Stato di varietà
Linguetta #38 / La società muta e con essa la lingua, e i nomi propri delle persone sono il segnale più bello di questa mescolanza, che è lo stato naturale delle cose.
![Omini della Lego di tutti i colori, ciascuno davanti a un colore diverso che forma una bandiera arcobaleno. Omini della Lego di tutti i colori, ciascuno davanti a un colore diverso che forma una bandiera arcobaleno.](https://substackcdn.com/image/fetch/w_1456,c_limit,f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep/https%3A%2F%2Fbucketeer-e05bbc84-baa3-437e-9518-adb32be77984.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2F76de660f-bb1f-4ddc-880b-dd12a07f5966_1920x1280.jpeg)
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Da quando porto in giro Il giro d’Italia in 80 isole ho incontrato 1.100 bambini e bambine delle elementari, e ogni volta la prima cosa che faccio — sia che ci troviamo a scuola, in libreria, in biblioteca o in un festival —, la prima cosa che faccio è chiedere il nome.
Prima di ogni cosa noi siamo il nome che portiamo, quel nome ci fa riconoscere, ci getta dentro il mondo, ci mette in relazione alle altre persone.
Quando sentiamo pronunciare un nome uguale al nostro drizziamo subito le orecchie, percepiamo una specie di comunanza, la sensazione piacevole di un abbraccio. Avete presente gli insiemi che si studiavano a scuola quando s’iniziava a capire la dimensione dello spazio? ecco, la sensazione è quella di essere parte di qualcosa, dentro allo stesso insieme di chi porta un nome uguale al nostro.
Il nome è la prima cosa che chiedo a bambini e bambine, perché sentirci chiamatə ci predispone al dialogo, accorcia le distanze.
Ogni volta che torno a casa da un incontro, me li segno tutti quanti questi nomi, e ce ne sono alcuni davvero belli, che fanno sentire il valore profondo del mondo che si muove, di una società che cambia incontrandosi.
Ho fatto proprio un censimento di questi 1.100 nomi, e se in testa troviamo Andrea (23 occorrenze) seguito da Giulia e Sofia (19), Emma (18), Alice (17), Alessandro, Giorgia, Mattia e Sara (16), poi a comparire 7 volte insieme a Gabriel, Nicolò e Tommaso è il nome Mohamed. Ma sono quelli che compaiono anche solo una volta ad affollare l’elenco con sonorità che stanno diventando un’abitudine per le nostre orecchie: Adna, Aisha, Arsela, Ayman, Demian, Dudu, Elsie, Esmeralda, Fatimir, Hassan, Isabel, Joud, Kadri, Khadija, Luis, Malek, Marwa, Musa, Ousmane, Precious, Ritel, Sadek, Shady, Smiles, Talma, Walid, Yassin, Yufan, Zafrin, Zineb, Zoe.
Questa è una piccola selezione dei nomi che fanno brillare gli occhi con le loro consonanti, ma la cosa importante è che sono segni. Maestri e maestre li vedono, li sentono, li nominano da tanto più tempo rispetto a me, che li ho sentiti solo in questi ultimi tre anni in giro con il libro.
La forza della mescolanza
Questi nomi emergenti sono il segno della mescolanza che è all’origine di ogni attività umana, che anzi è la matrice evoluzionistica di ogni creatura. Si tratta di quella mescolanza che ci ha mostrato la scorsa estate l’Olimpiade di Tokyo 2020.
Anche mescolare è un gesto, che abbiamo fatto tuttə almeno una volta: mescolando pitture, mescolando un’insalata, mescolando gli ingredienti di una torta, mescolando suoni in un garage con la nostra band, mescolando sapori in bocca.
Mescolare è alla base della natura, non solo di quella umana.
Mescolare è la base di ogni cosa che esiste.
La mescolanza genera novità lì dove prima c’erano cose separate. Mescolare fonde le cose, sconvolge i canoni, abolisce il concetto di purezza, genera differenza nell’unità.
La mescolanza è la base della vita, di qualsiasi forma di vita che si è sviluppata sul pianeta Terra; è il presupposto perché la vita continui più forte, è la ricetta dell’evoluzione di tutte le specie: si fonda sul concetto di ibridazione, di trasformazione continua tra esseri viventi.
Siamo tuttə un bel miscuglio e lo saremo sempre di più, perché la biodiversità è l’essenza della vita. E in questa mescolanza impariamo a capirlo, e ci aiutano più di ogni altra cosa bambini e bambine, perché per loro le differenze non sono un ostacolo da aggirare con fatica ma lo stato naturale delle cose.
L’abitudine alla varietà la alleniamo soprattutto con l’uso appropriato delle parole, chiamando le cose con il loro nome, e non con “quello che abbiamo sempre usato, perché si è sempre fatto così”.
