Crederci
Linguetta #114 / Le parole possono creare mondi fantastici, che diventano porte d'accesso alle più multiformi storie sul senso di chi siamo e chi vogliamo essere.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Ricordo che era pomeriggio, e che ero in piedi, davanti alla finestra in camera, guardavo il sole cadere sulle tegole dei tetti, come se qualcuno lo avesse versato sopra il paese. Lo ricordo benissimo quel momento, perché è quando mia mamma mi mise una mano sulla spalla e mi confidò un segreto: che Santa Lucia erano lei e il papà.
Era come se lo sapessi anche senza saperlo, come se continuassi a crederci anche senza già crederci più.
A quest’episodio ci ho ripensato leggendo quello che ha scritto su Facebook la scrittrice Loredana Lipperini, riprendendo uno spunto della psicoanalista Laura Pigozzi che riferiva di genitori che non vogliono più “mentire” ai bambini su Babbo Natale o sulla magia in assoluto. Un estratto dal post di Lipperini:
Non mi stupisce e naturalmente mi turba. Altre volte ho constatato, anche qui, come molta letteratura per giovani persone tenda (non sempre) a fare a meno della magia in assoluto, pensando che il realismo sia qualcosa che prepara alla vita.
In quest’ultimo anno io ho parlato con tante ragazze e ragazzi delle medie nei gruppi di lettura, e se c’è un genere che attraversa e accomuna tuttə è il fantastico.
Il fantastico è la capacità della lingua di creare mondi.
Il fantastico ci porta là dove non potremmo mai andare con i piedi piantati per terra, e si annida in ogni storia, anche quelle che sembrano le più quotidiane e realistiche.
Quando mi chiedono di consigliare un libro che mi ha cambiato profondamente, che ha cambiato il mio rapporto con la letteratura, be’ io dico It di Stephen King. Perché è la prova che la magia esiste.
La magia prepara alla vita, come dice ancora Loredana Lipperini, ricordando il “catechismo” di Stephen King:
Credo che una monetina possa far deragliare un treno merci.
Credo che nelle fogne di New York ci siano alligatori, per non dire di topi grossi come pony Shetland.
Credo che si possa strappar via l’ombra a una persona con un picchetto da tenda.
Credo che esista davvero Babbo Natale e che tutti quei tizi vestiti di rosso che si vedono in giro per le strade a Natale siano i suoi aiutanti.
Credo che intorno a noi ci sia un mondo invisibile.
Guardianə dell’altrove
Sempre in quel post Loredana Lipperini aggiunge anche:
Io ho mentito moltissimo ai miei figli.
Mi sono raccomandata di lasciare i biscotti e i mandarini sul tavolo della cucina, la notte del 24 dicembre.
Ho ottenuto la complicità di mio suocero perché facesse rumore di zoccoli di renna (c’è riuscito) sul balcone.
Ho lasciato sul tavolo briciole e una tazzina sporca di caffè.
E sono stata felice di vederli crescere credendo a quel che non si vede.
Assecondare queste bugie, vuole dire confermare a noi stessə di avere creduto, di avere confidato che altre persone hanno sostenuto questo credo, in un passaggio di consegne senza memoria.
Uno dei miei nipoti conosce Gughi, una creatura immaginaria che lo accompagna da quando era più piccolo, e qualche tempo fa, mentre eravamo in macchina, mi ha detto che lo sapeva che Gughi non esiste, poi ha continuato a parlare di lui come se fosse lì accanto.
Ecco, la parola è una patente per l’esistenza.
E siamo in tante persone tra genitori, fratelli, cugini e cugine, nonni e nonne, zii e zie a credere a Gughi: perché credere è una forma di collaborazione invisibile.
A descrivere bene questa cosa del “fare finta di” è lo storico e linguista olandese Johan Huizinga nel libro Homo ludens, riportando un episodio raccontatogli da un papà:
Un giorno, tornando a casa, questo papà trova il figlio di quattro anni seduto sulla prima di una fila di sedie, intento a giocare al trenino.
Quando il papà abbraccia il bambino per dargli un bacio, il bambino gli dice: “Babbo, non devi baciare la locomotiva, se no i vagoni credono che non sia una cosa seria”.
Bambine e bambini sono forse più consapevoli degli adulti di quello stato che noi chiamiamo sospensione dell’incredulità, quella forza magnetica che ci tira dentro una storia, facendo scomparire i meccanismi logici del mondo governato dalla gravità.
Loro, bambine e bambini, non lo sanno nominare in questo modo. Per loro significa credere.
Vivere l’invisibile
La lingua dice, fissa, rende concrete le cose: cioè fa credere.
Ad esempio, che cosa sono atti come quelli che rendono effettivo un legame (unione civile, matrimonio), che definiscono la proprietà di una casa, che sanciscono un qualsiasi tipo di inizio o fine rapporto (lavoro, divorzio).
Sono atti che la parola rende credibili, che diventano patti.
E il patto è consapevolezza, come quella espressa da bambine e bambini, che mentre giocano sanno di stare giocando, così come sanno che quel giocare è una cosa seria. Che a crederci, le cose non diventano vere, sono vere.
Quando bambine e bambini iniziano a raccontare, non raccontano le emozioni ma le vicende, perché nelle cose che accadono sta rinchiuso l’inesprimibile, la promessa del credere.
