Siamo vocali
Linguetta #84 / Usare le desinenze nel modo corretto per i femminili professionali serve a fare esistere le persone, ed è soprattutto una questione sociale.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Tempo fa con una delle mie nipoti abbiamo fatto un gioco per distinguere le vocali dalle consonanti: abbiamo provato a dirle una per una guardandoci allo specchio.
E ci siamo accortə che per esprimere le vocali ci bastava usare la mimica della faccia, mentre per dire le consonanti dovevamo per forza produrre un suono (senza, risultava qualcosa di incompleto e di non afferrabile) — provare per credere.
Le consonanti devono suonare per funzionare, le vocali si disegnano già sulla nostra faccia. Questo perché le consonanti usano il canale vocale chiuso, le vocali usano il canale vocale aperto.
Le consonanti stringono, le vocali allargano.
Ed è proprio lo sguardo ad allargarsi, quando scegliamo di usare una vocale piuttosto che un’altra alla fine di una parola.
Può sembrare un dettaglio, ma fa tutta la differenza del mondo: tutta la differenza che ad esempio esiste tra sindaco e sindaca, tra ingegnere e ingegnera, tra fornaio e fornaia. La differenza del genere che esprime: maschile o femminile.
Scegliere di usare una parola con la vocale finale che si accorda al genere della persona a cui si riferisce significa dire che quella persona esiste.
I nomi sono conseguenze delle cose, nominare serve a fare esistere.
Nominare nel modo corretto le professioni non è solo una questione linguistica, è soprattutto una questione sociale: dice che mestieri un tempo solo appannaggio degli uomini ora sono svolti anche dalle donne, anzi riconosce tutto quello che la società patriarcale ha sempre negato alle donne: spazio da occupare.
Le vocali contano e ci definiscono, specie all’interno di una lingua come l’italiano in cui non esiste il neutro, che modifica i finali dei sostantivi a seconda della tipologia:
per i sostantivi di genere mobile, cambiando appunto le vocali (medico/medica, avvocato/avvocata, arbitro/arbitra) oppure le desinenze (attore/attrice, pescatore/pescatrice, assessore/assessora);
per i sostantivi di genere comune o ambigenere (pilota, dentista, presidente, psichiatra, anestesista), cambiando l’articolo che li precede;
per i sostantivi scritti al femminile anche se riferiti a soggetti maschili, tenendoli invariati: la guida, la sentinella, la guardia, la comparsa.
Diverso invece il caso dei nomi con il suffisso -essa di cui esistono forme già utilizzate in passato e perciò ormai d’uso comune: ad esempio dottoressa o studentessa.
Come sempre è l’uso che determina il cambiamento della lingua, che non è fissa e immutabile ma segue i movimenti della società.
Nuovi spazi
Nella prima puntata della serie Mare fuori c’è una battuta troppo importante, che sentiamo quando appare per la prima volta l’attrice Carolina Crescentini, impegnata nel ruolo di chi deve dirigere l’Istituto penale minorile (Ipm) di Napoli. Il suo personaggio si chiama Paola Vinci e dialoga con il comandante Massimo Esposito:
Massimo: Ora con il suo permesso, direttore…
Paola: Direttrice, preferisco.
Massimo: Perfetto, direttrice.
Ecco, tre linee di dialogo che riescono a dire tutto di quello spazio che va lasciato da chi (uomini) ha avuto il potere di dire, nominare, fare.
Lo spazio si libera scegliendo di usare le parole giuste, cioè quelle che definiscono in modo puntuale una cosa, una situazione, una persona.
E l’esempio più lampante è proprio quello dei femminili professionali, con le donne che ora ricoprono ruoli prima negati dal sistema patriarcale.
Lo spazio dell’azione linguistica si modella a seconda di come cambia la società.
E servono le narrazioni, le rappresentazioni, serve nominare nel modo appropriato le cose che cambiano.
🖊️ Inversi
Tre piccoli versi di un poeta che mi è tanto caro, soprattutto per il suo impegno civile a favore di chi aveva meno possibilità. Lui è Danilo Dolci, la poesia sta nel volume Creatura di creature. Poesie 1948-1978.
Riconosci talora il tuo sorriso
le tue foschie
nel viso altrui —
come in una eco.
📚 Parole giocabili
C’è un libro pensato per i più piccoli, ma che serve anche ai più grandi: per sentire tutti i suoni che fanno vocali e consonanti, per entrare dentro la magia del linguaggio, visto come “un gigantesco albero dagli infiniti rami che buttano sempre nuove foglie”. L’ha scritto Donatella Bisutti e s’intitola Le parole magiche.
Il secondo consiglio è pensato per bambini e bambine ma parla anche agli adulti, grazie al linguaggio del fumetto che la casa editrice canicola sta portando avanti da un paio d’anni con i volumi della collana dino buzzati. L’autrice è
, il libro è Io sono Mare: un racconto che parla di identità sessuale immergendoci in un’atmosfera sognante.🗞️ Al femminile
Una puntata di
sulle desinenze giuste nell’uso dei femminili professionali, partendo da quello che ha detto Ambra Angiolini sul palco del 1° maggio.E sempre sugli aspetti che riguardano i femminili professionali un bel post LinkedIn di Roberta Zantedeschi.
🎧 Vera Gheno
Ci sta che stia anche nel titolo, perché la sociolinguista Vera Gheno è la fonte più autorevole, chiara e precisa sulle questioni che riguardano la lingua e la sua azione nella società. Ecco allora due contributi audio per chi voglia formarsi un’opinione informata e precisa sui femminili professionali:
Una puntata dal podcast prodotto dal Post:
E una puntata fatta per Valigia Blu:
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Teniamo sempre a mente che pure una cosa piccola come una vocale può fare una grande differenza, così come lo fa sempre il 💖 che mettiamo in tutte le nostre azioni linguistiche, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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