Il troppopieno
Linguetta #39 / Gli ecosistemi comunicativi in cui viviamo sono saturi e alterano la nostra capacità di assorbire informazioni. Il rimedio sta nel praticare un'efficace dieta linguistica.
Ehilà, eccomi con una nuova Linguetta!
Avete presente quando ci sentiamo troppo pienə? Quando nel piatto ci troviamo porzioni maxi e continuiamo comunque a ingollare finché pancia e intestino non chiedono tregua? Già, proprio quella sensazione lì, che se ci pensiamo non è mica di piacere o soddisfazione: è una sensazione di troppopieno.
Il nostro intestino è come un secondo cervello, contiene la stragrande maggioranza dei microrganismi (batteri, virus, funghi, protozoi) che costituiscono il nostro microbiota intestinale, che svolge funzioni importanti per la nostra salute. Ed è in continuo cambiamento, si adatta in base a come mangiamo.
Noi siamo quello che mangiamo.
Ed è la stessa cosa che succede all’interno di un processo di comunicazione: cambiamo in funzione di come usiamo la lingua e di come reagiamo all’uso che ne fanno le altre persone.
La lingua riflette la realtà, che in quest’epoca di supervelocità e stimoli che ci piombano addosso da ogni parte è una realtà satura di cose e parole, di voci che arrivano a riempire ogni spazio.
Capita nei testi amministrativi infarciti di burocratismi e manierismi, capita nei messaggi di un marketing scadente che si riempie di luoghi comuni e frasi fatte, capita nel giornalismo che finge di essere (cattiva) letteratura imbottendo le colonne dei giornali di espressioni auliche, capita nelle bacheche social zeppe di commenti che a volte ripetono cose già dette da qualcun altrə, capita nelle chat di gruppo colme di risposte e controrisposte che deviano quasi sempre dall’oggetto del discorso.
Insomma, come direbbero dalle parti di Brescia: si parla troppo a vanvera.
Lo spunto per questa riflessione me l’ha dato un messaggio di poco tempo fa pubblicato dal designer Riccardo Falcinelli sul suo profilo Facebook. Eccolo:
L’altro giorno al Salone di Torino, dopo l’incontro, alcune ragazze mi hanno chiesto di fare un’intervista video, come stavano facendo con tutti gli autori. Io ho detto di no e loro ci sono rimaste un po’ male. Ho provato a spiegare in modo molto diretto il perché e ci tengo a ribadirlo.
La rete si sta riempiendo di tonnellate di contenuti completamente ripetitivi e inutili: sembra che tutto debba essere ripreso, testimoniato, registrato. Questo è un errore che produce entropia culturale, rumore e diluisce le idee.
Per questo ho deciso, ormai da due anni, che per ogni libro posso fare un paio di interviste online e un paio al massimo di dirette streaming. Poi basta. Tutti gli eventi live devono essere live. Nessuna registrazione, nessuna diretta, nessuna intervista in più. Per una ragione semplicissima: non servono.
Non ha senso riempire YoutTube di mille registrazioni di presentazioni di libri in cui si dicono sempre le stesse cose. Da un punto di vista comunicativo si genera una sensazione di banalità e di caos.
Al contrario gli eventi dal vivo possono essere tanti perché il loro senso e il loro valore risiedono nel rapporto col pubblico che produce, anche a fronte di una stessa domanda, un tono preciso, unico (che appunto nella ripresa video va completamente perduto).
L’obiezione è che però in tanti non possono viaggiare e essere presenti agli eventi. Giusto. Ma difatti – come ho appena detto – per ogni libro è corretto fare almeno una diretta streaming e una registrazione. Poi basta.
Le troppe informazioni, le troppe interviste stanno trasformando la rete in una discarica. È giusto conservare, ma non si può conservare tutto tutto. “Eh Falcinelli, ma gli altri scrittori lo fanno! Tu fai il difficile! Tu sei Snob!” Gli altri scrittori lo facessero. Io no. Anzi, proprio perché non sono snob, viaggio in tutta Italia per parlare dal vivo in tanti posti diversi. E poiché mi occupo di comunicazione, vi chiedo di fidarvi. Sui tempi lunghi vedrete che ho ragione io.
Riccardo Falcinelli ne sa a pacchi di comunicazione e design, l’ho già citato in altre puntate di Linguetta, suggerendovi alcuni suoi libri. E in questo post spiega ancora una volta con la chiarezza che lo contraddistingue come stanno le cose.
