Letterine moderne
Linguetta #52 / Un ragionamento sulla newsletter come strumento di informazione consapevole, che ci raggiunge nello spazio intimo della nostra email.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
“La newsletter è morta”. Ce lo disse tre anni fa durante una lezione di master un giornalista che scrive per uno dei due maggiori quotidiani italiani.
Spoiler: la newsletter è viva e vegeta.
E infatti eccoci qua, tre anni dopo, a parlare di newsletter dentro una newsletter, in una puntata un po’ particolare, perché giusto un anno fa mandavo in giro per il web la Linguetta #0.
Un compleanno che festeggiamo con questa meta-riflessione sulla potenza comunicativa della newsletter, che poi è un contenitore di parole. E allora partiamo proprio da lì, dalla parola che la definisce:
Newsletter, cioè una ‘lettera di notizie’ (passatemi l’ingloriosa traduzione letterale), ed è una di quelle parole inglesi che abbiamo assimilato alla nostra lingua, dispositivo fatto di contaminazioni e processi sempre in corso.
E della lettera la newsletter possiede:
la cura con cui la si scrive.
l’indirizzo a cui verrà spedita.
Intimità editoriale
Scrivere una newsletter richiede di prendersi cura delle parole che la compongono, perché dovrà essere utile e aggiungere valore a chi la leggerà.
Un po’ quello che dice Google sul suo blog con l’aggiornamento “More helpful product reviews on search”, cioè contenuti che parlino alle persone e non ai motori di ricerca.
👉 Lo spiega bene Giorgio Taverniti nella puntata della sua ultima FastLetter!
L’utilità per le persone è una cosa che vale sia per i testi dei siti web scansionati da Google sia per quello che possiamo progettare per una newsletter che ci arriva nella casella mail.
L’email ha di nuovo un ruolo centrale nella comunicazione online, perché è uno spazio privato e sicuro.
Magari non tutti hanno un account social però quasi tuttə oggi hanno un’email, e raggiungere una persona in modo così diretto apre uno spazio personale di dialogo, che può tradursi anche in uno scambio di messaggi personali.
Con la newsletter la scelta è nostra, ci sganciamo dal meccanismo “dopaminico” delle notifiche social. Quei social che sono piattaforme di transito, che prendono i nostri contenuti come carburante per sostenere il proprio modello economico. È una cessione di proprietà la nostra, mentre la newsletter consente (a chi la scrive) di mantenere la proprietà di quello che dice e (a chi la legge) di avere accesso a informazioni scelte consapevolmente.
Con la newsletter non dipendiamo dagli algoritmi che selezionano per noi le cose a cui esporci e puntano sulla quantità invece che sulla densità delle informazioni.
Niente X sui social, che certo uso anch’io per entrare in sintonia con persone e argomenti nuovi ma che sono regolati da regole di funzionamento diverse, decise da chi li ha progettati.
Attenziò concentraziò
Prima di iniziare a scrivere una newsletter avevo già iniziato a leggerne altre, di newsletter, e nel corso dell’ultimo anno sono via via aumentate e costituiscono ormai una parte decisiva del mio ecosistema informativo.
Proprio il bisogno di riuscire a informarmi meglio mi ha portato ad allargare sempre più il cerchio, di newsletter in newsletter, secondo quel meccanismo di moltiplicazione che già i libri possiedono: ogni libro contiene altri libri (e non solo).
Con la newsletter si riesce a tagliare il rumore di fondo proprio dei social, fatto di distrazioni, micro-interazioni e contenuti che spesso non stavamo cercando ma che ci ritroviamo comunque davanti agli occhi.
La newsletter è un grandissimo spazio di relazione.
Consente di esplorare un argomento in profondità, dà la possibilità di approfondire con calma, anche qualche giorno dopo che è arrivata, perché non è soggetta alle regole dell’estemporaneità social.
Ed è un’esplorazione che vale sia per chi legge sia per chi scrive. Io ho iniziato a scrivere Linguetta per restituire quello che ho appreso, che so e che continuo a imparare sull’uso della lingua nella comunicazione e sui prìncipi di design che riguardano i testi scritti. Ma la scrivo — come accade sempre quando scrivo qualcosa — anche per capire le cose, perché scrivere è come leggere: un processo di emersione dei substrati.
👉 Lo dice bene Martino Pietropoli in una delle ultime puntate della newsletter Il Pensiero Lungo:
Scrivere non è solo l’atto di sistemare e dire le cose (per poterle dire, prima di tutto, devi averle ordinate in testa, cioè averle chiare nella mente) ma soprattutto di scoprirle. La scrittura è un atto di scoperta più che di comunicazione.
