Accogliere
Linguetta #80 / Usare una lingua accogliente significa prendersi cura di chi ci legge o ascolta, semplicemente cambiando il nostro punto di vista sulle cose.

Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Qualche settimana fa stavo guardando una puntata di Linea Verde su RaiPlay, quando è comparso in video un carabiniere responsabile di un centro di accoglienza per animali a Orvieto: era affabile, sorridente, soprattutto parlava una lingua chiara e pulita.
E ho pensato, ma che bello se tutte le persone che lavorano in un corpo di polizia o per una forza armata fossero così: accoglienti.
Un aggettivo basta per sconvolgere il mondo.
Il discorso vale ovviamente non solo per chi porta una divisa militare, ma si estende a ogni persona e professione che hanno a che fare con altre persone.
È questione di postura, mentale e linguistica. Si tratta cioè di prestare attenzione ai modi e alle parole che scegliamo di usare, interessarci a chi ci leggerà o ascolterà.
C’è un bel post che ha scritto Luisa Carrada sul suo blog e che ha un titolo formidabile: Inflessibilmente accoglienti.
Dentro c’è una sintesi del lavoro che ha fatto con alcune amministrazioni delle università, e tanti esempi di comunicazioni scritte con un tono che lei scherzosamente chiama “da ministero dell’interno”. A leggerli si capisce quanto ci complichiamo le cose inutilmente tra:
verbi paternalistici come consentire, permettere, ammettere, mettere in grado;
oscuri incisi come pena l’esclusione, pena la decadenza;
pseudotecnicismi come fermo restando, fatto salvo;
espressioni pesanti come in difetto di, oneri a carico di.
Eppure per rendere tutto più umano basta cambiare il punto di vista, cioè scrivere pensando come studenti e non come istituzione. In questo caso — ma vale per qualsiasi soggetto o contesto lavorativo che ha a che fare col pubblico — l’università è le persone che la compongono, non un ente astratto che guarda dall’alto.
Siamo persone e in ogni ambiente vorremmo trovarci a parlare con altre persone, soprattutto quando il discorso non è orale ma scritto.
Allora la lingua è il nostro salvagente, nel senso letterale della parola: salviamo gente con una comunicazione chiara, semplice, accogliente.
Avere cura
Usare una lingua chiara e semplice significa dare attenzione alle persone, diventare le persone che leggono/ascoltano un messaggio. Significa avere cura, che è sempre un avere a che fare, rendere importante una relazione, a prescindere dalla brevità della sua durata. Quel che conta è l’intensità del rapporto.
È una cosa che ho ritrovato anche nell’ultima puntata della newsletter
, quando parla di rispetto:La parola rispetto penso sia fondamentale quando ci rapportiamo alle altre persone, in ogni modo: sul palco, nella vendita, nella scrittura, anche soltanto nei reel che postiamo su Instagram. Il rispetto per il pubblico che viene a vederci, per chi acquista qualcosa da noi, per chi usa il suo tempo per leggere quello che abbiamo scritto […]
Più ci penso più mi sembra incredibile che ci si debba lamentare dei call center che non aiutano, delle spedizioni che chissà dove sono, delle risposte che non vengono date. Basterebbero un po’ di rispetto e di attenzione e si risolverebbe tutto.
E con la lingua possiamo espandere il concetto di rispetto verso la cura, che all’interessamento aggiunge la partecipazione: quando scriviamo o parliamo in modo chiaro e accogliente con le persone, noi partecipiamo al processo di comunicazione.
Una lingua accogliente è quella che usa Il Post, perché spiega le cose non dando mai per scontato nulla. Ed è quello che succede quando ci mettiamo dalla parte di chi ha meno voce, di chi ha (o ha avuto) meno possibilità, di chi non sa, di chi vuole capire quelle cose.
Un bell’esempio dall’ecosistema del Post è uno degli ultimi podcast che ho iniziato ad ascoltare: Indagini di Stefano Nazzi (già, era uno dei pochi che mi mancava).
