Complicato e complesso
Linguetta #48 / Spesso in discorsi e conversazioni tendiamo a confondere questi due termini, dalla radice etimologica comune ma dal significato opposto. Scopriamoli.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
A volte basta un’immagine per riuscire a capire cose che faticheremmo ad abbracciare con uno sguardo, l’immagine evocata da un nome che contiene un racconto. Quel nome di quattro lettere lo trovò il chimico James Lovelock nel 1979 con la sua ipotesi Gaia.
Lovelock è morto lo scorso 26 luglio nel giorno del suo 103° compleanno, e quello che riuscì a fare è un esempio di comunicazione emotiva, cioè riuscire a fare risuonare nella testa di tante persone un concetto scientifico difficilmente afferrabile.
Gaia. Un nome per descrivere la Terra come una biosfera in cui organismi viventi e componenti inorganiche formano un unico sistema complesso autoregolante che mantiene le condizioni di vita sul pianeta.
L’ho presa un po’ larga ma l’esempio di Gaia serve per capire che informazioni difficili possono essere comunicate con facilità e in modo efficace, se riusciamo a trovare il modo giusto di dirle, coinvolgendo e toccando da vicino chi ci legge/ascolta.
Soprattutto, il racconto di James Lovelock serve a vedere che viviamo immersә nella complessità.
E che complesso è diverso da complicato.
Chi complica è complice
Può essere complicato un ragionamento, un lavoro da eseguire, complicata una situazione in cui ci troviamo o una questione da dirimere, complicato un caso da risolvere.
Come dice la Treccani, “complicato” è qualcosa di difficile, confuso, intricato, è un congegno macchinoso, di cui fatichiamo a capire il funzionamento. La complicatezza è un ostacolo che ci irretisce, ci frustra, ci mette alla prova, ci costringe a concentrare ogni sforzo per trovare una soluzione al problema.
Chi complica una comunicazione linguistica può farlo:
inconsapevolmente, perché il concetto che deve esprimere non è chiaro nella sua testa e allora anche nel raccontarlo risulterà farraginoso;
consapevolmente, perché dirlo in maniera complicata garantisce a chi lo dice di mantenere una posizione di privilegio.
In entrambi i casi la responsabilità viene fatta ricadere su chi riceve quel messaggio complicato, “reo o rea di non riuscire a capire, di non afferrare”. Questo scarico di responsabilità è lampante nel caso del burocratese, un linguaggio che — praticato in modo consapevole o inconsapevole — difende la propria esistenza, rendendo opaca e sbilanciata la comunicazione.
Una cosa così complicata da mandarci in tilt porta con sé come estrema conseguenza la complicazione, un oscuro groviglio da cui è difficile uscire.
Quando ci troviamo di fronte a una comunicazione fosca e che non riusciamo a capire, la cosa importante è sapere che la responsabilità è di chi la fa quella comunicazione, la responsabilità nel fare di tutto perché quello che dice ci arrivi forte, chiaro e immediato.
Complesso è bello
Un ragionamento può essere anche complesso, così come una questione, un problema, una situazione. Eppure possiamo dire che complesso è l’opposto di complicato.
Può sembrare paradossale, anche perché la Treccani ci dice che complesso è il contrario di semplice. Eppure a leggere la definizione scopriamo che complesso è qualcosa che “ha diversi aspetti sotto cui si può o si deve considerare e di cui bisogna tener conto”.
Bam, giù nel canestro.
L’etimologia ci dà un’ulteriore mano, perché complesso deriva dal latino complecti (stringere, comprendere, abbracciare): è qualcosa che risulta dall’unione di più parti o elementi.
Un sistema complesso, come quello di Gaia.
La complessità ci determina, come specie umana e come specie tra le specie all’interno di un equilibrio dinamico che sta alla base della vita. E vale lo stesso per quella cosa viva e brulicante con cui interagiamo, riflettiamo, comunichiamo, ci emozioniamo.
Già, la lingua.
