Vividamente
Linguetta #139 / Gli avverbi di modo in -mente infarciscono spesso una lingua fatta di concetti astratti e certezze assolute, l'opposto di un pensiero malleabile e aperto.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Di recente mi è capitato di assistere a un dibattito politico pubblico e una delle due persone che parlavano ha infarcito quasi tutte le risposte con degli avverbi.
Si trattava di due avverbi di giudizio: veramente e sicuramente.
L’avverbio è quella parte variabile del discorso che determina un verbo (dal latino adverbium, composto di ad- «accanto a» e verbum «parola, verbo»), ma può anche accompagnare un aggettivo o un altro avverbio.
Nella lingua parlata, gli avverbi tendiamo a usarli con più frequenza rispetto allo scritto, perché ci servono a prendere tempo prima di arrivare al punto; nello scritto invece vanno usati con parsimonia, perché rischiano di appesantire la lettura e di rendere il discorso ridondante.
E la ridondanza è l’opposto della chiarezza.
C’è in dialetto bresciano un’espressione che esprime questo principio di economia: tègner a mà, alla lettera tenere a mano, cioè risparmiare.
Ecco, serve usare meno parole, sceglierle con misura e così cercare di pulire il nostro discorso. Rendere tutto più chiaro per chi ci ascolta.
Tenere a mente
Nella grande famiglia degli avverbi (di modo, luogo, tempo, quantità, affermazione, negazione, dubbio) quelli dell’esempio sopra sono anche quelli che usiamo di più, perché si formano aggiungendo all’aggettivo femminile il suffisso -mente.
Un suffisso che arriva dal caso ablativo latino, traducibile come ‘attitudine mentale’, cioè di una mente che si dispone alla parola.
Allora l’uso ripetuto di veramente e sicuramente diventa segno di un discorso che cerca sostegni a un pensiero concettoso, che tenta di riempire perché non sa esprimersi in modo concreto e facendo delle pause.
Eppure anche i silenzi fra le parole servono a tenere su un ragionamento.
Gli avverbi di modo che terminano in -mente esprimono come diciamo una cosa o in che modo facciamo una cosa.
Usarli in modo appropriato oppure trovargli delle alternative linguistiche è utile a parlare con vividezza. Lo dice bene Luisa Carrada in Paroline & Paroloni, riferendosi ai testi scritti:
Spesso aggettivi e avverbi rassicurano chi scrive ma disturbano chi legge: infarcirne i testi placa l’ansia di non esprimersi al meglio, aggiunge enfasi, ma non sempre precisione e chiarezza.
Un avverbio può rinforzare un testo scritto/parlato quando dà un’indicazione precisa, quando rende potente quello che stiamo dicendo.
Basta organizzare il discorso pensando al peso di ogni parola, stando vigili all’uso degli avverbi in -mente, soprattutto guardandoci bene da quell’assolutamente che accompagnato a sì o no è diventato una perversione linguistica.
Assolutamente serve a dare una gigantesca enfasi a un’affermazione/negazione.
Ma per asserire o negare qualcosa bastano proprio quei due avverbi brevissimi: sì e no.
Aprendosi
Un discorso misurato sa muoversi e sa farsi, perché sta nelle cose, riesce a esprimersi puntualmente. Soprattutto, si apre alle possibilità che non esista mai un’unica soluzione.
Evita gli avverbi messi lì soltanto per occupare spazio, anzi lo osserva quello spazio d’azione, e cerca di usare parole ricche di significati, pratiche, vicine alle persone.
Preferisce la pausa ai certamente.
La complessità alla banalità.
La parola gruppo alla parola squadra.
Le indicazioni rispetto ai programmi.
L’interpretazione alla frammentazione.
Significa aprire cantieri invece che esprimere concetti sicuri.
E come dice l’arabista Elisabetta Bartuli dentro al nuovo podcast di Internazionale il Mondo cultura:
A me quando viene fuori la parola ‘sicurezza’ mi spavento sempre, perché in nome della sicurezza tutto è permesso.
Se c’è una cosa che la mutevolezza della lingua può insegnarci è proprio l’incertezza, l’essere instabili e prontə sempre a cambiare (opinione, punto di vista, azione).
Una sorta di continua manutenzione del pensiero.
Si tratta di aprire spazi di incontro e cancellare espressioni agghiaccianti come ‘cultura della sicurezza’, che con la scusa della protezione annichiliscono la vita, fatta di differenze che convivono.
Si può fare, con un sicuramente in meno e una parola vivida in più.
P.S.
