La politica al maschile
Linguetta #47 / Il no del Senato italiano a un emendamento sulla parità di genere nei documenti istituzionali è il messaggio di una politica conservatrice che nega la realtà.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
La lingua è come il pennino nelle mani di un disegnatore: crea le cose, definendo i contorni. Fa esistere quello che prima non potevamo vedere.
E lo fa nominando le cose.
Lo scorso 27 luglio però il Senato ha bocciato la proposta della senatrice Maiorino sulla parità di genere nel linguaggio istituzionale, dimostrando di non vedere: quello che accade fuori, nel mondo.
La cecità della politica
Il messaggio è stato chiaro: la politica italiana non vuole vedere.
Eppure a livello comunitario il messaggio era già stato assimilato nel 2008, quando il Parlamento europeo diventò una delle prime organizzazioni internazionali ad adottare linee guida multilingue riguardo all’uso del linguaggio rispettoso del genere in comunicazioni e atti istituzionali.
👉 Ecco qua il Documento sulla neutralità di genere nel linguaggio usato nel Parlamento europeo.
A dispetto della parola ‘neutralità’ del titolo (che può anche ingannare, dato che nell’italiano come nelle altre lingue romanze il neutro non esiste), il documento è puntuale nell’esaminare tutti i casi dei documenti istituzionali, promuovendo l’uso di un linguaggio non sessista, inclusivo e rispettoso del genere.
I legislatori europei dimostrarono già quattordici anni fa di capire che la lingua è un potente strumento, in grado sia di riflettere sia di influenzare atteggiamenti, comportamenti e percezioni.
Usare le parole per nominare significa dare visibilità a ciò che nominiamo.
Cambia la società, cambia la lingua
Le donne ricoprono ora ruoli che prima gli erano stati negati dal sistema patriarcale, un sistema che per imporsi usa come una clava uno dei due nostri apparati tecnologici originari: il linguaggio — l’altro è il fuoco.
Il linguaggio ci ha consentito di dare forma al mondo e alle relazioni fra persone, che dandosi delle regole di convivenza hanno deciso di vivere in una comunità civile.
E una comunità, parte di un ecosistema, è caratterizzata dalla varietà. Ce lo ricorda con queste parole il filosofo Lorenzo Gasparrini nel suo Non sono sessista, ma…:
Contro l’idea astratta di “persona”, avere un corpo invece che un altro cambia radicalmente il modo in cui gli altri corpi, persone e linguaggi si rapportano con te.
[…] se credo in una parità di tutti gli esseri umani affinché abbiano il diritto di autodeterminarsi il più possibile, devo assumermi la responsabilità di fare qualcosa per eliminare tutto ciò che rende il mondo non paritario, per chiunque.
Così, la decisione del Senato italiano di non adeguare i documenti istituzionali —inserendo ad esempio accanto a senatori, segretario, funzionario i femminili senatrici, segretaria, funzionaria — ribadisce il maschilismo che permea ancora la nostra lingua.
Ed è una manifestazione di sessismo, forma di discriminazione di comportamenti e pensieri a seconda del genere.
Si perpetua un potere del ‘normale’, quindi del maschile, del sistema patriarcale che lo fonda.
E se il patriarcato è un sistema di rapporti sociali, il sessismo è l’insieme di tattiche che servono a mantenerlo.
Dice ancora Lorenzo Gasparrini:
Tra le regole e l’uso della lingua esiste un conflitto continuo che va gestito, perché è proprio quel conflitto il modo in cui una lingua è viva.
La resistenza a usare i femminili — correttamente formati secondo la grammatica — di tante professioni è un esempio di quel conflitto, e della tensione tra conservatorismo e progressismo che fa parte della dinamica di una lingua, e di una società.
👉 Come suggerito da Francesco Costa nel podcast Morning, consiglio di leggere su Avvenire il bel pezzo di Antonella Mariani che riassume la decisione di un Senato “al maschile”.
Ritorno al futuro
Facciamo un breve salto all’indietro nel tempo.
Alle donne è stato “concesso” di votare solo nel secondo dopoguerra, “prima la vita politica era ritenuta non compatibile con la loro natura — ribadisce Lorenzo Gasparrini —. Per lo stesso motivo, fino al 1963, per legge le donne non potevano intraprendere la carriera di magistrato, rimanendo valida una legge del 1919 che le escludeva dai compiti che implicavano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato”.