Sono partito dall’ultima puntata sulla banda della Uno bianca — racconto atroce, che non conoscevo così in dettaglio —, e verso la fine del primo dei due episodi Stefano Nazzi dice questa cosa:
Se ascoltate Indagini ogni mese, forse avrete imparato a conoscere e apprezzare le cose che lo rendono diverso da molti altri podcast che si occupano di storie simili.
Cerchiamo di usare un linguaggio semplice e chiaro, e di spiegare sempre anche le cose più complicate. Ci sforziamo di stare alla larga da ogni sensazionalismo.
Indagini è il frutto di questo approccio, lo stesso che da 13 anni distingue il lavoro del Post, il giornale online che produce Indagini e senza il quale, forse, un podcast come Indagini non ci sarebbe.
Alla fine una lingua accogliente è una lingua che non si specchia nel testo in sé, ma guarda a chi legge e cerca di rispondere a due semplici domande:
Che cosa serve a chi legge?
Che cosa capirà chi legge?
📚 Distanti e vicini
Tra i tanti libri aperti sul mio comodino e sulla scrivania (ma pure sotto alle finestre), sono riuscito a finire The Every di Dave Eggers (traduzione di Francesco Pacifico). E mi ha ricordato subito Black Mirror, con quella capacità di innestarsi nel presente per mostrare che le tecnologie future ci stanno annebbiando la mente. Si tifa per chi vuole stare fuori dal sistema, e anzi vuole distruggerlo; ma allo stesso tempo si apprezzano le storture di quel sistema di sorvegliantə e sorvegliatə che ci tiene in scacco. Facile che anche da questo (come dal suo predecessore Il cerchio) arrivi un film, prima o poi.
Da un romanzo a un albo illustrato per l’infanzia. Dal 2023 al 1949, l’anno in cui fu pubblicato per la prima volta La cosa più importante di Margaret Wise Brown. Ve lo consiglio perché le parole con cui ogni volta l’autrice ci porta al cuore più importante di una cosa sono il segno di quella cura che serve a capire le persone.
🎥 Mettersi il casco
Ormai per me Star Wars è la somma di tutti gli spin-off che hanno percorso vie laterali rispetto alla saga principale, e queste vie laterali sono di gran lunga molto più belle da esplorare. In particolare una: The Mandalorian. Sono entrato nella terza stagione (niente binge watching ma una puntata alla settimana, su Disney+) e che cosa dire se non:
This is the way.
🎧 L’onda del Post
Che cosa fai quando qualcunə è bravə: lo ascolti. E visto che ormai l’universo Post si sta espandendo anche per le orecchie, ecco un altro podcast prodotto dal Post che ho seguito giorno dopo giorno e che consiglio di ascoltare per capire davvero che cosa vuol dire stare in mezzo al mare, su un barchino, senza niente se non la speranza di essere accoltə in una terra sconosciuta. Il podcast s’intitola La Nave, il racconto è di Luca Misculin, che per dodici giorni è stato a bordo della Geo Barents, nave di soccorso di Medici senza frontiere. Vi linko una delle puntate che mi hanno colpito di più:
📰 Nella terra di mezzo
C’è ancora Il Post nei dintorni, perché è qui che compare un pezzo stupendo scritto da Stella Sacchini: s’intitola La lingua di mezzo, contiene le parole che stanno nelle intercapedini fra le lingue, cioè quelle che compongono i racconti di persone non nate in Italia né cresciute parlando e scrivendo in italiano. Ma che nella scrittura sono riuscite a tradurre una terra di nessuno in terra di tuttə. Quando potete, prendetevi dieci minuti per lasciarvi avvolgere da questi racconti.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Usiamo bene le parole per prenderci cura delle persone, in fondo basta metterci il 💖, lo stesso che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
Per lasciare un commento c’è lo spazio accanto al cuore, ma vi aspetto pure via mail o dentro la chat di Linguetta.
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Finalmente ho ricominciato a leggere "Linguetta": mi era mancata 💛
"Una lingua accogliente è una lingua che non si specchia nel testo in sé, ma guarda a chi legge" che meraviglia, soprattutto che meraviglia mostrare come sia possibile allenarsi ad accogliere parola dopo parola. Grazie!