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Il controllo è tutto
Linguetta #45 / Il parallelo con il gioco del calcio aiuta a capire che avere il controllo — della palla come delle parole — è la base per fare (bene) tutto il resto.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Che cosa c’entra Ryan Giggs — per 24 anni colonna portante e fantasista del Manchester United — con il linguaggio? Tutto, c’entra in tutto, perché entrambi hanno a che fare con il controllo: uno controllava da dio un pallone di cuoio, l’altro controlla le parole dentro un discorso.
A Ryan Giggs ci ho pensato perché passavo in biblioteca e ho visto per caso questo libro qui 👇
Inizia così:
Controllare bene il pallone è essenziale. Per ogni giocatore significa essere in grado di ricevere la palla rapidamente e correttamente, e mantenerne il controllo.
E poco sotto prosegue così:
Per avere un buon controllo del pallone bisogna muoversi bene: sapersi avvitare, cambiare direzione e tenere l’equilibrio sono delle tecniche fondamentali.
Esercitarsi, studiare.
Ho iniziato a giocare al pallone a 5 anni, ce l’avevo sempre tra le gambe, il pallone, pure a mangiare. Mi sentivo come il mio idolo: Oliver Hutton. Anzi, volevo diventare Oliver Hutton. Spoiler: non ce l’ho fatta. Va anche detto che da piccolo non incontrai sulla mia strada alcun Roberto Sedinho.
Comunque, negli anni da calciatore mi sono esercitato per conto mio nel migliorare il controllo di palla, che è la base per fare tutto il resto su un campo da calcio. E da grandicello ho imparato a usarli in egual modo tutt’e due i piedi, cosa che andrebbe insegnata fin da piccoli. Anche perché di persone che possono giocare usando una gamba ce n’è stata solo una, e si chiamava Diego Armando Maradona.
Seguitemi ancora un attimo nella metafora calcistica, poi giuro che ne usciamo (più o meno) e parliamo di lingua. Stando ancora sul libro Controllo del pallone, a pagina 3 c’è questa frase:
Se hai già giocato a pallone, saprai che la sfera risponde in modo diverso a seconda di come la si tocca: avere sensibilità con la palla implica sapere come gestirla a seconda delle situazioni.
E a pagina 5:
Controllare bene il pallone quando lo si riceve è una delle tecniche più importanti da imparare. Il resto dell’azione dipende da questo, dunque è bene allenarsi parecchio per acquisire sicurezza nell’eseguire lo stop.
Eccolo, il punto più importante di tutto: esercitarsi.
Pietro Vierchowod — arcigno difensore negli anni d’oro della Sampdoria — non brillava certo per la tecnica, ricordo però quando dichiarò che sapeva di non essere dotato come gli altri giocatori ma che per migliorare si metteva tutti i santi giorni a fare l’esercizio più semplice del mondo: palleggiare contro il muro.
Non c’è niente che valga di più del mettersi lì a fare le cose, continuare a farle per riuscire a migliorarsi, affinare le abilità. Studiare, leggere, capire, imparare da chi è più bravə, mettere in pratica.
Vale per il calcio e vale per le parole.
Praticare le parole per riuscire a capire come si montano e smontano, sentire come suonano a seconda del contesto, cancellare le ambiguità, trovare termini comprensibili, eliminare le complicazioni, scovare gli errori e ripararli.
In poche parole: avere il controllo delle parole. Padroneggiarle.
Essere in controllo delle parole vuol dire sapere che strumento tirare fuori dalla nostra cassetta degli attrezzi, e sapere come usarlo.
Quella cassetta è fatta di studio ed esercizio, che è quello che ci serve sempre per progettare. Anzi, costituisce le fondamenta di ogni progetto, e come le fondamenta non si vede. È fatta delle cose invisibili, quelle che ci consentono poi di capire come aggiustare un testo o come crearlo da zero.
E le cose invisibili sono fatte di letture, podcast, film, spettacoli, paesaggi, persone. E tutte queste cose, unite all’indole e all’esercizio, compongono quell’essere in controllo delle parole che consente di ragionare più rapidamente e in modo efficace.