Vale per l’infanzia e vale per gli adulti, e mi è risuonato leggendo l’ultima puntata Fermi in una storia che ci muove della newsletter
, quando dice:Ogni esperienza umana è una storia che viviamo e che ci raccontiamo via via che la viviamo per dare un senso e darci un motivo per avanzare […]
La differenza, come sempre, la faremo noi e quello a cui scegliamo di credere.
Io credo a quello che mi hanno detto poco tempo fa altri due miei nipoti, tornati da una breve vacanza al lago di Ledro, dove hanno visto “un’aiutante di Santa Lucia, una delle tante che ci sono in giro per il mondo e che aiutano La Santa a fare le consegne”.
Credere è avere uno sguardo sul futuro.
Che poi è la stessa cosa che si dicono Fred e Oskar in Piccolo libro sull’amore di Ulf Stark (traduzione di Laura Cangemi), dopo avere scritto sulla neve, a caratteri cubitali, VOI SAPETE COSA VOGLIAMO:
“Dovrebbe bastare”, dissi. “Mio padre ha detto che sono le potenze celesti a decidere. Speriamo che serva a qualcosa”.
“Già”, concordò lui. “Se una fata della fortuna sorvola la baia…”
”Sì. O se Dio guarda giù, una volta o l’altra”.
“Esatto. O se a Babbo Natale capita di passare di qui con le sue renne volanti”.
Scoppiammo a ridere. Facevamo del nostro meglio per divertirci, anche se sapevamo di essere troppo grandi per credere a quelle sciocchezze.
Cos’altro avremmo dovuto fare? Senza tutti quei se, la nostra vita sarebbe stata molto più deprimente.
Perché, come diceva la scrittrice Ursula K. Le Guin:
Chi non crede ai draghi, dai draghi verrà mangiato. Da dentro.
P.S.
Ormai sono stabili alla tarda domenica sera la revisione e l’invio di Linguetta. Così come il bottone finale per fare passaparola (con premi annessi), che sta qui sotto.
🖊️ Inversi
Oggi una delle brevi Favole per bambini molto stanchi di Dente. In questo caso una brevissima.
La cupola
C’era una volta
Fine.
📚 Ingressi segreti
A Brescia la notte tra il 12 e il 13 dicembre è la più lunga che ci sia, perciò il consiglio letterario è per l’albo illustrato L’arrivo di Santa Lucia di Andrea Antinori e Noemi Vola.
Secondo consiglio invece per un graphic novel che già nel titolo contiene un invito ad accogliere: Entra., scritto dal disegnatore e vignettista Will McPhail (traduzione di Francesco Pacifico). È la storia di un giovane illustratore che fatica a stare con le persone, forse perché non riesce a credere a quello che sono. O forse perché non crede in quello che è lui, comprese tutte le sue fragilità.
🎥 La forza del racconto
Lo voleva vedere da tempo anche mia sorella, ed è con lei che sono andato in un cinema di paese a trascorrere due ore con C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Bello bello bello: per com’è scritto, girato, interpretato. E con quel finale che mi ha commosso, tanto. Ho provato un forte senso di ribellione (molto più grande che dopo avere visto Barbie) verso il sistema patriarcale in cui ancora viviamo, che controlla, soggioga, schernisce le donne, e che ha avvelenato e avvelena anche gli uomini. Un altro pezzo di una nuova realtà in cui credere insieme.
L’ho scoperta adesso, a sette anni dalla prima messa in onda: è Fargo, la serie tv basata sull’omonimo geniale film dei fratelli Coen. Ho visto le prime due stagioni (di cinque), ciascuna composta da dieci puntate. Siamo in Minnesota, c’è freddo, quasi sempre o spesso c’è la neve, tante persone vengono uccise, sceriffi e vicesceriffi indagano. Ma a ridurlo alla trama gli si fa un torto a Fargo, come succede sempre con le storie scritte bene. A fare la differenza è sempre come vengono raccontate, e qui l’ideatore Noah Hawley quel come lo rende speciale. Sta su Sky.
🎧 Esplorazioni parlate
Lo scorso novembre
ha pubblicato un nuovo episodio del podcast Nomadismo professionale, ma quello che vi linko qui sotto è uno degli ultimi della scorsa stagione: s’intitola Che cos’è l’antropologia del linguaggio? ed è un muoversi fluido tra i meccanismi che coinvolgono lingua, pensiero, corpo.✉️ Giapponesità
È arrivata da poco su Substack anche
Zavagnin, che fuori da questi confini tiene la bellissima newsletter Spring Vibes (che rinascerà in primavera in altra forma). Intanto, ne ha aperta un’altra nel Substackverso: si chiama e ci si trova un po’ di belle cose su Giappone e Corea.C’era già da un po’ su Substack ma io l’ho scoperta da poco, perciò vi giro il consiglio per
a cura di , alias Flavio Parisi, che da dieci anni vive in Giappone e lo racconta una puntata alla volta.Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Crediamo nel potere creativo del fantastico, ci basta il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Il rumore di zoccoli sul balcone non me lo aspettavo!
Venerdì cercando un altro libro mi è ricapitata in mano la saga di Terramare e mi sono detta che mi sarebbe piaciuto rileggerla, prima o poi. Trovare qui una citazione di Le Guin lo prendo come un segno :D