Mettersi al servizio
Linguetta #68 / Per chi lavora faccia a faccia con le persone, servono una lingua e un pensiero privi di tecnicismi, e così capaci di entrare in sintonia.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Ci troviamo tuttə, prima o poi, ad avere a che fare con un ufficio della pubblica amministrazione. E ahimè, spesso non è un’esperienza memorabile.
Recentemente mi sono trovato a parlare di questa cosa con un amico che li frequenta per lavoro, soprattutto per questioni tecniche.
Eccola, la parola che tutto governa: tecnica.
La parola tecnica viene dal greco τέχνη [téchne], che sta per “arte”, intesa come “saper fare”: un insieme di norme che vengono applicate per fare qualcosa, sia di manuale sia di intellettuale.
La tecnica ci serve per qualsiasi attività che facciamo, è quella cosa che ci distingue dagli altri animali e che trasforma le possibilità proprie degli elementi naturali in probabilità.
Il problema è quando la tecnica diventa tecnicismo, cioè quando la tecnica sovrasta tutto il resto: le sensibilità, la creatività, il buonsenso.
Cioè quando l’umano diventa una macchina burocratica.
E tutto parte sempre dalla lingua che si usa, espressione di un pensiero macchinico, asservito all’apparato; una specie di IA (intelligenza artificiale) che esegue un comando e basta.
Umano troppo umano
Mentre collegavo i puntini per questa Linguetta sono emerse nella mia testa (come accade spesso) delle immagini, associazioni che via via compongono quello che scrivo; e siccome tengo nella capa un bel po’ di fantascienza, m’è comparsa la macchina Voigt-Kampff: già, il dispositivo che i cacciatori di androidi usano per misurare le reazioni fisiologiche di un individuo e capire se chi hanno davanti è umano oppure è un replicante. Proprio il dispositivo immaginato da quel genio di Philip K. Dick in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e poi diventato visivamente noto grazie al Blade Runner di Ridley Scott.
Chiusa la parentesi cinematografica e senza volere generalizzare (che a farlo si sbaglia sempre), quello che servirebbe per chiunque venga assuntə nella pubblica amministrazione — o comunque per chi ha a che fare direttamente con le persone — sarebbe un bel test dell’empatia.
Un rilevatore di umanità, che tanto le tecniche c’è sempre tempo e modo di impararle una volta inseritə nel sistema.
E il primo termometro di empatia è la lingua che usiamo.
La lingua di chi deve spiegare, di chi deve mettersi nei panni delle persone che chiedono qualcosa, di chi è prontə a mettersi al loro servizio.
Ecco l’altra parola-chiave: servire.
Usare una lingua (scritta e parlata) che serve alle persone, che si fa capire immediatamente ma che soprattutto diventa uno strumento d’azione. Cioè tecnica utile, che funziona.
Le parole contano, e ad ogni richiesta, nel cervello di chi risponde dovrebbe prodursi un pensiero che dice: “Vediamo che cosa possiamo fare”.
La lingua è una disposizione d’animo, serve.
Per chiunque lavori faccia a faccia con altre persone, questa sensibilità è ancora più importante. Anzi, è una caratteristica fondamentale: perché permette di andare in risonanza con chi gli sta di fronte, non frappone ostacoli di alcun tipo, non esercita scompensi di potere (come ad esempio capita ahimè spesso con chi lavora nelle forze di polizia).
Guardarsi in faccia
Usare una lingua piana, chiara, senza tecnicismi ci allena a conservare la freschezza deə bambinə, a mettere da parte le sovrastrutture e parlare semplicemente da persona a persona.
Vale per la lingua orale così come per quella scritta, come riesce bene a sintetizzare Annamaria Anelli in questo post sulla scrittura sostenibile. Un estratto:
Scrivere sostenibile significa scrivere in modo che chi ci legge non debba sprecare inutilmente energia per eliminare scorie, aggirare involucri pesanti, dissotterrare informazioni importanti da sotto strati di artificioso difficilese. Significa anche scrivere con rispetto e sensibilità.
Scrivere sostenibile non è un “via da”: non dobbiamo abbandonare per strada i contenuti, le parole tecniche, il rigore dei ragionamenti. È invece un “andare verso”: verso le persone, il loro diritto a capire, a scegliere, ad abitare questo mondo come cittadinə e come clienti consapevoli. Verso il loro diritto a leggere contenuti chiari, rispettosi, puliti. Sostenibili, insomma.
