Frangibilità
Linguetta #94 / All'interno di un gruppo, dare voce alle persone significa riconoscere il valore di ciascunə, cioè ascoltarne tutte le imperfezioni, le fragilità, le storie invisibili.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
La lingua è un codice che si inscrive nei corpi che la parlano, e in quelli che la ricevono: ascoltandola con le orecchie, coi gesti delle mani, attraverso la mimica facciale.
Ciascunə di noi ha un corpo diverso e modi di stare che dipendono dalle cose che compongono quel corpo: le cose che lo hanno definito in tutti gli anni precedenti e quelle che lo definiscono in quel preciso momento presente.
Mi è capitato di pensarci dopo alcuni corsi che ho seguito, sia a distanza sia di persona; ma è una cosa che vale ogni volta che ci troviamo a interagire in un gruppo, formatosi spontaneamente o che sta insieme e non si modifica per un certo periodo di tempo.
Ogni volta che interveniamo con la parola mettiamo in moto un processo di ascolto.
La parola che “ci prendiamo” è una parola tolta a un’altra persona: se ci rendiamo conto di questa cosa, allora capiamo che il peso specifico di ogni parola è enorme, che la responsabilità della parola mette in gioco ogni volta tutte le persone che stanno condividendo una certa situazione/luogo con noi.
Non vuole dire zittirsi per paura di sbagliare, tutt’altro: vuole dire capire che anche le persone che decidono di non parlare, stanno esercitando la parola.
Mi viene in mente una scena dell’Attimo fuggente, quando il professor Keating (Robin Williams) invita i ragazzi a trovare la propria camminata libera, e Charlie Dalton (Gale Hansen) se ne sta fermo appoggiato a una colonna.
È una scena che si chiude con queste tre linee di battuta:
Keating: Be’ Dalton, non partecipa?
Dalton: Esercito il diritto di non camminare.
Keating: Grazie mille Dalton, ha afferrato l’idea al volo.
Certo, questa scena racconta del conformismo e della forza di ogni voce a esprimersi, e racconta anche del valore formativo del dissenso, quando è sostenuto da un pensiero positivo.
Però credo che ci dica anche del diritto a essere compresə.
Comprendere un’altra persona vuole dire capirla, al di là delle prime impressioni, cioè rinunciando a una parte di noi (quella che tende a soverchiare, affermarsi, interrompere) per riuscire invece ad arrivare all’ascolto pieno di chi ci sta di fronte o accanto.
Ascoltare non è sentire
Da tempo avevo sulla scrivania il libro Deep listening. La pratica sonora di una compositrice di Pauline Oliveros, che all’inizio dice così:
Sentire e ascoltare sono in relazione simbiotica, e nel linguaggio comune hanno un utilizzo pressoché intercambiabile. Io però faccio una distinzione tra “sentire” e “ascoltare”.
Sentire è il processo fisico che permette la percezione. Ascoltare è prestare attenzione sia sul piano acustico che su quello psicologico a ciò che viene percepito.
E più avanti aggiunge:
La compassione (sviluppo spirituale) e la comprensione derivano dal prestare ascolto in maniera imparziale all’intero continuum spazio-temporale del suono, senza limitarsi a ciò che sembra rilevante in quel momento.
In questo modo si rendono possibili la scoperta e l’esplorazione. Si aprono nuovi campi di pensiero e l’individuo può espandersi e avere occasione di connettersi alle comunità in modi inediti. La pratica favorisce l’apertura.
Eccolo, il punto: aprirsi.
Una lingua che ascolta, che sa insinuarsi tra suoni e silenzi, è il riflesso di una persona che accoglie la presenza di tutte le persone che stanno con lei in una stessa stanza.
È soprattutto una lingua che sa leggere le asincronie di ogni persona, qualsiasi sia la stanza e qualsiasi siano i rapporti esistenti in quella stanza — penso alla realtà di un corso di formazione, a una lezione scolastica, a una riunione aziendale, a un gruppo di lettura, a una discussione condominiale, a un’assemblea di associazione.
L’apertura si misura con diversi segni linguistici: la pausa, la postura, lo sguardo, il sorriso. Forse più di tutto il sorriso, ma un sorriso interessato, capace di abbracciare le imperfezioni, le ritrosie, i tentennamenti di chiunque.
Un sorriso (vero) è come una porta che si spalanca, ascolta già.
Ed è come tenere il volume della conversazione alla portata di tuttə, uno strumento di delicatezza. Quella di cui parlava
tempo fa nell’omonima puntata della sua newsletter :Si può però trovarla in luoghi mentali e fisici precisi: ha bisogno di silenzio, rifugge il disturbo, gli estremi, il duro e il morbido, sta lontana dall’eccesso di ogni tipo.
Come dicevo all’inizio, oscilla e vibra, debolmente. Per percepirla bisogna acuire i sensi, bisogna ascoltare, bisogna fare silenzio.