Anche se complessità, un po’ come resilienza, sta usurando il suo significato a forza di essere messa qua e là come il prezzemolo, rimane una parola potente, in grado di restituire il valore di un sistema, un lavoro, un’azione stratificata: qualcosa che si espande come il micelio con le sue micorrize sotterranee, invisibili eppure vitali per qualsiasi cosa stia sopra il suolo terrestre.
Il complesso ha dentro di sé la bellezza del multiforme.
A spiegare bene la differenza tra complicato e complesso è l’attore Pietro Turano in una puntata del podcast Eclissi:
Complesso e complicato sono due concetti diversi, termini simili, con una radice comune ma che vogliono dire due cose diametralmente opposte.
La natura è un sistema complesso, le relazioni sociali, un sentimento fra due persone, la vita delle persone.
Complicare è un’azione umana specifica, significa creare il problema lì dove non c’è, rendere impossibile di proposito la lettura di qualcosa.
Cedere alla complicazione significa non impegnarsi di fronte alla complessità, e rinunciare alla complessità significa rinunciare alla verità.
Spiegare la complessità
Sempre San Treccani ci aiuta dicendoci che complicare è “piegare assieme, avvolgere” (composto di cŭm ‘con’ e plicāre ‘piegare’).
Ed è l’opposto di una cosa spiegata, senza pieghe.
Un po’ come se prendessimo un foglio con un testo scritto e lo appallottolassimo. Che cosa avremmo? Un foglio pieno di pieghe, e quel testo che ora è difficilmente leggibile. Insomma, un testo complicato.
Per renderlo meno complicato che cosa ci basta fare? Spiegarlo, cioè togliergli le pieghe, stirarlo per benino. Infatti il verbo spiegare deriva dal latino explicāre, cioè ‘svolgere, sciogliere’, composto di ĕx- e plicāre ‘piegare’.
Levare le pieghe a un testo, un pensiero, un discorso significa renderlo leggibile, quindi comprensibile da chiunque.
Anche perché semplice arriva dal simplex latino, formato da sĕm- ‘una volta’ e da un derivato dal tema del verbo plĕctere, che sta per ‘allacciare’ o ‘piegare’. Semplice, cioè piegato una sola volta.
Bam, di nuovo giù nel canestro.
I fenomeni sono quasi sempre complessi, richiedono tempo per essere guardati da tutti i loro lati, e attenzione per essere capiti nella loro poliedricità. Per questo chi riesce a spiegare cose complesse in modo semplice può dirsi un buon comunicatore o una buona comunicatrice, perché riesce a creare connessioni tra una domanda e una possibile risposta.
Mette in contatto il pubblico con una nuova conoscenza, un contatto che è come l’inizio di un’avventura: da lì inizia l’esplorazione personale di quella complessità.
Spiegare vuol dire rendere semplice la complessità.
La complessità serve a raccontare le storie, perché non si accontenta di frasi a effetto, slogan, formule ripetute, ma porta chi legge/ascolta ad appropriarsi di un immaginario.
Proprio quello che (pur con tutte le incongruenze del caso) era riuscito a fare James Lovelock con il racconto di Gaia, dando un nome per spiegare le cose.
La complessità è propria di ogni lingua, che è fatta di tante sfaccettature, cambia senza sosta, rifugge le etichette e consente di assumere diverse prospettive.
Dentro la complessità una lingua può sia definire qualcosa sia essere dinamica, mobile, senza confini, intersezionale. Cito ancora Pietro Turano, che parla di intersezionalità in rapporto alle identità di ciascunә di noi:
Adottare un approccio intersezionale significa smettere di pensarci come il riflesso preciso di un concetto chiuso e infinitamente ripetibile, e invece iniziare a vederci come un prisma attraversato da un fascio di luce, ciascuno e ciascuna capaci di esprimere le sfumature variegate che in realtà ci compongono, i tanti pezzi di noi che attraversano i nostri corpi e ci muovono, espongono, esprimono.
E così la stratificazione delle nostre identità merita dignità ed evidenza […] Tutte le parti di noi sono imprescindibili per noi e per le altre persone.
