccomando un paio di suoi libri (Potere alle parole e Tienilo acceso) e un bell’intervento TedX. Credo sia una delle voci più autorevoli, competenti e informate che ci siano online sul giusto uso della lingua.
In un altro su libro (Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole) ribadisce come “la lingua che parliamo influenza il modo in cui percepiamo la realtà”. E tra le tante puntuali osservazioni vi riporto questa:
Le parole, in fondo, non sono mai ‘semplici parole’: possono sembrare sequenze di lettere (o suoni) apparentemente innocue, ma, a ben guardare, ognuna di esse contiene un piccolo mondo di relazioni, significati più o meno espliciti, visioni della realtà, connotazioni.
E dentro Femminili singolari ci sono tutte (ma proprio tutte) le obiezioni che possono venire in mente sugli usi di parole al femminile nella lingua italiana - per chi volesse Vera Gheno ci ha pure fatto un’audio puntata riassuntiva all’interno del podcast di Valigia Blu.
Torniamo però all’emblematico caso degli articoli
La cosa forse più fastidiosa da annotare è che pure operatori della comunicazione e dell’informazione, che dovrebbero stare attenti all’uso ponderato e corretto della lingua, non riescano a levare quell’articolo davanti ai nomi femminili.
Non ce la fa la Rai, non Sky, non Eurosport, non ce la fanno Corriere e Repubblica. Gli unici a riuscirci (o quanto meno gli unici che ho sentito io, eh) sono i giornalisti che lavorano a Il Post e quelli di Internazionale, che non a caso hanno fatto dell’approfondimento, dell’accuratezza e di una correttezza sempre verificata il proprio metodo di lavoro. Mi ricordano un po’ quello che diceva la mia maestra delle elementari:
Prima di parlare, pensa tre volte.
E a pensarci bene, le cose vengono meglio.
I cognomi maschili e femminili sono cognomi.
Mettere articolo o preposizione articolata davanti al cognome di una donna ci fa ricadere nella disparità di genere del patriarcato, perché tratta le donne in modo più informale.
D’altra parte, non diciamo mica “Che rovesciata pazzesca ha fatto il Quagliarella!”. Allora impariamo pure a dire “Gama ha chiuso alla grande”? [Sara Gama, difensora e capitana della Nazionale italiana femminile di calcio].
La partita della lingua è aperta.
Un articolo in meno serve a pareggiare i conti.
Ci leggiamo alla prossima Linguetta.
La foto di copertina è di Ross Findon su Unsplash.