Era il 15 luglio 1946 quando venne istituita la Commissione dei 75, incaricata di redigere la Costituzione italiana. Dei 75 componenti le donne erano cinque, una di loro era Angelina Merlin, meglio conosciuta come Lina Merlin.
L’articolo 3 della Costituzione italiana dice così:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Ecco, fu Lina Merlin a volere che fra le distinzioni si includesse anche “di sesso”, perché nella prima formulazione non c’era. Quelle due parole hanno un peso specifico enorme, perché — al netto delle differenze fra sesso (biologico) e genere (percepito) — dicono che nominare le cose con le parole giuste le fa esistere in maniera indipendente.
👉 Il racconto di Lina Merlin si trova su RaiPlay nella puntata del 14 giugno 1969 della trasmissione Dicono di lei a cura di Enzo Biagi (minuto 8’40’’).
Torniamo ancora più indietro, guardando la radice etimologica di una parola. Prendiamo come esempio per tutte la parola ministro e vediamo che deriva dal latino minister, che significa ‘colui che sta sotto’, e che già secoli e secoli fa aveva come femminile … ministra; inoltre, il suo corrispettivo è magister, che significa ‘colui che sta sopra’, e il femminile è magistra, da cui deriva la parola italiana ‘maestra’ . Se si può dire ‘maestra’ si può anche dire ‘ministra’, con buona pace di chi storce il naso perché “suona male”.
Una lingua brulicante
Il fatto è che la politica non vuole riconoscere che la lingua è una creatura vivente, viva come i microorganismi che costituiscono il nostro microbioma, popolano i nostri corpi e qualsiasi altra cosa esistente: dà forma, plasma e muta per adattarsi alle condizioni esterne.
La lingua si adatta ai cambiamenti sociali ed è influenzata da questi in un processo biunivoco, come dice bene la ricercatrice Elisa Virgili sul numero 14 di Jacobin Italia:
[…] il linguaggio non è statico e immutabile ma dinamico e soggetto a cambiamenti (e allo stesso tempo soggetto che porta cambiamento).
Il linguaggio forma identità individuali e collettive attraverso la narrazione pubblica della nostra vita, nel modo in cui la racconta o non la racconta, con le parole che si usano per definire le persone (compresi gli insulti), col genere grammaticale che viene utilizzato.
Che fosse capitale delineare i contorni con le parole giuste, soprattutto in ambito pubblico, l’aveva capito e messo per iscritto già nel 1987 la linguista Alma Sabatini, scrivendo Il sessismo nella lingua italiana.
👉 Qui l’estratto con le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana.
Oggi a dircelo benissimo è la sociolinguista Vera Gheno, con tutti i suoi saggi e interventi, da ultimo quello di pochi giorni sulla rivista Volere la luna col bel pezzo intitolato Le parole non sono neutre (a proposito di distinzione di genere), che chiude con un’osservazione che va oltre la (non) decisione del Senato:
In realtà, ritengo che questa proposta di emendamento nasca già obsoleta. Oggigiorno, infatti, si discute già molto della necessità di ridefinire le categorie di genere, in modo da uscire da una prospettiva binaria, figlia del dimorfismo sessuale.
Ritengo che si sarebbe dovuto puntare non tanto e non solo all’emersione del femminile e al riequilibrio dei due generi maschile e femminile, quanto a una riduzione del maschile sovraesteso, all’uso corretto dei nomina agentis al femminile quando pertinenti, ma riconoscendo anche l’esistenza di generi “altri”, pur non arrivando magari ad adottare soluzioni sperimentali come l’asterisco, lo schwa o la u.
Troppe volte la politica sembra vivere su un altro pianeta rispetto al mondo circostante, non accorgendosi che una volta la presenza delle donne era un’eccezione, ora per fortuna è la norma.
Dal punto di vista linguistico i femminili di professioni e incarichi professionali come ingegnera, architetta, senatrice, assessora sono “forme dormienti”, come dice sempre Vera Gheno. Ne parla in un libro che ho già citato e consigliato in altre puntate di Linguetta, ma che riportare ancora una volta non fa male: si tratta di Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole.
L’emendamento bocciato al Senato andava approvato all’unanimità, senza nemmeno pensarci. Non averlo fatto significa sottolineare che le donne rimangono comunque delle ospiti all’interno di un’istituzione, persone a cui “è concesso” di stare lì.