Mentre leggiamo una newsletter vogliamo imparare qualcosa, vogliamo lasciarci toccare dalle parole di chi l’ha scritta, crediamo che lì dentro ci siano alcune risposte a tante piccole domande che ci facciamo sugli argomenti più disparati; o anche solo delle suggestioni che ci fanno immaginare altri percorsi, come capita a me con la newsletter di Niccolò Di Vito Video Belli e dove trovarli.
Le parole che restano
Duemila anni fa il motto latino (scripta manent) — diversamente dall’interpretazione odierna — si riferiva al fatto che le parole scritte rimanevano lì come cose ammuffite, mentre le parole dette (verba volant) prendevano il volo, andavano di persona in persona e generavano discussioni. Però all’epoca dei Romani mica c’erano le newsletter e la posta elettronica!
Ora le cose scritte rimangono, le possiamo leggere e rileggere, consentono di fissare i concetti senza fretta e di fare nostro quello che stiamo leggendo.
Scrivere aiuta a fissare le cose.
Sulla scrittura ha scritto di recente un bel post uno dei due fondatori di Substack, Hamish McKenzie (la traduzione che segue è mia):
La scorsa settimana ho cambiato il mio titolo in Substack da Chief Operating Officer a Chief Writing Officer.
Ho voluto diventare Chief Writing Officer perché descrive alla perfezione il rispetto che abbiamo verso chi scrive per mestiere. Substack è una società fatta per chi scrive.
Scrivere bene plasma il nostro modo di pensare e influenza le nostre azioni. Ci connette a una coscienza comune. È una delle tecnologie più importanti che l’uomo abbia mai sviluppato.
E in un altro post l’ha ribadito ancora meglio (sempre traduzione mia):
Su Substack la temperatura del discorso si abbassa. Si legge all’interno di un ambiente tranquillo (lontano dal flusso di notizie dei social media), in un posto dove chi scrive è incoraggiato a difendere o spiegare a lungo la propria posizione, e dove si è più disposti a tollerare le imperfezioni.
I social media sono una macchina escludente — tendono a polarizzare il discorso, generano il “loro contro noi” —, Substack invece è basato sulla comprensione: celebra la complessità e la varietà.
Gli spazi come Substack — o altre piattaforme tipo Mailchimp e Getrevue —sono incentrati sulla scrittura e differiscono dal meccanismo virale-visuale proprio dei social media.
👉 Proprio sui social era intervenuto anche Valerio Bassan in una puntata di fine luglio della sua newsletter Ellissi:
Le reti sociali sono ufficialmente diventate piattaforme di intrattenimento video, e non più spazi di relazione.
👉 Una cosa che ha espresso anche Giulia Blasi nella puntata 68 di Servizio a domicilio, parlando della Tiktokizzazione di Instagram:
E io sono nata per scrivere, non per fare i video: mi spiego meglio così, con le parole scritte, che posso pesare, misurare, distribuire in modo da essere adeguate al messaggio. Sono anche, come ormai tutte le persone che vivono della loro creatività, legata alla necessità di raccontare al mondo quello che faccio, dove vado, quando escono i miei libri, di cosa parlano.
Fino a poco tempo fa lo facevo con un’immagine e una caption. Ora devo fare delle faccette, mettere delle scritte a video, metterci la musica. Io nella vita volevo scrivere, so fare quello. Mi tocca ballare.
Filtro comune
In un’epoca di sovrabbondanza di informazioni, abbiamo bisogno di filtrare le fonti e gli argomenti che ci piacciono. In questo senso le newsletter aiutano a selezionare.
È come se l’email diventasse il nostro giornale personalizzato, un collettore di informazioni raccolte per temi, scelte da noi secondo il nostro interesse e di cui ci possiamo liberare in ogni momento pigiando il pulsante unsubscribe.
Il potere sta nelle dita di chi scrive e in quelle di chi legge, senza deleghe di scelta a una piattaforma esterna.
La newsletter arriva nello spazio privato della nostra email però mantiene anche un suo spazio web senza scadenza, un archivio sempre a portata di mano.
Quando scegliamo a quale newsletter iscriverci assomigliamo a un setaccio, filtriamo le informazioni, e allo stesso tempo possiamo entrare a fare parte di diverse comunità che condividono certe passioni, gusti, interessi.
E sono comunità che si possono espandere in maniera virtuosa, ad esempio qui su Substack con il meccanismo delle raccomandazioni, i cari vecchi consigli, il contagio della parola di cui abbiamo parlato spesso dentro Linguetta.
Le parole contano e contagiano.