Oggi puntata che arriva ancora più tardi del solito, ma da queste parti si vive sul filo dell’incertezza. Una cosa certa però c’è, e riguarda L’arcipelago delle isoleombra: se siete di Rimini o decidete di passare da Rimini, alla libreria Viale dei ciliegi 17 c’è una mostra sul libro realizzata in collaborazione con Sabir editore e la Biennale Disegno di Rimini. Se vi va di farci un salto, sarà aperta fino a sabato 27 luglio.
Di seguito vi metto qualche data in cui mi troverete in giro con il libro:
Martedì 18 giugno, ore 20 da Orso Pilota (Sarezzo)
Mercoledì 24 luglio, ore 18 alla Viale dei ciliegi 17 (Rimini)
Sabato 28 settembre, ore 16.30 alla Libreria dei Ragazzi (Brescia)
🖊️ Inversi
Oggi pochi versi di Antonia Pozzi, tratti dalla raccolta Guardami: sono nuda. Una breve poesia che nel suo centro tiene proprio un avverbio.
Afa
Oggi
la mia tristezza esigente
a starnazzarmi nell’anima
pesantemente
come scirocco
pregno di salsedine.
📚 Atterraggi e polvere di stelle
Il primo consiglio è per un libro a figure che ha per titolo un avverbio: Fortunatamente di Remy Charlip, pubblicato da Orecchio acerbo. Una storia che comincia con una lettera, una lettera d’invito per Ned; e che prosegue tra colori e bianconero, tra salite e discese, tra preoccupazioni e sollievi, tra pericoli e sorprese, tra fortune e sfortune che portano Ned fino a…
Arriva da casa Orecchio acerbo anche il secondo consiglio: Stardust di Hannah Arnesen (traduzione di Laura Cangemi), cioè una ponderosa lettera all’umanità che fa brillare gli occhi per gli acquerelli che esplodono nelle sue pagine e per quelle poche frasi misurate che descrivono chi siamo e come abitiamo il nostro pianeta. Eccone una in cui Arnesen riporta un pensiero di Rebecca Solnit:
Secondo lei, accettando l’incertezza accettiamo anche di poter influenzare il risultato. La speranza trova la sua ragion d’essere nel fatto che non sappiamo cosa accadrà e che nell’immensità dell’incertezza c’è lo spazio per agire.
🎥 Amaro doposole
È come ce lo racconta Charlotte Wells a rendere speciale Aftersun, cioè dal punto di vista sfuocato della 11enne Sophie (Francesca Corio), che trascorre una vacanza estiva in un hotel turco insieme a suo papà Calum (Paul Mescal); in apparenza non accade nulla di sconvolgente, eppure Wells riesce a trovare il modo per raccontare una cosa dolorosa e tenera che avviene tra una figlia e un padre. Sta su Mubi.
🎧 Maschilità emergenti
Mi è piaciuto molto il podcast Tutti gli uomini a cura di
, che introduce ogni episodio con una domanda ad alcuni uomini sulla loro maschilità, lasciando poi spazio alle risposte e ritornando nel finale con un breve ragionamento, per capire che cosa è emerso. Finora ne sono usciti tre episodi, vi linko il primo intitolato La prima volta che ti sei accorto di essere un maschio. Per i maschi che leggono Linguetta: sentitelo, e parlatene con altri maschi.🗞️ Prospettive Ulissiche
La vita non scorre in maniera lineare, e la lingua di James Joyce è un viaggio infinito che ci costringe a metterci nei panni di chi ci circonda, cambiando continuamente punto di vista. Lo racconta la scrittrice Gaja Cenciarelli nel bel pezzo scritto per Lucy Perché è importante insegnare l’Ulisse a scuola.
Mi sa che è tutto, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Risparmiamo avverbi e troviamo parole vivide e concrete, che in fondo basta usare il 💖, lo stesso cuore che sta qui sotto e che potete pigiare per dirmi se v’è piaciuta la puntata.
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Ho conservato questo numero da leggere in un momento di calma, Andrea, e ho fatto bene! Mi capitava, da editor, di notare che in alcuni casi l'uso maggiore di avverbi in -mente è in qualche modo un connotato regionale, più frequente dalla Campania in giù, nella mia esperienza. Se ci leggesse qualche esperto o esperta di linguistica che potesse chiarirmi questa impressione sarebbe bellissimo :) A te grazie, come sempre
Che fatica abbandonare avverbi, aggettivi e subordinate infinite. Dopaminici per la facilità di abuso ma poco serotoninici per chi legge.