Il lavorio invisibile con cui tendere verso questa cosa qui:
Ecco, tendere verso Roberto Baggio.
Cioè riuscire a rendere semplice il gesto.
Significa trovare le soluzioni giuste a ogni situazione, perché già le abbiamo fatte nostre studiando, sapendo fare.
Che è un po’ quello che diceva Julio Velasco in un filmato di tanti anni fa, parlando della cultura dell’alibi:
Io ho dato una regola semplice: gli schiacciatori non parlano dell’alzata, la risolvono.
Io voglio schiacciatori che schiacciano bene, palloni alzati male. Voglio questi. Perché questi poi i palloni alzati bene, li schiacciano benissimo. Voglio quelli lì. Quindi non ne parliamo, risolviamo.
Se la palla è bassa, il mio cervello — che è un computer straordinario — deve aprire tutti i file con il titolo “palla alzata bassa”; e in questi file ci sono le soluzioni per le palle alzate basse. Che sicuramente non è schiacciarla come se fosse alta. Questo è poco ma sicuro. Ci sono altre soluzioni, devi usarne una di quelle.
Le parole di Velasco parlano soprattutto di responsabilità, che è un concetto comunque legato allo studio, nel caso linguistico si lega all’esercizio della parola studiata: riguarda sempre la capacità di disporre di conoscenze e competenze che si sono strutturate e possono poi produrre un’azione efficace. In maniera fluida.
E anche se quel gesto finale sarà fatto con facilità, andrà continuamente allenato, perché il controllo (della palla o della parola) risulti ogni volta giusto, funzionale, pronto ad adattarsi al cambiamento.
Insomma, non importa che tu sia Pietro Vierchowod o Ryan Giggs, l’importante è che continui ad allenarti.
📚 Compiti sparsi
Tra le cose da leggere questa settimana parto con il consiglio di una newsletter: Il pensiero lungo di Martino Pietropoli, che è architetto, fotografo, soprattutto uno che riesce a scrivere facendo sintesi dei pensieri. Che non è mica cosa da poco.
Mi ha colpito molto un pezzo uscito sulla rivista Il Tascabile: Valentina Pigmei racconta la storia di scienziate, scrittrici e attiviste legate profondamente al mare. E su tutte spicca l’oceanografa Sylvia Earle, che dice una cosa bellissima: “il mare è vita […] forse il nostro pianeta dovrebbe chiamarsi Oceano”.
Ed è proprio Oceano il titolo del terzo consiglio, cioè l’ultimo volume della collana The Passenger di Iperborea. E in apertura chi c’è? Sylvia Earle! Stavolta intervistata dalla biologa marina Kerstin Forsberg.
🎥 Campi lunghissimi
Visto che s’è parlato di campi che non finiscono mai e visto che l’ho citato, Oliver Hutton, allora la segnalazione ha il sapore nostalgico delle infinite sgroppate di Holly e Benji. Per tuffarcisi: Prime Video.
Il campo lunghissimo non sta solo negli stadi di Holly e Benji, che ho rivisto coi miei nipoti nella versione originale intitolata Capitan Tsubasa; già, Holly si chiama Tsubasa Ozora, e la scritta ‘WGenzo’ sul cappellino di Benji sta per Genzo Wakabayashi — epifania totale, tipo Belluca quando sente il fischio del treno nella novella di Pirandello Il treno ha fischiato. Comunque, digressione a parte, il campo lunghissimo è anche un tipo di inquadratura cinematografica in cui la ripresa si focalizza sul paesaggio e il soggetto compare sullo sfondo, spesso in modo irriconoscibile. Tipo in questa inquadratura tratta da Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (che consiglio sempre di vedere o rivedere).
Direi che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Nel frattempo continuiamo sempre a studiare, come ci ricorda Vera Gheno in questo reel su Instagram. E soprattutto mettiamoci sempre il 💖, lo stesso che sta qui sotto per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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