A spiegare molto bene questo concetto è come sempre Vera Gheno, che nel suo ultimo libro Chiamami così. Normalità, diversità e tutte le parole nel mezzo spiega alla grande la resistenza al cambiamento linguistico, che si manifesta sotto tanti profili. In un passaggio dice:
La relazione molto stretta che esiste fra la società in cui viviamo e la lingua che usiamo ha una direzione prevalente: va dalla società (dalla realtà, dalla cultura) verso la lingua, non viceversa. In altre parole, quando cambiamo la cultura e la realtà, quando si verificano fenomeni nuovi, noi li percepiamo e la nostra lingua si adatta.
[…] nel momento in cui diamo nomi alle cose, diventiamo in grado di parlarne e dunque di comprenderle. Siamo esseri narranti e narrati e le parole sono uno snodo fondamentale del nostro modo di conoscere.
Vale per l’uso dei femminili professionali e di una parità di genere ancora impari, ma vale anche per le parole semplici che abbiamo paura di usare, per quelle che devono invitarci a entrare come una maniglia ben progettata. Vale per questo e per tutto quello che abbiamo visto finora dentro Linguetta, perché la lingua è malleabile e proteiforme come la società umana in cui è immersa.
Differenze che convivono
Le ultime Olimpiadi hanno mostrato in mondovisione che le prestazioni sportive hanno iniziato a distribuirsi in modo diverso, che alcune tradizioni sportive sono mutate, che le nazionalità dei medagliati sono variate, che tante sorprese hanno rimescolato le carte in tavola.
È successo come per i nomi di bambini e bambine, che variano man mano che varia la composizione della società, oltre una condizione di normalità attorno a cui cerchiamo spesso di costruirci certezze da non scalfire.
Bambini e bambine ci insegnano che questa ricchezza è la normalità, che le differenze convivono come ricorda sempre Fabrizio Acanfora.
Quando uno dei miei nipoti aveva tre anni e mezzo, fissò una foto di un missionario bresciano che teneva in braccio un bambino etiope. Be’, quello che disse mio nipote fu:
“Quello sono io con il mio papà”.
Ecco, aveva riconosciuto le categorie padre e figlio, e gli bastava. Tutto il resto è solo sovrastruttura di una mente adulta che teme le differenze.
Le parole sono lo strumento che abbiamo per leggere ogni differenza come misura dell’essere umani.
📚 Stato di varietà
Tre consigli di carta.
👉 L’albo illustrato Di qui non si passa di Isabel Minhós Martins e Bernardo Carvalho, perché è un libro troppo divertente, con una guardia messa al limite delle pagine di sinistra a fare la guardia alla pagina, sì insomma per assicurarsi che nessuno la valichi e approdi in quella di destra. E dentro le pagine inizia ad affollarsi la più svariata umanità, animalità e alienità possibile. Accalcatə lì, finché, indovinate un po’ chi sarà a rompere gli indugi? Già, un bambino.
👉 Da un albo illustrato a un libro fantasmagorico fatto solo di immagini inimmaginabili e scritte illeggibili: è il Codex Seraphinianus di Luigi Serafini, le cui prime edizioni sono ormai introvabili, ma come al solito lunga vita alle biblioteche! Però se volete, è uscita giusto quest’anno una nuova edizione rinnovata nell’anno del 40° anniversario. Se avete 114 euro da spendere, allora è fatta. Il Codex è un inno supremo alla varietà e alla variazione.
👉 Trasformazione chiama trasformazione, e allora il consiglio è di tuffarvi nelle Metamorfosi di Ovidio. L’estate si avvicina, il tempo si dilata e l’occasione è propizia per lasciarsi penetrare dal meccanismo della parentela che governa questo libro. Che come dice Italo Calvino nella sua introduzione è il libro della “contiguità tra tutte le figure o forme dell’esistente, antropomorfe o meno”.
🎧 Il mondo è bello perché è vario
Cuffiette nelle orecchie e prontə ad ascoltare alcuni podcast che ormai sono appuntamento fisso per me:
Questo lo tiene l’attivista bresciano Giovanni Mori per Lifegate, esce ogni mattina e vi aggiorna in pochi minuti su alcune delle principali notizie, partendo sempre dalla cosa che dovrebbe riguardarci in ogni momento: continuare a rendere il pianeta Terra abitabile. Infatti il podcast s’intitola … News dal pianeta Terra.
Secondo e ultimo consiglio di giornata è un’altra produzione del Post, cioè Ci vuole una scienza a cura del giornalista scientifico Emanuele Menietti e dalla biotecnologa e divulgatrice Beatrice Mautino. Come tutte le cose del Post: chiaro, inappuntabile, informale il giusto, preciso. E come dice il titolo, si parla di notizie scientifiche e di come riuscire a comunicarle al meglio. Ecco una delle puntate.
Mi sa che è tutto, ci leggiamo alla prossima Linguetta!
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