Parole incarnate
Se la lingua sta dentro il nostro corpo, è esercitandola attraverso di esso che ci rendiamo conto delle presenze degli altri corpi.
Ci riflette in maniera espansa Josephine Condemi nella prima puntata estiva della newsletter
a cura di :Lo spazio intorno al nostro corpo è mappato in relazione all’integrazione dei cinque sensi e ai movimenti possibili.
Ne derivano due conseguenze importanti: la prima è che senza il corpo in movimento non c’è cognizione; la seconda è che l’intercorporeità, cioè il fatto di avere lo stesso corpo, è la prima forma di comprensione degli altri.
E poi si chiede e ci chiede una cosa che ho trovato bellissima:
E se ripartissimo dai corpi vulnerabili? Esseri vulnerabili, che esponendosi possono essere feriti ma anche entrare in contatto profondo gli uni verso gli altri.
Ascoltare è una funzione di riconnessione, permette di riconoscere gli spazi d’indecisione, di fallibilità, di frangibilità.
E il mio pensiero va a una delle sequenze finali del film Perfetti sconosciuti, quando Rocco (Marco Giallini) risponde così alla moglie Eva (Kasia Smutniak) sul perché lui non abbia accettato di giocare al gioco del telefono sul tavolo:
Perché siamo frangibili, tutti, chi più chi meno.
Questa battuta dice tutto dell’ascolto come parte del processo linguistico, che è sempre un “avere a che fare con qualcunə”, è una relazione. E una relazione funziona quando siamo attentə, quando ci interessiamo.
È il democratico I care di don Lorenzo Milani: a me interessa, mi sta a cuore. E mi interessano tuttə, non lascio nessunə nell’indifferenza.
Non servono tante parole per parlare all’interno di un gruppo, e non servirà nemmeno tenere un volume alto, perché ogni volta che parleremo non ci sarà imposizione ma tutte le parole serviranno a fare ponte verso parole ancora da dire.
La vita che viviamo è una: a che serve parlarsi addosso solo per sentire la propria voce sopra alle altre? A volte, meno voce basta a fare sentire anche la voce più flebile.
P.S.
Diciamo che ormai è il venerdì il posto di Linguetta? Dopo l’ennesimo saltello in avanti, pare proprio di sì. Che sia giovedì o venerdì, io proverò comunque ad arrivarvi dritto nella mail anche nelle prossime settimane, agosto compreso!
🖊️ Inversi
Oggi una poesia un po’ più lunga del solito: l’ha scritta la poeta Beatrice Zerbini ed è tratta dalla raccolta In comode rate. Poesie d’amore.
8.
Ti si ama come
ci fosse qualcosa
in te
di familiare
e ritrovato.
Ma di più,
come nessuno e niente
altro al mondo.
Assomigli insomma a qualcuno
che non assomiglia a nessuno.
🎥 Bisbigli urlanti
Parlare di voci flebili mi ha fatto venire in mente un film del 2005 che ho amato molto, percorso dall’inizio alla fine dalla capacità delle parole di tradursi, cioè di spostarsi da un posto all’altro, da una persona all’altra. Il film è The Interpreter di Sydney Pollack. La scena che scelgo è quella in cui Edmund Zuwanie (Earl Cameron) dice a Silvia Broome (Nicole Kidman) quanto sia forte la voce di un bisbiglio.
🎧 Cose che c’entrano
A proposito delle voci da sentire e del riconoscerle tutte, mi è piaciuta molto la puntata Bikini e burkini del podcast Cosa c’entra a cura di Chiara Alessi, che per l’occasione ha chiamato a intervenire la laureanda in Scienze politiche Aya Mohamed. E c’entra tanto l’ascolto, cioè dare la parola.
🗞️ Un piccolo grande gesto, anzi due
Sul Post c’è un pezzo scritto da Matteo Uslenghi, genitore di due gemelline insieme al compagno Vittorio: due figlie nate grazie a Wendy, una donna americana (già madre di tre figlə) e che ha portato a compimento per loro gestazione e parto. Dentro c’è una frase che annienta in un secondo tutti i pensieri destrorsi che ci sono ancora in Italia sulla gpa (gestazione per altre persone). La frase è questa: “Ma non vedono come sono belle? Come sono felici?”. Il pezzo s’intitola La gestazione per noi.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Per fare sentire riconosciuta ogni voce basta praticare l’ascolto: non serve che il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
Per lasciare un commento c’è lo spazio lì accanto, ma vi aspetto pure via mail, oppure dentro le Notes con un restack della puntata (cioè pigiando la rotellina con le due frecce accanto al simbolo dei commenti).
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Don Milani ❤️
L'attimo fuggente è uno dei film che amo profondamente e che ha più influito nella mia stessa formazione da adolescente.
Da consigliare e rivedere sempre.
E come si fa a non amare Robin Williams dopo interpretazioni del genere?!