Irriducibili
Linguetta #178 / La scritta 'irriducibili' sugli striscioni da stadio è simbolo del militarismo che permea il modello patriarcale e che esclude le sfumature di friabilità.
[Per chi vuole, qui sotto c’è un esperimento vocale: la stessa puntata di Linguetta con l’aggiunta di una base musicale di sottofondo. Nel caso, ditemi come va.]
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Poche settimane fa sono stato con due amici a vedere una partita di basket della serie A maschile, ed è stata a suo modo un’esperienza educativa, dal punto di vista linguistico.
Sei dentro un posto chiuso dove tutto rimbomba, riluce, e dove le parole di chi sta sugli spalti costruiscono una serie di narrazioni interessanti.
Di fronte avevo la curva con il “tifo organizzato”, dove campeggiavano diversi striscioni con la scritta IRRIDUCIBILI e la provenienza geografica dei rispettivi clan.
Irriducibili è una parola che non vuole farsi scalfire.
Mentre ero seduto lì nel palazzetto e le squadre correvano da una parte all’altra del campo, continuavo a guardare quegli striscioni, con il prefisso ferreo irr- che richiama la postura militare della perentorietà, dell’irremovibile, irrevocabile, irragionevole.
Esseri compositi
La forma delle parole spesso ci aiuta a vedere meglio, e il termine irriducibili (che si trova sempre declinato al maschile) è come se contenesse tanti soldati dritti sull’attenti, fermi, intransigenti, incrollabili.
C’è una specie di fedeltà ingovernabile nell’irriducibilità, un’adesione a dei colori che esistono soltanto in opposizione ad altri colori, a un’altra formazione irriducibile.
Non farsi ridurre vuol dire essere monolitici, blocchi unici, corpi assoluti.
Ma la lingua e le persone esistono solo in relazione.
La scelta di essere irriducibili esclude i compromessi, le contaminazioni, i cambiamenti. Si consacra in modo totalizzante, ed è quello che avviene all’interno dei meccanismi di omertà mafiosa: non rivelo perché non tradisco.
Significa osservare (e conservare) l’obbedienza alla gerarchia, che è lo schema di ogni organizzazione verticistica, di chi risponde a un capo ed è di fatto impermeabile alle regole che stanno al di fuori del suo sistema.
Chi è irriducibile è un ultras, ‘sta al di là’ delle regole, vive secondo dei comandamenti che hanno un padrone, da rispettare e servire, da seguire a costo di tutto quanto.
Significa rinunciare alle tante parti che ci compongono, alla possibilità di espressione personale.
Incrollabilità
Se chiudiamo gli occhi e proviamo a figurarci una persona obbediente e irreggimentata in una formazione, che ha giurato fedeltà a un codice, allora sono un cipiglio corrucciato e una bocca serrata le cose che ci compaiono nella testa.
L’irriducibilità cancella il senso del gioco.
Ma la lingua che parliamo è fatta anche (e soprattutto) della capacità di giocare e di non prendersi troppo sul serio, cioè di riconoscere la propria vulnerabilità, l’essere perfettibili e prontə allo sbaglio, è una bocca che si solleva agli angoli e sopracciglia che salgono in un sorriso.
Chi è irriducibile invece risuona con le parole ‘aggressività’ e ‘combattività’, si predispone allo scontro, senza lasciare mai spazio alla risata e allo scherzo.
Lo dice bene lo scrittore Amos Oz nel suo libro Contro il fanatismo (traduzione di Elena Loewenthal):
L’unica arma che può davvero annientare il fanatico è il sense of humour, l’ironia. Tutta colpa di quel gene che, allorché si sveglia, ci rende incapaci di sorridere di noi proiettandoci unicamente nella dimensione del sarcasmo contro l’altro. […]
Fanatico è chiunque pensa sia giusto cancellare ogni pensiero diverso dal suo: un uomo senza fantasia, il fanatico. […] L’antidoto? L’ironia. Significa essere capaci di mettersi nelle scarpe di un altro, guardare noi stessi anche con i suoi occhi, e magari sorridere.