La newsletter ci aiuta a mantenere l’attenzione per un tempo più lungo di quello riservato alla notifica di un messaggio, e può essere un prezioso strumento anche per le amministrazioni pubbliche, come dimostra il Comune di Milano.
Diventa un modo perché la dimensione pubblica si faccia più intima, avvicinando cittadini e cittadine a contenuti che diversamente non avrebbero consultato spontaneamente.
Così la vicinanza diventa ricchezza — di fatti, idee, ragionamenti, conoscenze —, e ad avere più possibilità si riesce sempre a capire meglio le cose.
P.S.
Per chi è nuovə: oggi Linguetta è uscita di mercoledì invece che nella nottata di martedì. Un po’ perché è il 7 settembre come lo era alla puntata zero un anno fa, un po’ perché a volte mi si sovrappongono varie cose e salto come una rana. In ogni caso, grazie per esserci. Cra cra.
📧 Un bastimento carico di…
Un po’ di newsletter italiane che seguo su Substack le trovate nella pagina delle raccomandazioni, in fondo alla home page di Linguetta.
Di seguito ve ne posto alcune in inglese (sempre dentro Substack) che mi garbano parecchio:
Story Club with George Saunders, che come dice il titolo è un filo diretto sulla scrittura con lo scrittore di Lincoln nel Bardo!
Alphabet Soup, cioè un’altra newsletter che parla di letteratura, tenuta da un formidabile scrittore di racconti: l’israeliano Etgar Keret.
Kareem Abdul-Jabbar, proprio lui, l’ex stella NBA, che ogni settimana prende un po’ di notizie statunitensi e le commenta con una precisione e una sintesi rare.
Wild Life, che una volta o due al mese parla di un animale diverso e degli habitat che rischiamo di compromettere. La tiene e la illustra l’artista/naturalista Amy Jean Porter.
📚 Breve densità
Visto che li ho citati qui sopra. Il primo consiglio è un libro per bambinə scritto da George Saunders: s’intitola Volpe 8, è in forma di lettera e a scriverla è una volpe, che non conosce bene il linguaggio degli umani, ma con un piccolo umano cerca di parlare scrivendo in una lingua zoppicante, che però ci aiuta a rivedere il mondo da un’altra prospettiva. Direi dagli 8-9 anni in su.
Il secondo invece è la raccolta di racconti Un intoppo ai limiti della galassia di Etgar Keret, che se non l’avete mai letto, preparatevi all’incontro con l’assurdo, l’improbabile, lo straniante, il divertente, il tutto sempre nello spazio di poche pagine.
Terzo e ultimo consiglio è un libro che porta la forma lettera nel titolo e nello svolgimento: si tratta di Lettere dalla Kirghisia di Silvano Agosti, regista bresciano ma da moltissimi anni romano d’adozione. Dentro a questa storia c’è l’idea dell’ideale, che dovremmo custodire sempre per cambiare un po’ le cose. Un estratto:
Nel paese di Kirghisia non c’è bisogno di scrivere la costituzione perché tutti la sanno a memoria. È composta di una sola frase: “Al centro di ogni iniziativa, l’attenzione dello Stato e dei cittadini va innanzitutto all’essere umano”.
🎥 Lettere di cellulosa
Ci sono film in cui le lettere scritte diventano punti di snodo per le storie, anche se quelle lettere sono scritte da chi non c’è più. Allora il primo consiglio cinematografico è per la commedia d’amore P.S. I Love You, diretta nel 2007 da Richard LaGravenese e con protagonista Hilary Swank (e Gerard Butler). Va bene anche solo se amate l’Irlanda. Sta su RaiPlay.
A volte invece le lettere compaiono solo fugacemente, ma diventano un pezzo indimenticabile di quel film, come nel caso di Quattro matrimoni e un funerale (Mike Newell, 1994), quando Matthew legge la lettera in ricordo di Gareth e cita una bellissima poesia di Wystan Hugh Auden.
E poi ci sono film in cui le lettere non stanno dentro una busta, ma sono fatte di poche frasi scritte in caratteri cubitali su dei cartelloni. Il film è Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Martin McDonagh, 2017), la scena la tengono Frances McDormand, Sam Rockwell e Woody Harrelson. Capolavoro. Lo trovate su Disney+.
Finito, noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
Il rinascimento delle newsletter mi piace proprio un sacco, soprattutto perché a scriverle ci si mettono tanta passione e cuore, lo stesso che usiamo per leggerle. Il 💖 da fare pulsare se vi è piaciuta questa puntata sta sempre al solito posto, in fondo, alla fine del post.
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