L’intersezionalità come atteggiamento alla base del pensiero complesso, che non giudica ma lascia agire, libera spazio al pensiero. E lo fa usando un linguaggio che mette al centro sempre la persona, al di là di ogni possibile differenza.
Essere intersezionali significa rivendicare la complessità della propria identità, sfruttando il potere delle parole.
📚 Forme olandesi (e non solo)
Se c’è un artista che ha elevato la complessità a bellezza assoluta è Maurits Cornelis Escher, uno dei miei idoli. E se c’è un libro che mi ha davvero colpito e racconta la storia dell’incisore olandese è Escher. Mondi impossibili di Lorenzo Coltellacci e Andrès Abiuso, un graphic novel che riesce a trasportare chi legge dentro i mondi di Escher e nella complessità che è lo stato naturale di ogni cosa. Una battuta del libro lo dice alla grande: “La moltiplicazione e la semplificazione sono la chiave di questi mondi. È così che si esauriscono i contrasti: col perpetuarsi di una geometria si arriva a un ordine finale”.
Secondo consiglio di lettura è un libro che sto ancora finendo di leggere ma mi sta trascinando con la passione dell’avventuriero dentro una cosa che amo all’inverosimile: le isole. S’intitola Il mondo in miniatura. La vita sulla Terra raccontata attraverso le isole. Anche qui stiamo dalle parti dei Paesi Bassi, perché a scriverlo è stato il biogeografo olandese Sietze Norder, ed è un vero inno alla complessità del nostro pianeta.
Visto che en passant ho parlato della complessità vitale del micelio che sta sotto i nostri piedi, allora il terzo consiglio di lettura è per un libro che ha lo straordinario potere di farvi vedere il mondo come se foste un fungo: è L’ordine nascosto. La vita segreta dei funghi di Merlin Sheldrake.
🎧 Orecchie vaganti
L’ho già citato nella Linguetta: è il podcast Eclissi a cura dell’attore Pietro Turano. Sei puntate e altrettante persone lgbtq+ che raccontano le proprie storie di riscatto nei confronti di un mondo che in ogni modo ha cercato di tenerle in un cono d’ombra, levandogli la parola, quindi la possibilità di autodeterminarsi.
E secondo consiglio è per uno degli audioracconti più belli e coinvolgenti che abbia mai ascoltato. Si tratta del programma L’isola deserta che va in onda da diversi anni con cadenza settimanale e che potete trovare su RaiPlaySound. A condurlo è la scrittrice Chiara Valerio, che ogni volta in mezz’oretta parla con un personaggio della scena culturale italiana, facendogli portare sull’isola deserta un libro, una musica, un film. Pescate a caso, troverete sempre qualcosa di buono. L’ultima che ho ascoltato io è una replica estiva della puntata con l’astronauta Umberto Guidoni.
🎥 Complicazioni uniche
A volte ci sono cose complicate, di cui possiamo faticare a trovare il senso, ma che risultano di una bellezza sconvolgente proprio per la complicatezza di una storia con poco senso. O forse con tutto il senso che solo uno scenario da sogno surrealista può regalarci. Qualcunә l’avrà capito, e se l’avete capito anche senza averlo visto, recuperatelo, perché ci sono esperienze come queste che vale la pena vivere. Sto parlando del mitico Mulholland Drive di David Lynch.
🔗 Complessità arboree
La scrittrice (e cofondatrice della casa editrice Topipittori) Giovanna Zoboli ha scritto per Doppiozero un pezzo sugli alberi, parlando di messaggi semplicistici della politica, che vede gli alberi non come creature viventi ma solo come un'occasione per fare marketing (e greenwashing). L’opposto del pensiero complesso.
Fine, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Pretendiamo ed esercitiamo sempre la complessità, che è come un superpotere: ci aiuta a vedere meglio e più in lungo ogni cosa. Ci serve per comunicare bene, così come il 💖, che in forma d’icona sta pure qui sotto. Pigiatelo se v’è piaciuta la puntata.
Se volete fare iscrivere colleghә, amici, nemici, parenti o chi vi viene in mente, il link da girare nelle vostre chat è questo.
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Bellissima.