La rete rende questa tendenza a riempire, qualcosa di evidente e palpabile (nonostante l’immaterialità del digitale). Pare che dire il giusto e poi mettere il punto non basti, in una rincorsa a chi dice l’ultima oppure a chi riesce a dire più cose; che nel caso di testi professionali si trasforma in sbrodolate e messaggi confusi.
Ma ogni testo per funzionare ha bisogno delle pause che gli danno una forma comprensibile, delle parole che riescono a fare sintesi senza perdere in efficacia, degli spazi che lo fanno respirare.
Mi viene in mente la poeta Chandra Candiani, che in un’intervista di qualche anno fa disse:
A casa ho una stanza che mi serve a essere contenitore vuoto, ma pronto, capace, accogliente. È un rifugio che mi espone totalmente, come la consapevolezza, mi protegge, mi custodisce, mi rivela intera a me stessa.
Quella stanza è come il silenzio, che non è assenza di rumori ma il loro sfondo, il luogo dove i rumori riposano. Il silenzio come ascolto di sé, del mondo, degli altrə.
Il silenzio di un qualsiasi testo è lo spazio d’intenzione dove si appoggiano le parole, quelle scelte con cura, consapevolezza, riflessione, prendendoci il giusto tempo per pensare.
Una cosa simile la diceva il giornalista Francesco Costa in una puntata di qualche mese fa del podcast Morning, riportando le informazioni che si sono date alla scuola media “Borsi” di Livorno per la gestione dei messaggi nelle chat WhatsApp di classe. Uno schema in 6 punti che esalta l’economia di parole:
Non spammare mai con gli stickers
Evitare saluti, auguri e convenevoli
Non scrivere di continuo: Sì, yes, yep, wow, pollici in su, faccine, ok
Evitare le gare in chat per restare svegli di notte
No ai messaggi vocali
Non alimentate l'entropia
Il capolavoro è quest’ultimo punto.
Non alimentate l’entropia.
Entropia è una parola che subito collego alle lezioni di fisica al liceo e che infatti è una parole propria della teoria della termodinamica ma poi, anche al di fuori del campo fisico, è considerata come una misura del disordine e dell’indifferenziazione di un sistema.
In particolare, nella teoria dell’informazione è la quantità media d’informazione contenuta in un insieme statistico di messaggi.
Insomma, quel troppopieno di cui dicevamo all’inizio e che trasforma il paragone alimentare del ‘noi siamo ciò che mangiamo’ nel suo omologo linguistico:
Noi siamo quello che diciamo.
Le parole ci definiscono e descrivono i connotati del mondo circostante, sta a noi usarle bene. Non serve saturare un foglio, un discorso, uno spazio digitale: basta rendere saliente ogni messaggio che componiamo.
📚 Silence, please
Visto che l’ho citata, il consiglio è un doppio consiglio per due libri scritti da Chandra Candiani: Ma dove sono le parole? che raccoglie i seminari sulla poesia tenuti nelle periferie di Milano e le poesie scritte da bambini e bambine che li hanno frequentati, i suoi seminari. Il secondo invece è Il silenzio è cosa viva, cioè un insieme di pensieri attorno alla meditazione, che è il riuscire a stare con sé stessə.
Un altro che ho citato è Riccardo Falcinelli, e allora non posso non segnalarvi la recente antologia che ha curato con idee, visioni e manifesti dei maggiori protagonisti della grafica del Novecento: Filosofia del graphic design. E pure un graphic novel che scrisse nel 2007 insieme a Marta Poggi: si tratta di L’allegra fattoria. Sette racconti per adulti cattivi, cioè sette racconti disegnati con protagonisti animali che diventano metafore sul mondo e sui costumi: una cosa che fa ridere e sorridere delle nostre piccolezze.
🎥 Scoppiare di salute
L’attacco gastronomico m’ha fatto venire in mente un grandissimo film di Marco Ferreri, presentato a Cannes nel 1973: La grande abbuffata, vale a dire una lente d’ingrandimento piazzata nel centro di una società governata dall’eccesso e dalla bulimia.
📋 L’ha detto la televisione
Ultimo suggerimento di giornata è questo pezzo di Luca Conti intitolato Spegnete i vostri televisori, spegneteli ora, spegneteli immediatamente, spegneteli e lasciateli spenti. Titolo eloquente, no? Una riflessione sul prendersi tempo per approfondire le cose, distogliendo lo sguardo da quella scatola piatta che produce quintalate di disinformazione e tanto tanto rumore di fondo. Lo stesso che descriveva Don DeLillo nel suo romanzo Rumore bianco.
Noi ci leggiamo alla prossima Linguetta!
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