Oltre il giudizio
Linguetta #82 / Il linguaggio denotativo descrive, quello connotativo incorpora un giudizio. Usare il primo serve a riconoscere per chiunque uno spazio di libertà.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Quasi un mese fa la sociolinguista Vera Gheno inaugurava il podcast Amare Parole con una puntata in cui esemplificava la differenza tra linguaggio denotativo e linguaggio connotativo. Eccola:
Di fatto quando denotiamo stiamo descrivendo qualcosa. Quando connotiamo, alla descrizione aggiungiamo il giudizio.
L’esempio di Gheno ragionava sulla differenza delle espressioni GPA (Gestazione per altre persone) e utero in affitto. La prima denota, la seconda connota.
Usare una o l’altra espressione è sempre frutto di una scelta.
La lingua è questo che ci consente di fare: scegliere come dire una cosa, consapevoli del messaggio che portiamo su chi ci ascolta/legge.
Se connotiamo stiamo già incorporando nell’espressione una nostra ideologia, un giudizio che cerca di indirizzare l’informazione.
Ma perché la comunicazione — specie quella pubblica — sia utile alla comprensione, cioè spieghi le cose in modo chiaro, allora è la strada denotativa quella da seguire.
Non è facile riuscire a sospendere il nostro giudizio però è necessario perché la lingua definisca cose e persone in modo libero, lasciando a ciascunə il giusto spazio di abitare il mondo.
Mi viene sempre in mente una cosa che sentii nella serie tv di fantascienza The Expanse, quando nell’episodio 8 della terza stagione Amos Burton dice così al capitano James Holden:
Amos: Se hai bisogno di toglierti un peso … non sono di grande aiuto, ma almeno non giudico.
Holden: È una gran qualità, lo sai?
Una battuta che fa da sintesi al personaggio più problematico e complesso della serie, Amos Burton. Una sola battuta che si trova a metà esatta dell’intera serie, nel mezzo della 31ª puntata delle 62 totali. Un punto di equilibrio.
Che soprattutto dice una cosa: Amos non giudica.
Amos ci aiuta a capire che molti nostri atteggiamenti, impostazioni, comportamenti sono dettati dal nostro giudizio. O meglio: dalla volontà di giudicare, etichettare, costringere le altre persone dentro abiti preconfezionati.
Trova le differenze
L’esempio su GPA e utero in affitto è in consonanza con un altro caso linguistico dei giorni scorsi: quello del neonato lasciato nella “Culla per la vita” alla clinica Mangiagalli di Milano.
Subito è stato detto da molte persone (e giornali) che il bambino era stato abbandonato dalla madre, invece di usare un altro verbo: affidare.
Eppure la stessa “Culla per la vita” nasce per sollevare dal compito genitori (che per vari motivi non sono in grado di crescere il figlio / la figlia), consentendogli di affidarlə a qualche altra persona.
Le parole creano mondi, e in questo caso usare abbandonare invece che affidare marca la differenza tra ideologia e cultura della cura.
Lo spiega molto bene nell’ultima puntata della newsletter The Period un contributo della psicoterapeuta Federica Di Martino:
Eppure, di verbi similari, ben più adeguati al contesto, se ne sarebbero potuti trovare parecchi. “Il bambino è stato lasciato”, dato in custodia, affidato, assicurato. E invece no, si parla proprio di abbandono, che se usassimo un grammo della stessa cura e attenzione che questa donna ha rivolto al bambino, per le parole che utilizziamo per esprimerci, potremmo pure immaginarcelo, un mondo vagamente migliore.
Il pezzo spiega anche che cos’è la “Culla per la vita”, come nasce, chi la fonda, e soprattutto mostra ancora una volta come la lingua sia l’espressione di un pensiero, quindi di un’azione che definisce, descrive e che in questo caso ingabbia le donne entro un unico modello di maternità.
La questione linguistica è vitale, perché scegliere cosa dire e come dirlo mette sempre in moto una narrazione e un modo di pensare che — in uno spazio pubblico — si riverbera come le onde del mare.
E un bel ragionamento sulle parole usate in questa vicenda lo conduce
nel pezzo La lettera scarlatta oggi è una M. scritto per La svolta. Un estratto:È sconcertante come nemmeno il silenzio sia un diritto e come quel silenzio sia stato infranto proprio da chi, per legge, è tenuto a osservarlo scrupolosamente. Ma si sa, l’autodeterminazione è una bella parola solo sulla carta, non di certo nei fatti. È molto più solido il pensiero pervasivo della società che detta ciò che una donna può o non può fare, ciò che può e non può decidere.