La scrittrice Giulia Blasi lo dice in maniera ancora più aperta in Manuale per ragazze rivoluzionarie:
“Le cose che non hanno nome non esistono, e appunto: per il patriarcato, come per la mafia, la non-esistenza è cruciale. Per funzionare, patriarcato e mafia devono sembrare inevitabili”.
Che è un altro modo di dire che è il potere a produrre il sapere.
Conquistare spazi linguistici vuol dire conquistare spazi mentali, vuol dire esistere.
Negarli vuol dire negare la realtà, cancellarla.
La lingua è una cosa viva, si muove, e noi ci muoviamo con lei. Noi, come esseri umani, abbiamo bisogno di nominare la realtà per poterla rendere raccontabile. Questo perché il nostro cervello funziona in modo linguistico, e perciò usare una parola invece che un’altra modifica il nostro modo di pensare.
Quello che possiamo fare è seguire il consiglio di George Orwell: “scegliere le parole per il significato e non il significato per le parole”.
E poi usare il potere di contagio della lingua, che è in grado di trasmettere un pensiero e rendere ancora più visibile il cambiamento.
📚 Vedere l’invisibile
Facciamo un ripasso dei libri che ho citato nella Linguetta e che aiutano a sgombrare il campo da un bel po’ di maschilismo tossico che abita la lingua e la società:
Non sono sessista, ma… di Lorenzo Gasparrini. Il sottotitolo è Il sessismo nel linguaggio contemporaneo. Chiaro e ricco di spiegazioni su costruzioni ed espressioni che a volte assimiliamo senza rendercene conto.
Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole di Vera Gheno, che è una sicurezza in campo sociolinguistico e ha la grande capacità di portarti dentro il problema con la forza dirompente degli esempi.
Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici di Giulia Blasi parte dall’esperienza dell’autrice per raccontare i meccanismi pervasivi di un mondo incentrato sul maschile. Il tono diretto immerge nel racconto.
E visto che ho parlato di politica che non vede e di parole vive come microrganismi, ecco tre consigli di lettura aggiuntivi:
Cecità di Josè Saramago, che credo non abbia bisogno di presentazioni; ma se vi è sfuggito, vi invidio davvero tanto per la possibilità di entrarci per la prima volta.
La storia del mondo in 100 microrganismi, scritto dall’astronomo Florian Freistetter e dal microbiologo Helmut Jungwirth. Ci trovate quello che promette il titolo: una piccola enciclopedia di cento fra microbi, batteri e virus, ciascuno racchiuso in un paio di paginette e raccontati dagli autori in modo serio ma informale.
Piccoli geni. Alla scoperta dei microrganismi di Stefano Bertacchi, che è un biotecnologo, ricercatore e divulgatore italiano. Tono colloquiale e una capacità di farti capire le cose, anche ridendo, che è un talento naturale.
🎥 Di contatto in contatto
Contagio è la parola magica per una parola che vuole diffondersi. Ed ha la stessa potenza di una risata contagiosa: non si resiste, e si ride. Come capita a me quando vedo la sequenza dell’ultima gif, quella col bradipo Flash: è estratta da Zootropolis, 55° film del canone ufficiale Disney.
Ed è questione di contagio, psichico, anche quello che sta alla base di Inception, capolavoro del 2010 di Christopher Nolan. Avrei troppe cose da dire su questo film, ne dico una sola, anzi due: guardarlo e riguardarlo. Sta su Netflix.
🎧 Doppietta colorata
Sarà che è agosto e il tempo si dilata, comunque ‘sto giro abbiamo fatto il pieno di consigli, che termino con due podcast.
Il primo l’ho scoperto pochi giorni fa e per ora ci sono solo tre puntate. Si chiama Bioritmi, parla di femminismo e questioni di genere. A condurlo è la giornalista di Repubblica Claudia Arletti. Qui la puntata proprio sulla lingua e l’uso dei femminili.
Il secondo consiglio invece è per il nuovo podcast del giornalista della Stampa Nicolas Lozito. S’intitola Verde Speranza e va in onda ogni giorno per tutto il mese di agosto. Pillole da 5-6 minuti per affrontare l’eco-ansia. Qui sotto la puntata in cui si parla di un concetto bellissimo: l’attivismo frattale, che ha molto a che fare con il contagio del pensiero.
Siamo arrivati alla fine, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
La lingua è politica, usiamola bene. Cioè usiamo il 💖, come quello che sta qui sotto per farmi sapere se la puntata vi è piaciuta.
Al solito mi trovate su Instagram come @andrjet. Se volete taggarmi e condividere il link, alla grande!