Scusarsi
Linguetta #138 / Spesso molte persone e istituzioni chiedono scusa scaricando la responsabilità su chi dovrebbe ricevere le scuse, segno di mancanza di empatia.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Nel graphic novel Le parole possono tutto di Silvia Vecchini e Sualzo c’è un passaggio in cui Greta cerca di scusarsi per una cosa che ha fatto all’amica Sara. Ecco le battute:
Greta: È proprio questo che ho sbagliato. Mi spiace se ti ho ferita.
Sara: Se? Cavoli, Greta, ero distrutta e per fartelo capire ho anche fatto un casino! E tu mi hai proprio mollata.
Greta: Mi dispiace, sono stata una pessima amica. E non avrei dovuto restituirti il ciondolo. Era un regalo.
Sara: Lo è ancora, anche se non lo indosseremo. Anche se siamo cresciute e le cose cambiano.
Greta: Credi che le cose si sistemeranno? Che torneremo come prima?
Sara: Vediamo come va. Che ne dici?
Quest’ultima linea di battuta mi ha ricordato il finale degli episodi del podcast Sigmund a cura di Daniela Collu, che ogni volta chiude con un Ci pensiamo su.
Ecco, quel pensarci su è un segno di apertura simile a quello che Sara lascia tra sé e Greta. Ed è il contrario dell’inceppo linguistico che Greta le ha rivolto poco prima, tentando di chiederle scusa in modo abbozzato.
Per chiedere scusa basta dire scusa.
Le scuse parziali come quelle di Greta, invece, fanno deragliare le intenzioni e finiscono con l’essere peggio del non scusarsi affatto.
La stessa cosa che pochi giorni fa – dopo la frase omofoba di papa Francesco in un incontro informale con la Cei (Conferenza episcopale italiana) – è accaduta con le scuse diffuse dalla sala stampa vaticana nel comunicato ufficiale. Ecco l’estratto finale:
Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri.
Gli esempi simili di (false) scuse sono ahimè all’ordine del giorno, spesso pronunciate da esponenti della politica nazionale, celebrità, società sportive con varianti di una stessa formula. Questa:
Se ho offeso qualcuno, chiedo scusa.
Il problema sta in quella frase ipotetica, che sgrava di qualsiasi responsabilità chi ha detto una certa cosa.
Parole responsabili
In una comunicazione, chi parla/scrive è sempre responsabile delle parole che usa: è suo compito farsi capire dal pubblico a cui si rivolge e suo dovere rispettare le unicità di chiunque sia parte di quel pubblico.
E se sbaglia, deve chiedere scusa.
Come ha fatto Greta nella storia che ho citato all’inizio, dopo essersi resa conto di avere usato male le parole.
Quella di Vecchini e Sualzo è una storia molto cara a Linguetta, perché racconta che le parole contengono mondi e soprattutto possono riparare, le cose e le persone. O come dice a un certo punto il signor T.:
Sara, Sara, le parole possono tutto.
Nel pronunciare parole di scusa, possiamo scegliere bene quali usare.
Possiamo scusarci bene. Certo, è difficile. Servono grande capacità di ascolto e tanta forza, perché le scuse ci espongono alle altre persone.
Scusarsi in modo sincero mostra le nostre vulnerabilità, è un rischio per chi le pronuncia, quelle scuse.
Scusare viene dal latino excūsare, derivato di causa “causa, colpa”, col prefisso ex- “da, fuori”. E suggerisce proprio che la scusa è come un peso da tirare fuori, da rendere evidente alla persona ferita.
E mostra ancora una volta che il principio di economia è portante in tanti nostri atti linguistici, perché spesso le parole che ci servono sono poche. A volte soltanto una.
P.S.
Oggi una Linguetta più corta, perché l’attenzione è una cosa preziosa, e a volte mi sembra giusto non prenderne troppa.
Però in coda rimetto un’altra cosa, che ho fatto insieme a Marianna Balducci e Sabir editore: L’arcipelago delle isoleombra, che potete trovare nelle librerie fisiche, in quelle online e pure in qualche biblioteca – se lo incontrate, vi piace e poi volete suggerirlo anche alla vostra di biblioteca, vi mando un abbraccio virtuale!
P.P.S.
Linguetta rimarrà sempre gratuita, ma già dall’inizio di quest’anno chi vuole può sostenerla. Ecco, dalla scorsa settimana un’altra persona ha deciso di farlo, e ora sono tre a donare dei soldini. Mi pare una cosa straordinaria: grazie.
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi che prendo in prestito da Silvia Vecchini, che li ha presi in prestito da una poesia di Vera Lúcia De Oliveira.
Tutto quello che non posso dire
non nasce.
📚 Il coraggio della verità
Parlando di libri con ragazze e ragazzi, mi capita di dire loro che le storie fanno un sacco di cose, tra cui farci vivere vite che non sono la nostra, e pure prepararci a momenti che potremmo incontrare – belli o brutti, gioiosi o dolorosi, divertenti o spiacevoli. Capita nelle storie che spesso definiamo ‘storie di formazione’ (anche se ogni storia ci dà una forma), ed è proprio quello che accade nel graphic novel I kill giants di Joe Kelly e KM Ken Niimura (traduzione di Caterina Marietti). La 10enne Barbara Thorson vi porta dentro la sua vita, di giocatrice di ruolo, di custode di un martello che si chiama Coveleski e di salvatrice di un mondo che sta collassando. Una storia a fumetti che per me ha come sua ideale gemella Sette minuti dopo la mezzanotte di Patrick Ness.
🎥 Ricomporre
Non ne pronuncia tante di parole, l’11enne Daniel. Le ascolta, soprattutto da quando all’età di quattro anni è diventato ipovedente a causa di un incidente. C’è lui, c’è il cane Snoop e c’è la madre Sandra nel film che vi consiglio. E ci sono parole che cercano di ricostruire quello che è successo dentro una baita sulle Alpi francesi. Il film è Anatomia di una caduta di Justine Triet, cioè l’analisi prospettica di tante cadute, che coinvolgono i personaggi e indagano i confini aperti tra finzione e realtà. Sta su Mubi.
🎧 Libera nos a maschio
Se c’è un modo di chiedere scusa per quello che il patriarcato ha fatto e continua a fare nel distorcere la realtà, allora può essere sabotarlo, il patriarcato. Ed è quello che succede nei cinque episodi di Mai dire maschi, a cura della ricercatrice Federica Merenda, che ogni volta incontra scrittori, attivisti, filosofi che hanno scelto di decostruire il blocco monolitico dell’essere maschi che il sistema patriarcale cerca di perpetuare. Vi linko l’episodio Per una maschilità balneabile con l’intervista ad Alessandro Giammei, professore di Italianistica a Yale.
🗳️ Andare a votare
Il pezzo riassuntivo più chiaro che ho letto su come si vota l’8 e 9 giugno l’ha scritto
nell’ultima puntata della sua newsletter . Ecco in maniera sintetica come si vota alle Europee. E votare significa scegliere, cioè avere parola.Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Riconosciamoci vulnerabili e quando serve chiediamo scusa, che in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Sono d’accordo al 100%
Quanto è difficile chiedere scusa, me ne stupisco ogni volta. Eppure basta una sola parola, non servono accrocchi. (Bellissimo Anatomia di una caduta, mi ha tenuto incollata fino alla fine!)