Le parole usate in questa vicenda (da alcuni personaggi pubblici e da alcuni giornali) impongono, guardano dall’alto, incasellano, infantilizzano, cioè sono ancora una volta l’espressione di un paternalismo che vuole dare una direzione a tutto il resto, confacendosi a un unico dogmatico modello.
Stato di quiete
Si tratta di una lingua che giudica, non in grado di accettare lo spazio d’espressione più importante di tutti: il silenzio.
Lo dice bene in apertura dell’ultima puntata della sua newsletter
:Le parole non costano nulla e difatti spesso sono usate in maniera gratuita. Chissà se le sceglieremmo più accuratamente, se avessero un prezzo.
Chissà se butteremmo nel carrello, a caso, un aggettivo come “vera” vicino a “mamma” (ciao zio Ezio, insegna ai tuoi amici a pagare le tasse).
T’immagini? Inizieremmo a leggere i dizionari come oggi controlliamo gli ingredienti o l’origine di un prodotto.
Smetteremmo di confondere il termine “donna” con quello di “madre”, “abbandono” con “affido” e tante altre leggerezze che pesano tantissimo, quando non è su di te che gravano.
Ecco, quello che ci manca spesso è la capacità di sospendere il giudizio, di non dire la nostra, di aspettare, verificare, controllare, capire meglio, conoscere, studiare, fare silenzio. E poi, dopo tutte queste cose, nel caso, parlare.
Cercando di usare una lingua che denoti, che descriva senza giudicare.
Basta fissarci una cosa che la scrittrice Nadia Terranova ha sintetizzato in una frase all’interno del pezzo Enea e le vite degli altri scritto per Repubblica.
Ma la verità è che noi, delle vite degli altri, non sappiamo proprio niente.
P.S.
Stavolta Linguetta è tornata a fare la ranocchia, saltando di un giorno in là. A volte capita. Cra.
🖊️ Inversi
Inauguro una rubrica che farà un po’ da collante verso l’apertura letteraria di Linguetta che sta prendendo forma nella mia testa: Inversi. Ogni volta una poesia di pochi versi. Cominciamo così, con Giorgio Caproni.
Le parole
Le parole. Già. Dissolvono l’oggetto.
Come la nebbia, gli alberi, il fiume: il traghetto.
📚 Rendere evidenti
Ho aperto questa puntata con un suo podcast, perciò vado anche con un libro curato da lei, cioè dalla sociolinguista Vera Gheno: Parole d’altro genere. Come le scrittrici hanno cambiato il mondo. Lo sto leggendo e aiuta a fare davvero spazio (soprattutto nella testa) alle parole delle donne che il patriarcato ha nascosto, reso invisibili, dimenticato, schiacciato nel corso dei secoli. Un saggio che “fa parlare tra loro letteratura, linguistica, militanza, attivismo, passato e presente”.
Secondo consiglio per un fumettone che hanno scelto anche in una seconda media come libro del mese per il gruppo di lettura. E … wow! Quest’anno non avevo ancora visto entusiasmo e trasporto così assoluti nel parlare di un libro. Si tratta di Aldobrando di Gipi e Luigi Critone (con i colori di Francesco Daniele e Claudia Palescandolo). Una storia di formazione in un medioevo immaginario, un’avventura che il mingherlino Aldobrando riesce ad attraversare perché nel cuore ha una missione: trovare l’erba del lupo e tornare per salvare il suo maestro. Avevo dei timori, credevo fosse troppo per ragazzi e ragazze di 12 anni, ma come al solito da adulti siamo pieni di sovrastrutture. Quello che è uscito è stato di dirompente bellezza. Una lettura che vale per tutte le età, anche perché testi, disegni e formato riempiono gli occhi.
🎥 Respiri spaziali
L’ho citata, perciò ecco il consiglio: The Expanse, serie tv di fantascienza ambientata in un futuro fra Terra, Marte e la fascia di asteroidi dove vivono i Cinturiani e che servono alla sopravvivenza di entrambi i pianeti interni per via delle risorse minerarie. Suona familiare, vero? La fantascienza non è un mondo incantato dove succedono cose strane, è un modo (forse il più potente) per vedere la realtà. Sta su Prime Video.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Cerchiamo di descrivere cose e persone senza metterci il nostro giudizio, e per farlo la prima cosa che serve è come sempre il 💖, lo stesso che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Le parole contano, e tu hai davvero il dono della grazia nello sceglierle e proporle. Oggi mi ci voleva proprio questa dose di sensibilità. Grazie!
Veramente bello ciò che scrivi....interessante e molto profondo... ho riscritto quasi tutto nella mia agendina, trovo sia importante fare tesoro e imparare dai concetti espressi. Grazie