La lingua è sempre la matrice che realizza le nostre azioni.
È sempre una questione di parole, come quelle che un’amica ha fotografato (e mi ha gentilmente girato): stanno sul lato sud della stazione ferroviaria di Brescia, su un pannello truciolare che protegge un cantiere. Eccole:
Rispettare significa cercare di risolvere un problema, e ad indicarci la via migliore è Bruno Munari, il cui pensiero viene ripreso in una delle pagine centrali del graphic novel di Alessandro Baronciani Le ragazze nello studio di Munari:
Si definisce il problema P.
Si ricercano le componenti del problema CP.
Si raccolgono i dati RD.
Si arriva all’analisi A.
Conoscendo tutte le parti del problema, si passa alla creatività C.
Attraverso la creatività si raggiunge la soluzione ottimale S.
La creatività è l’idea dentro uno schema. Non è perfetta ma è la migliore, perché risponde a un insieme di problemi, regole, tempi, cambiamenti e materiali.
Alla parola creatività possiamo sostituire a seconda delle situazioni le parole buonsenso, praticità, sensibilità. In sostanza umanità.
Et les jeux sont fait.
P.S.
Ormai il post scriptum per dire che anche stavolta ho saltato fino al giovedì sta diventando normalità. Quasi quasi lo trasformo nella chiusura ufficiale, tanto mi sa che zampetterò ancora alla metà esatta della settimana.
📚 Vicissitudini vicine e lontane
Come umani siamo composti più o meno al 60% d’acqua, giusto? Però mi sa che per una percentuale piuttosto rilevante siamo fatti anche di umorismo. Ricordarcelo e praticarlo aiuta a leggere le persone.
E un aiuto può venire anche dai libri, in particolare da quelli che ci fanno pensare a noi fissando lettere d’inchiostro su una pagina, mentre la bocca si allarga in sorrisi e poi butta fuori ogni tanto rumori di risata.
M’è capitato di recente con Il Tullio e l’eolao più stranissimo di tutto il Canton Ticino, una cosa troppo entusiasmante scritta da Davide Rigiani. Un romanzo che credo farà lievitare gli adulti così come i ragazzi e le ragazze, perché la letteratura è anche questa bellissima cosa qua: un meccanismo che se lo fai girare in un certo modo ti fa proprio divertire (nel senso etimologico, che ti fa guardare da un’altra parte e vedere cose che non avevi mica notato); e diverte già dal titolo, con quel ‘più stranissimo’ che si configura come ‘superlativo iperbolico’. Chapeau.
Leggendolo la mia testolina ha sovrapposto quel divertimento a un altro romanzo che oltre a essere un cult, direi proprio che ormai è un classico: Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, cioè un invito a perdersi moltiplicandosi, un manuale da professionisti del possibilismo, ma soprattutto un libro che (si sa) tra le sue pagine nasconde pure la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto. E che sulla quarta di copertina riporta questo frammento d’intervista fatta al suo autore:
- Mr Adams, cosa l’ha indotta a scrivere una “trilogia in cinque parti”?
- Una pessima conoscenza dell’aritmetica.
🎥 Umanissimissimə
Parlare di umanità e macchine mi ha fatto venire in mente quel meraviglioso monologo che sta verso la fine del Grande dittatore di Charlie Chaplin. Il film intero lo trovate su RaiPlay.
Mentre gli esseri umani che si fanno abitare dalla burocrazia e governare dalla tecnica mi ha riportato a un altro capolavoro, anno 1985: Brazil di Terry Gilliam. Sta su Amazon Prime Video.
Ma siccome come abbiamo detto che siamo composti al 60% di acqua e per gran parte anche da umorismo e leggerezza, chiudiamo con questa chicca in cui sono incappato per caso. Se non volete vederla tutta, andate al minuto 2:08 😂.
È tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Cerchiamo sempre di metterci al servizio di chi ci chiede qualcosa, per farlo basta la solita cosetta rossa con questa forma qua 💖. La stessa che trovate in fondo al post, e che pigiata mi dice che v’è piaciuta la puntata.
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