Smontare l’irriducibile è un gioco che possiamo fare ogni giorno, anche soltanto parlandone, levando uno striscione in un palazzetto (o mettendone uno in stile St. Pauli) o facendo un bel tifo disorganizzato, di quelli che fanno venire voglia di ballare.
P.S.
Ho scritto una cosa per Calibano, rivista culturale del Teatro dell’opera di Roma, che per questo sesto numero si ispira all’Alcina di Händel – dallo scorso 18 marzo la rivista si trova in vendita allo shop del teatro, e dal 26 marzo anche nelle librerie.
Un numero “magico”, per cui ho scritto un pezzo intitolato “Parole magiche, magiche parole”: se vi andrà di leggerlo, lo potete acquistare anche sul sito di effequ.
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi da una poesia di Velimir Chlebnikov che sta nel volume 47 poesie facili e una difficile (traduzione di Paolo Nori). Eccola, fa così:
Tintinnano azzurri sonagli
Come tenero riflesso sonoro,
E si alzano già i primi uccelli
Dalla piana espressione «io amo».
📚 Generali sbaragliati
Il consiglio è per l’albo illustrato Di qui non si passa! di Isabel Minhós Martins e Bernardo P. Carvalho, perché gli irriducibili generali che vogliono comandare e impedire si sconfiggono con il semplice poing poing poing di una palla che rimbalza. E quando una palla rimbalza, smuove al gioco chiunque.
🎥 Gilead è qua
Ho finito di vedere la quinta stagione del Racconto dell’ancella, che rende evidente la fede in una gerarchia (teocratica), la militarizzazione dei rapporti personali, la violenza maschiocentrica del patriarcato che governa lo stato di Gilead. E che purtroppo parla di una realtà che non è solo opera di finzione. La sesta stagione esce l’8 aprile, si vede su Prime Video.
📧 Vedersi per cambiare
L’irriducibilità è un tratto incardinato nel sistema patriarcale in cui siamo immersə, due letterine che ho letto di recente aiutano a vederlo, capirlo, cambiarlo:
A proposito di autoritarismi che esistono solo per vietare le cose (saluti a Valditara & co.), consiglio la puntata sul maschile sovraesteso dall’archivio di
perché riflette sulla capacità umana di scardinarsi dalle abitudini, lucidare le parole e scegliere come vogliamo essere (l’ha scritta , che consiglio di seguire per avere uno sguardo informato di quello che succede negli Stati Uniti, contando su chi là ci vive tutti i giorni).La puntata sugli uomini che mandano i figli alla guerra scritta da
nella sua newsletter , perché le radici della guerra e dell’atteggiamento militarista sono fatte di machismo, capitalismo, colonialismo. Cioè espressione del patriarcato. Che mondo avremmo se fossero sempre state le donne a costruirlo e reggerlo?
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Riduciamoci, sapendo vedere le nostre vulnerabili complessità, che in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata (così come i pulsanti per commentare e fare restack).
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Bellissima puntata Andrea, grazie per la menzione! Il maschile sovraesteso è proprio un esempio di irriducibilità totalizzante e gerarchica, che esclude i compromessi, i cambiamenti e la crescita che sono alla base di ogni relazione sana.
Quant'è IRResistibile la perentorietà? Questa convinzione che le parole ti mettano al tuo posto. Per fortuna stiamo andando avanti e forse alcune formule sono ormai un po' fuori moda. Il vocabolario della tifoseria è interessante da indagare, un gergo che nasce per intimorire e per caricarsi (e caricare) di adrenalina. Mi piace molto la finestra che hai aperto su questo tema, trovi il taglio giusto sempre, irrimediabilmente. Che piacere leggerti. Grazie!